Il percorso di guarigione nella tradizione Ebraica

“Dio ha creato l’uomo con infinita bontà, ha unito in lui forze innumerevoli
incessantemente all’opera per mantenere e preservare la meravigliosa casa
che ospita la sua anima immortale.
Queste forze agiscono con ordine, in accordo e in armonia le une con le altre.
Ma se una debolezza psichica o una passione violenta disturba tale armonia,
queste forze iniziano ad agire le une contro le altre…
Quindi D-o invia le malattie, benefici messaggeri, che annunciano l’avvicinarsi del pericolo
e spingono l’uomo a prepararsi a superarlo”.
Brano tratto dalla – Preghiera del Medico Ebreo – di Ràmbam, (1135 – 1204)


Dalla lettura di questi versi si comprende che per la tradizione ebraica la malattia ha un’origine inequivocabilmente psicosomatica.

Nel corso del processo di guarigione l’uomo si trova a contatto con D-o. A questo fa riferimento l’identità “gematria” (valore numerico) delle parole “mahalà”, malattia e Elohim, D-o (il nome di D-o che rappresenta l’aspetto severo di D-o).

I conoscitori della Torà suggerivano, a chi volesse conoscere il significato di una parola, o di una lettera, di andare a vedere il contesto in cui la parola compare per la prima volta nel testo biblico.
Nel Pentateuco appare per la prima volta una persona che si ammala. Nel libro della Genesi (20/21): Avimelek, il re di Gerar, colpito dalla bellezza di Sara, la moglie di Abramo, la fa rapire. Subito dopo sia lui sia i suoi servi si ammalano, proprio di una malattia che colpisce gli organi genitali. Dio appare in sogno ad Avimelek e gli dice di restituire la moglie ad Abramo così il profeta potrà pregare per lui e per i suoi servi affinché possano guarire. Avimelek segue il consiglio e prontamente fu guarito.

Da questo racconto si comprende che 1) la malattia fisica è collegata a un problema morale e 2) colpisce le zone connesse con l’infrazione. Era un impulso sessuale non razionalizzato che fece ammalare il re pertanto vengono colpiti proprio gli organi sessuali.

La guarigione arriva quando viene compiuto il “Tikun” (termine che significa riparazione). Nel “Tikun agiscono la “Teshuvà del malato, la sua “tzedakà”, la sua preghiera e la preghiera del giusto in favore del malato. Ancora oggi queste sono le armi privilegiate in cui un ebreo ortodosso affronta la malattia. In caso di malattie mortali, spesso si ricorre al cambiamento di nome della persona malata.

Nella Tradizione Orale molte espressioni alludono alla guarigione fisica che procede di pari passo con quella spirituale, tra queste: “Grande è la teshuvà poiché porta guarigione al mondo.
Il più famoso malato che comprese l’origine psicosomatica della malattia, nelle Scritture, fu il re Chizkiyàhu: che quando seppe di essere mortalmente malato, iniziò subito a pregare, compiendo un gesto nuovo nella tradizione della liturgia ebraica: quella di rivolgersi verso il muro. In questo modo manifestava la sua intenzione di concentrarsi e guardarsi dentro, di capire cosa aveva causato nel suo comportamento la malattia.

Fu lo stesso re che, una volta guarito, distrusse il libro dei rimedi, un incredibile trattato sulle erbe curative ereditato dal re Shlomò. Il motivo per cui agì in questo modo nei confronti del patrimonio medico ebraico, fu la volontà di impedire che gli uomini di fede si affidassero esclusivamente alle medicine invece che D-o e alle proprie capacità di rinnovamento. La grande efficacia del patrimonio medico erboristico contenuto nel libro dei Rimedi aveva fatto sì che molte persone, quando si ammalano, cercavano una cura solo tecnica al loro problema, invece di praticare e meditare sull’insegnamento dei “maestri”.

– Nessuno in terra si graffia un dito se questo non è decretato in cielo (Hullin 7).
– Un serpente morde qualcuno solo quando riceve l’ordine dal cielo (Yerushalmi Peah, 1,16).
La guarigione di una malattia è un miracolo più grande di quello che salvò Hanania… dalla fornace di Nabucodonozor.
Anche un uomo può estinguere il fuoco di una fornace, ma il fuoco della malattia è creato in cielo, chi può estinguerlo? (Nedarin 41a).
Quando una persona vede che la sofferenza è stata decretata per lui, deve esaminare il suo comportamento (Berahot, 55).
Un altro insegnamento importante che lasciò il re Heskiau fu la fede nella possibilità di guarigione che aveva appreso dal suo antenato, il re David: “anche se hai una spada affilata già posata sul collo, non disperare”.

Di fatto, il Re Heskiau avrebbe avuto tutto le ragioni per disperarsi, perché la sua morte gli era stata predetta dal profeta Isaia, che gli disse: ” Metti a posto la tua casa e la tua famiglia, perché tu morirai e non vivrai”. (Isaia 38,1; Re II,20).

Invece di disperarsi, il Re, voltandosi verso il muro iniziò a pregare e a piangere, a ricordare a D-o il bene che aveva fatto e promettendo che se gli fosse stata concessa la vita ne avrebbe fatto ancora. E D-o disse ad Isaia di informare il Re che la sua preghiera era stata accettata e che non solo sarebbe guarito, ma che avrebbe vissuto altri quindici anni.

Maura Luperto