Ovvero: sulla pigrizia di un cane che per il caldo non ha voglia di far niente
A Shagghi non gli va.
Non vuole dettare. Dice che il caldo lo sta abBAUttend… caspita, parlo come lui! Dice che il caldo lo sta abbattendo e non ha voglia di concentrarsi. Non ha voglia di far niente, dice. Se ne sta sdraiato in corridoio, tra la stanza di Francesca e il gabinetto, godendosi la penombra e quel refolo di corrente che circola con le finestre aperte, dalle serrande alzate a metà. È un flusso leggero di aria calda sbuffata ogni anno da “uno” diverso: quest’anno tocca a Lucifero, prima si sono dati da fare Caronte, Scipione, Hannibal e chissà chi altro. È un alito caldo, inodore, filtrato da zanzariere, tendine o fettucce di plastica, che investe ogni stanza, e materassi e divani. Ma non il pavimento, quello è fresco. Shagghi se lo gode spalmandosi sopra con il ventre come fosse marmellata sul pancarrè.
Nelle stesse stanze, l’odore del caffè si mischia con quello dell’abbronzante di Francesca, un bilanciamento tra amaro e dolce che se uno ne avesse voglia giocherebbe a fare il filosofo per scovare il senso della vita.
E poi nelle stanze arrivano le canzoni dalla radio. Potrebbero essere le colonne sonore di ogni estate, buttate a mo’ di sfida in faccia ai Lucifero-Caronte-Scipione-eccetera-eccetera di turno, perché sì, il ricordo dell’estate più calda del secolo sarà cancellato dalla nuova estate, ma il tormentone, quello lo canteremo sempre e ci farà sorridere (se non fosse per gli speakers che pur di far ridere interrompono musiche e testi: sembra che lo sanno che di lì a poco disturberà anche una volante a sirene spiegate o una colonna di Harley di passaggio verso un nuovo raduno).
Shagghi è assente, ormai ha la lingua fuori dai denti, poggiata sul pavimento per raccogliere un briciolo di frescura, fregandosene di tutto. Quasi di tutto: l’aspirapolvere è l’unica diavoleria che non sopporta. Passi lo speaker, e passi anche la volante a sirene spiegate, ma l’aspirapolvere no. Così, un occhio aperto e l’altro chiuso, respiro profondo e ventre spalmato, interrompe il sogno che l’ha fatto abbaiare tra sé e sé dando un senso a movimenti istintivi. Si alza molto lentamente. E va a bere l’acqua nella ciotola. Non abbaia e neanche mi guarda. Il suo divano potrebbe essere venduto assieme a quelli in saldo, non gliene fregherebbe nulla, oggi.
Tra il tavolino e il mobile del salotto c’è uno spazio senza tappeto, in mezzo tra il balcone e la finestra della stanza dei ragazzi. Annusa il nuovo refolo. Caldo come prima. Odore di caffè e di abbronzante. Amaro e dolce. Questa è la vita. Si spalma di nuovo. Non è una siesta. Che fatica. Abbasso la radio, tanto blaterano per far ridere. Ma che ci sarà poi da ridere?
«Shagghi, dettatino?». Niente. Uno sbuffo. Neanche un occhio aperto.
«Fai tu, Erne’, scrivi quello che ti pare: sulla fiducia».