Le portatrici carniche

Sono nata in quella lontana regione a est dell’Italia, regione di confine, di storia e di storie, di coraggio e di tenacia, di forza e di fiducia: il Friuli.

Questo fazzoletto di terra ha affrontato eventi che lo hanno strappato a metà, ma che solo la forza dei suoi abitanti è riuscito pazientemente a ricucire.

Teatro delle più sanguinose battaglie di entrambi i conflitti mondiali, qui si è scritta la storia della nostra Nazione. In ogni paese, in ogni via, in ogni vecchia casa si respira storia, non solo quella letta sui libri di scuola, ma anche quella di ogni singola persona che è vissuta in quei luoghi, storie di famiglia raccontate davanti ai fogolars (focolari in lingua friulana) e segreti rimasti custoditi nei cuori.

Tra le storie, ormai note, che mi rende ancor più orgogliosa di essere friulana oltre che donna, c’è quella delle Portatrici Carniche. Donne che hanno insegnato cosa sono il rispetto e la resilienza, oltre che la compassione e l’amore.

Protagoniste indiscusse nello scenario delle battaglie della resistenza italiana contro gli austro-ungarici lungo il confine sulle cime delle Alpi Friulane, dove era stanziata la prima linea del combattimento. Le aree erano impervie e poco accessibili, soprattutto per chi non conosceva quei luoghi (ahimè, gli uomini locali erano stati mandati a combattere lungo il Carso per paura di ammutinamenti). La difficoltà era evidente, soprattutto nel fornire ai soldati al fronte munizioni, vettovaglie, medicinali e ogni altra cosa fosse necessaria.

Le donne locali, che conoscevano quelle montagne come le loro tasche e a cui mostravano il rispetto che la natura esige, non esitarono a raccogliere la richiesta del Genio Militare e risposero con le parole che sono rimaste poi nella storia: “Anin, senò chei biadaz a murin encje di fan” (Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame).

Ad ogni salita, il numero delle donne aumentava, cosi come il rispetto dei soldati al fronte. Erano donne, dai 15 ai 60 anni, molte delle quali madri che per guadagnarsi 1,50 lire sfidavano l’uomo e la natura pregando ad ogni passo di ritornare dalle proprie famiglie.

Ognuna di loro era munita di un libretto personale di lavoro, dove venivano segnate le presenze, i viaggi e il materiale trasportato in ogni viaggio. Erano poi dotate di un bracciale rosso dove era indicato lo stesso numero del libretto e con l’indicazione dell’unità militare per cui lavoravano.

Partivano con la gerla sulle loro spalle, un cesto normalmente utilizzato per portare il fieno, legno, e passando per il centro di coordinamento caricavano materiale per circa 40 kg, dalle munizioni, alle bombe, al cibo, alle divise dei soldati deceduti che qualche giorno prima avevano riportato a valle per rammendarle, lavarle e portarle ai soldati che necessitavano di un cambio. Chi portava materiale esplosivo aveva una bandierina rossa appesa alla gerla mentre chi portava medicinali una bandierina con la croce rossa.

Affrontavano dislivelli fino a 1.200 metri, marciando fino a 4 ore, spesso ininterrotte, in sentieri impervi, soprattutto d’inverno quando la neve cadeva e le temperature erano polari.
Dopo una breve sosta per consegnare il materiale, per portare qualche notizie dal paese, ripartivano verso casa, dove le aspettavano la cura della casa e della stalla, dei propri cari. Capitava a volte che venisse richiesto di riportare a valle qualche soldato caduto in battaglia che veniva sepolto in un cimitero militare preparato dalle stesse portatrici.
Era talmente valoroso il loro coraggio che si offrirono anche come serventi ai pezzi di artiglieria, chiedendo inoltre di essere armate di fucile. Non fu necessario il loro impiego, ma servì a rincuorare i soldati che combattevano e che provarono ammirazione e riconoscimento per queste donne.

Maria Polzner è diventata il simbolo delle Portatrici Carniche che in quegli anni hanno servito la patria. Madre di 4 figli in tenera età e moglie di un combattente nel Carso, portatrice di grande animo e spirito di altruismo, è diventata simbolo della forza di queste donne che hanno servito il Paese.
Colpita a morte da un cecchino austriaco il 15 Febbraio del 1916 , mentre si concedeva un momento di riposo dopo aver scaricato la gerla, ebbe un funerale con gli onori militari, alle presenza di tutte le portatrice.
Solamente 80 anni dopo, il Presidente della Repubblica Italiana le ha conferito la medaglia al valor militare, come rappresentate di tutte le Portatrici.
Erano donne abituate al lavoro duro, alla fatica, ma questa è stata la prova che oltre alla corteccia dura delle donne carniche, esiste un cuore e un’anima pronte a sacrificarsi per aiutare a creare un futuro migliore.

N.B.: A Timau, in Carnia, è stato anche eretto un monumento in suo onore dove è anche possibile visitare un museo dedicato alla Grande Guerra.
Merita inoltre salire sul Monte Croce Carnico, ripercorrendo le orme delle Portatrici attraverso un sentiero storico, fino ad arrivare in cima, dove si può camminare dentro le trincee in un museo a cielo aperto. Un percorso da fare almeno una volta nella vita.

Michelle Manias