Non c’è genio che non abbia in sé il seme della follia. Ed è proprio la presenza di questi due elementi che rende possibile la creatività. Ma i creativi sono solo gli artisti? Che “poetizzano lo spirito” e si elevano tra se stessi e ciò che rappresentano in una direzione che va non solo dall’interno verso l’esterno ma anche al contrario.
Shiller (1793-95) diceva che la Creatività ci rende liberi, perché ci pone in contatto con la nostra spontaneità, esercitandosi nei limiti di un fare, di formare.
È così che nasce il mito romantico del Genio. L’Artista che ha in sé il seme della creatività che gli dei hanno concesso agli umani, ha la facoltà di entrare in contatto con il mondo sommerso e oscuro in cui abitano gli angeli e i demoni che muovono le nostre passioni, dandogli forma.
Questo concetto romantico dell’Arte considera gli artisti come coloro che riescono a far emergere il mondo sotterraneo, e il loro Genio è appunto il mezzo che permette questa emersione. Colui che può mettere in comunicazione il nostro mondo, della superficie e della Ragione, con l’altro mondo, quello oscuro.
Quindi la creatività del Genio nasce dal contrasto tra il conscio e l’inconscio, e l’Artista si trova sotto l’impulso di una forza che lo rende diverso dagli altri uomini e lo costringe a esprimersi e a descrivere cose che lui stesso non coglie appieno e il cui significato è infinito.
La creazione artistica è conoscenza che produce una commistione tra creatività e follia, perché rappresenta l’irreprensibile. Come diceva Novalis (1795- 1800). Vede l’invisibile, sente il non sensibile.
Da lì alcuni filosofi hanno assegnato alla creazione artistica funzioni conoscitive ed etiche.
Perché la creatività dell’artista permette di accedere al piacere disinteressato, slegato dalla soddisfazione di bisogni fisici: quando si è liberi dalla necessità di soddisfare i bisogni, si diventa capaci di entrare in contatto col tutto di cui siamo parte.
Maura Luperto