Tributo a Isaac Asimov, fondatore della Fantascienza. Il racconto è ambientato nel suo mondo, seguendo le sue regole. Il contenuto è una “fan-fiction” del Ciclo dei Robot.
Racconto a puntate di Matteo Abozzi – disegno di Riccardo Belloni
Il suo volto emaciato non trasmetteva emozioni, era immobile, quasi come quello del Robot. Eppure, in qualche modo, dal suo viso trapelava una lunga esperienza di vita e una parvenza di saggezza. «Lei è stato fortunato, signor Plum» Susan Calvin era arrivata a casa di Jonathan Plum pronta a consegnargli l’ultima creazione in via sperimentale della U.S. Robotics.
«Tra i vari candidati, lei è risultato il migliore per questo esperimento di convivenza. Posso entrare?» Jonathan aveva aperto la porta senza sapere chi ci fosse dell’altra parte. Dannazione, sono sempre più uguali a noi, fu il primo pensiero che gli venne in mente guardando l’anziana signora davanti a lui, pensava fosse a un passo dalla pensione. «Dico, posso entrare?» «Ma lei è…» Un robot? Avrebbe voluto chiedere. «Sono Susan Calvin, robopsicologa della U.S. Robotics. Mi conferma che lei è il signor Jonathan Plum?» «Sì, sono io. Prego, entrate». La robopsicologa aveva dietro di sé due facchini che trasportavano una grande cassa nera, apparentemente pesante.
«Signor Plum, lei è risultato il miglior candidato tra più di duemila richieste che ci sono arrivate». Da brava robopsicologa, Susan iniziò a controllare l’interno della casa. Pochi elettrodomestici, nessuna compagna fissa. Le pareti grigie sembravano essere sul punto di crollare da un momento all’altro, pareti che un tempo erano bianche. Chiedendo il permesso, la dottoressa si recò a esaminare anche la cucina. Poco cibo, la maggior parte in scatola. Per questo aspetto si sarebbe potuto, in realtà, elogiare Jonathan Plum: comprava poco cibo. Non erano tempi molto felici per la Terra quelli. Il tempo d’oro dei Robot aveva visto il suo picco circa cinque anni prima; le persone si erano abituate ai macchinari, le trattavano come schiavi, ma comunque con un minimo di rispetto. Le signore portavano i robot ad aiutarle a fare la spesa, “il marito non vi fila? E allora mandate il vostro Robot a far la fila!” Uno slogan terribile che, però, ebbe molto successo.
Molti vennero impiegati in fabbrica per lavori per lo più fisici. Oppure come banca dati portatile o mille altre funzioni. Tendenzialmente avevano tutti un aspetto antropomorfo, ma erano più abili e “intelligenti” degli umani stessi. Fu proprio questo a far ritornare rancore nei confronti dei Robot. Questo e la scarsezza delle risorse terrestri. Ecco perché si poteva considerare Jonatham Plum un bravo terrestre: aveva poco cibo nella dispensa. Tutto questo Susan Calvin già lo sapeva. «Allora, Signor Plum. Sediamoci.» Jonathan si era acceso una sigaretta. Aveva dato la sua disponibilità per quell’iniziativa circa tre mesi prima, quasi da scordarsi di averlo fatto. Aveva letto sul suo tablet l’annuncio della U.S. Robotics che lui aveva interpretato come: “Ti diamo duemila bigliettoni per passare un tranquillo week-end con un pezzo di latta.” Come non accettare? Ma ora che si era ritrovato in quella situazione all’improvviso ci mise un po’ per ritornare in sé.
«Dovrei giusto farle qualche domanda di rito» La Calvin sembrava essere un militare di vecchio stampo, precisa e perfetta in ogni suo movimento. «Certamente, Signora»
I due facchini poggiarono delicatamente la cassa nera al centro del salone, i due neanche si accorsero della cosa. I facchini erano abili e precisi in ogni mossa, non come gli umani che prima di dover sollevare qualcosa devono contare fino a tre e fare dei versi strani durante il trasporto. La donna gli fece il cenno di uscire fuori. Tirò fuori dalla tasca un tubo d’acciaio di circa venti centimetri, con un buco nero all’estremità. «Devo registrare tutto per lo studio.» Poggiò il tubo a terra davanti ai suoi piedi. «Grazie di partecipare a questo esperimento, le passo subito il contratto da firmare. Può farlo ora o più tardi, quando avremo finito di parlare.» La robopsicologa estrasse da un’altra tasca un sottilissimo tablet giallo porgendolo a Jonathan. L’oggetto era molto delicato e lui si sentiva in ansia a tenerlo in mano; mai era riuscito a potersi permettere un tablet del genere e aveva paura di poterlo rompere in qualsiasi momento. Sullo schermo appariva il contratto da duecentoquarantasette (!) pagine. «Ha scelto liberamente di partecipare alla convivenza?» «Sì.» Era vero. Gli rimaneva solo sua madre, che abitava a giusto qualche chilometro da casa sua. «Gli è chiaro che alla fine dell’esperimento gli verrà dato un pagamento da 2000 dollari?» «Altroché!… volevo dire… sì.»
