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A tu per tu con… l’innominabile

Fa ancora un caldo torrido nelle Waste Lands, e le rotture di coglioni sono ancora più insopportabili. 

Soprattutto quando è ora del pellet.
Per chi non abita in campagna, segue la spiegazione: d’inverno si fa manutenzione dell’aria condizionata e d’estate si fa manutenzione alla stufa, in modo da essere sempre pronti per la stagione che arriverà.
Dunque è arrivato il glorioso momento in cui arriva il tecnico della stufa e il rifornimento del pellet per l’inverno.

Iniziamo dalla manutenzione: il tecnico Matteo è un amico, sua mamma (adesso in pensione) faceva la OSS, sua moglie è simpaticissima e lavora nel suo negozio così, ogni volta che ci sentiamo, lei e io brontoliamo su quanto schifo faccia la vita e quanto Matteo dovrebbe regalarle un Dyson.
Cose così.

Comunque arriva Matteo e mi sostituisce una ventola della stufa, poi procede alla pulizia raccontandomi che ci sono gli incentivi per le nuove stufe e che dovrei ribaltare tutto il salotto per metterla a norma.

Rido di gusto, perché lui sa benissimo che io questa stufa la voglio portare a fine carriera e non mi convincerà mai a buttare via la libreria e scaravoltare il salotto per il suo progetto. Andata: la stufa durerà un’altra stagione.

Adesso è l’ora del pellet, 120 sacchi per l’inverno.
Dovete sapere che ho dolcemente soprannominato casa mia LA RUPE TARPEA, perché per raggiungerla c’è una discesa talmente ripida che non passa un’auto e io mi sono rotta una caviglia scivolandoci sopra.

Di solito mi faccio mettere mezzo bancale in giardino e un bancale sulla discesa, ma ha appena piovuto, per cui concordiamo per mettere tutto il pellet sulla discesa.
Avviso il fornitore (che già conosco) che quella discesa è troppo ripida per il camion, che non tornerà più su.
Mi risponde che il camion ha la trazione posteriore, nessun problema.

Sono perplessa, perché ho già visto più di una persona piantarsi, ma, più che avvisare, cosa posso fare con uno che non vuole sentire ragione?
Bene, scarica il pellet e ovviamente si pianta.

Lo guardo come un vecchio che guarda i cantieri, mi accendo una sigaretta, poi un’altra, poi un’altra ancora, finché lui inizia a bestemmiare e cerca una soluzione col suo collega, che nel frattempo sta in strada a fumare.
Dopo un’ora di discussioni esistenziali su come non sia possibile non riuscire a tornare su perché che due ruote scivolano sulla terra, decide di puntare la benna del camion sul cemento della mia discesa per spingerlo, scassandomi un po’ di sacchi di pellet (perché nel frattempo il camion sta scivolando verso la bocca dell’inferno).

Io, che nel frattempo potevo tranquillamente stoccare invece che stare a guardare un pirla che non mi ha ascoltato, osservo la decadenza di chi non ascolta una donna perché, figuriamoci ascoltare una femmina!
Dopo un’ora, che neanche la Via Crucis di nostro Signore, finalmente il camion guadagna l’uscita.

Vado su dalla discesa a saldare il conto.

  • Io: “Cossa te gavevo dito mi? No ti me scolti mai! Desso te crìo come to muiere!” (trad: Cosa ti avevo detto? Non mi ascolti mai! Adesso ti sgrido come tua moglie!)
  • Lui ridendo: “Ze par queo che no a go!” (trad: è per quello che non sono sposato!)
  • Io: “E SE VEDE!” (non penso serva traduzione)

Un ringraziamento particolare a Kalu che ha stoccato il pellet nel capanno in tempo zero e a Bruna che mi ha prestato la carriola.

Alla sera, riportandole la carriola, mi fermo a fare due parole…

“Bruna, ma secondo te, se avessi mandato fuori un maschio a dire al tipo che si sarebbe piantato sulla discesa invece che averlo detto io, femmina, lo avrebbe ascoltato?”

“Certo”

Anno del Signore 2024, Italia paese patriarcale.

Ho detto tutto, per approfondimenti mi trovate al bar dei cinesi, che, a una certa ora, mandano le donne a casa.
Paese che vai, usanza che trovi.

Anna Castelli

Laureata in arte orientale, OSS, scrittrice part-time, matta per i cani e per i tatuaggi. Sicuramente curiosa della vita.