Trovare il perfetto incastro tra il mondo interiore e il mondo esteriore
In questi giorni mi sono posta nuovamente una domanda che da qualche anno mi pongo, ovvero quanto il mondo al di fuori da me conta veramente nella mia vita?
Per riflettere insieme a voi su questa domanda voglio raccontarvi uno dei momenti della mia vita che mi spinge sempre a riflettere su questo quesito. Ho sempre notato che c’è tantissima comprensione per il dolore nel nostro mondo. Pur affermando che viviamo in una società che può ancora migliorare l’aspetto della solidarietà, ritengo che in realtà si faccia molta attenzione al dolore degli altri. Forse non sempre lo comprendiamo fino in fondo ma è un aspetto che sicuramente conta per noi.
Quando una persona ha sofferto può capitare che abbia degli atteggiamenti bruschi, pesanti o talvolta scorbutici. Se non conosciamo la storia della persona magari ci arrabbiamo e la riteniamo maleducata, se conosciamo però ciò che ha passato improvvisamente diventa normale l’atteggiamento brusco e giustifichiamo il suo modo di essere semplicemente perché comprendiamo che abbia sofferto.
Non intendo dire che non sia giusto, ma voglio sottolineare un nostro modo di agire per comprendere meglio i passi che, secondo me, sono necessari compiere come umanità e perché credo che la felicità e la gioia debbano prendere maggiormente posto nel nostro mondo.
Se da un lato è un bellissimo gesto empatico quello di fermarci di fronte al dolore degli altri, rispettarlo e andare oltre, dall’altra mi sono chiesta: non è la conoscenza della storia degli altri anche un modo per aiutare loro a trasformare la condizione in cui vivono? Perché ci raccontiamo? Perché ci apriamo con qualcuno? Semplicemente per raccontare un fatto o perché attraverso lo scambio con l’altro si può rivoluzionare la propria vita? Quanto ci interessa davvero cambiare quando rendiamo partecipe qualcuno delle nostre disgrazie e dolori?
Osservandomi mi sono resa conto di quanto questo argomento sia per me sfidante. Ogni volta che sento la comprensione di qualcuno nei confronti del dolore di qualcun altro provo rabbia. È una rabbia che vorrebbe che la persona fosse più forte di quello che è, è una rabbia che pretende tantissimo da parte di colui che soffre e talvolta mi spinge a giudicare dentro di me la debolezza dell’altro.
Ammetto che questa mia pretesa nei confronti degli altri di essere forti secondo il mio modo di intendere la forza è in realtà una pretesa nei miei confronti di non crollare mai, di non permettermi alcuna debolezza.
So quanto sia importante per la nostra evoluzione permettere la debolezza quanto la forza e anche se mi resta ancora difficile metterlo in pratica credo che sia proprio l’equilibrio tra i due che conduce a una serenità e all’espressione sana di noi stessi.
Credo che giustificare le azioni nate dal dolore sia naturale e necessario per permettere un’apertura al cambiamento ma credo anche che non sfruttare questa apertura significhi rimanere fermi ed escludere la possibilità di provare una vera serenità nella vita. A volte bisogna capire che pretendere un’eccessiva comprensione del nostro dolore da parte dell’ambiente esterno illumina in realtà un nostro bisogno interno di comprendere quel dolore.
Gli altri sono importanti per noi per tirare fuori ciò che abbiamo dentro e da soli non potremmo mai farcela ma solo noi possiamo abbracciare fino in fondo ciò che ci è successo.
Perciò credo che l’ambiente esterno sia rilevante nella nostra vita ma ciò che ne facciamo internamente è ancora più rilevante.
La vita può creare come può distruggere, noi possiamo creare e distruggere, amare e odiare, sorridere e piangere, cadere e rialzarci; se intendiamo vedere la vita come un percorso di evoluzione allora come possiamo comprendere che non c’è sempre il sole, possiamo comprendere anche che nel più profondo del dolore è possibile provare la gioia più pura della vita.
È un percorso, un impegno che però credo valga la pena intraprendere sempre.
Guardando la natura possiamo trarre la forza che indipendentemente da quello che succede, vale sempre la pena rifiorire, splendere di nuovo, rinnovarsi, trasformarsi.
Sophia Molitor