La Calvin non ebbe nessuna reazione a quell’impeto di felicità. Ma siamo sicuri che anche lei non sia un Robot? (la domanda si era ormai fissata nel suo cervello) «È cosciente del fatto che il Robot risponderà solo a lei, ma seguirà per sua natura le tre leggi della Robotica?» «Chiaro» rispose, anche perché perfino il barbone più povero era a conoscenza delle tre leggi della Robotica .«Per l’esperimento dovrà passare questo fine settimana insieme al Robot; almeno l’ottanta percento delle due giornate per far sì che il risultato aiuti le ricerche. Lo farà?» «Sono in gioco…» «Scusi – insistette la Calvin – mi serve una risposta più precisa. Per la registrazione»
Le tre leggi della robotica. Più una
1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.
4. Un robot non può recar danno all’umanità e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, l’umanità riceva danno.
Era veramente per la registrazione? «Sì, passerò le mie giornate con il Robot». Avrebbe voluto dire Lattina invece di Robot, ma voleva che quel colloquio finisse il prima possibile e la donna non sembrava molto in vena di scherzare. «Lei ha già visionato per intero il contratto che ora tiene sotto gli occhi?» «Si Signora. Quando ho fatto la richiesta» «Perfetto, allora abbiamo praticamente finito. Qualche raccomandazione personale. Lei sa che il Robot vale…» Molti milioni? Non sarebbe la cosa più giusta da dire. La fabbricazione in quei tempi non veniva più vista molto bene. Perché spendere montagne di soldi per la ricerca di nuovi meccanismi tecnologici piuttosto che aiutare il mondo a non degradarsi? Per Susan il discorso non reggeva. I Robot non erano solo dei giocattoli usa e getta, soprattutto quelli con il cervello positronico. Erano… persone? La robopsicologa non aveva mai trovato una risposta, ma per quanto fredda potesse sempre apparire, lei seguiva i suoi sentimenti. «Vale molti soldi?» «Posso immaginare! Ma comunque non saprei a chi rivenderlo. Nessuno vuole più affari del genere!»
«Signor Plum, stiamo per andare via. Le rifaccio un sunto dell’esperimento: le stiamo per consegnare l’ultimo modello della U.S. Robotics. La particolarità di questa ultima versione è che è stata rinforzata nel Robot l’importanza della prima legge, più di quanto mai è stato fatto. Il modello in questione sarà visto infatti come un modello da compagnia, nato solamente per prendersi cura dell’uomo. Ripeto, nel suo cervello positronico ha l’imperativo categorico della prima legge, seguita ovviamente dalle altre due, immancabili anche esse. Non c’è bisogno che io le elenchi, le dovrebbe conoscere. In caso contrario il Robot stesso gliele dirà. Il test serve per verificare, per l’appunto, il rafforzamento della prima legge; non c’è possibilità alcuna che il Robot possa nuocerle in alcun modo. Abbiamo concluso, manca solo la firma.» Che altro poteva fare se non firmare? Era un’ottima occasione per fare dei bei soldi senza alcuna fatica. A cuor leggero, l’uomo appoggiò il pollice sullo schermo del tablet giallo per lasciare la sua firma-impronta. Nel ripassare il pad al suo proprietario, si permise di fare una domanda alla dottoressa Calvin. «Una domanda.» «Certamente.» Eppure, sotto quell’apparente inflessibilità, si riuscivano a scorgere delle emozioni. «Perché fabbricate ancora questi…Cosi? Sappiamo entrambi che la gente quasi non li sopporta più e non li richiede più. Ma allora perché?» «Signor Plum, lei ha firmato il contratto…» «No, no, non si preoccupi dottoressa. Tratterò il Robot nel migliore dei modi; non mi hanno mai fatto del male e non li odio. Anzi, a volte penso che siano anche meglio di noi umani.» Dalla dottoressa Calvin non ci fu risposta. Jonathan continuò: «Perché continuate a fabbricare e sperimentare?» Susan Calvin abbassò lo sguardo. «I Robot potrebbero servire in un futuro non molto lontano. Ed è vero, non risultano simpatici a molti umani, ma il loro dovere è aiutare l’uomo, non farlo divertire. I Robot non avrebbero mai fatto fallire l’ecosistema della Terra. Per questo continuiamo a fabbricarli, per non far fallire…» «Altre Terre.» La frase la concluse Jonathan. La Calvin sembrava ora essere una bambina ripresa mentre faceva qualcosa di vietato dalla propria madre. Tornò in un battibaleno in sé. «Arrivederci, Signor Plum. A Lunedì» Si alzò e se ne andò, chiudendo delicatamente la porta di casa. Erano rimasti in due. Un uomo seduto su una poltrona verde e un Robot in piedi dentro una cassa nera, la quale si aprì non appena i due rimasero da soli nella stanza.