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Dungeon di Bibi Rouge

Dalla quarta di copertina:

Quando Nina Santibri scopre che l’addio al nubilato di una sua amica e collega si concluderà in un club sex friendly, sa esattamente cosa vuole. È una donna affermata, emancipata e indipendente, che non si fa scrupoli a cambiare Paese e lavoro in base all’offerta più vantaggiosa; come unico bagaglio, il suo guardaroba. Non lascia strascichi sentimentali e le relazioni hanno tutte una data di scadenza. Eppure, attraversare quella porta è un’incognita che rischia di riportarla nel passato, ai ricordi di un’esperienza vissuta anni prima, nella stessa città. Tra crude passioni e colpi di scena, Dungeon condurrà il lettore alla scoperta di Amsterdam, lontano dalla patina turistica e dall’immagine di un parco di divertimenti per adulti, fino all’epilogo della più grande storia d’amore che si possa vivere: quella con se stessi. Perché amare un’altra persona è possibile dopo essersi scelti, perdonati e salvati da soli.

La recensione:

Partiamo da un presupposto fondamentale: ho letto Dungeon (ed. Mursia) per motivi che esulano dai miei gusti personali, ma questo non mi ha impedito di apprezzarlo. Innanzitutto perché la scrittura di Bibi Rouge è elegante pure nei momenti più passionali; si lascia andare a qualche parola in più solo quando ce n’è bisogno, come il lieve sobbalzo di un’onda impertinente mentre navighi spedita. Già questo è un elemento che gioca a suo favore.

Il secondo forse vi stupirà: si parla di sesso, si parla di pratiche che qualcuno può considerare estreme, ma lo fa per scandagliare l’anima. Nina – non starò qui a ripetere la storia, la quarta di copertina è facilmente reperibile sul web – all’inizio appare algida, così perfetta da sembrare costruita a tavolino. Ho storto il naso di fronte a una protagonista bella, sensuale, con un corpo mozzafiato, sicura di sé, a suo agio su tacchi vertiginosi, fasciata in abitini sexy, perfettamente depilata. Con un lavoro appagante. Truccata senza sbavature. “Non sei una di noi, sorella”, mi è venuto da pensare. Però più sono andata avanti più i fatti si sono intricati, legati assieme da sapienti nodi in un reticolo, come le corde avvolte sui corpi nel romanzo, che dominano le vite dei personaggi, i loro desideri, il loro passato. Nina non ha solo la mania del controllo: ne ha bisogno per non perdere sé stessa. E quando incontra Vigo non fa i conti col fatto che i sentimenti sfuggono a questa dinamica. Come pure i ricordi.

Leggere Dungeon significa fare ricerche su internet (rigorosamente in modalità in incognito, o potreste ritrovarvi in seguito con pubblicità di capi di lingerie di cui ignoravate l’esistenza e, forse, anche dopo ignorerete l’utilizzo) per comprendere il significato di certi termini, solo per scoprire che corrispondono a ruoli molto più sfaccettati di quelli che l’immaginario comune possa richiamare alla mente. Significa affrontare davvero la sessualità come un tratto squisitamente intimo, personale, insindacabile, inopinabile, fintantoché c’è consenso. Consenso, una parola semplice quanto imprescindibile, tre sillabe come le lame di un aratro per smuovere strati di preconcetti e pregiudizi. Finché c’è consenso ci sono anche sintonia, rispetto, leggerezza. E si può anche mollare il timone e lasciarsi andare alla corrente.

Nina, alla fin fine, è una di noi. Basta arrivare alla fine del libro per scoprirlo.

La distanza del riccio