Reyer: il primo amore non si scorda mai

Noi Venexiani, si sa, abbiamo un Dio per conto nostro. Sarà l’essere nati in un’isola, saranno le influenze di tutte le culture che negli anni abbiamo incontrato (e da cui spesso abbiamo attinto sia culturalmente che materialmente), sarà il nostro essere abituati alla forza delle maree che in un attimo possono distruggere tutto. Fatto sta che, per molte cose, il veneziano Doc vive in una maniera diversa dal resto delle persone, anche se ormai vive in terraferma da una vita.

C’è una cosa poi, che accomuna quasi tutti. L’amore per il Basket e soprattutto per la Reyer. Si certo, c’è il Venezia Calcio, ma non riesce ad unire i cuori all’unisono quanto il suono del pallone a spicchi sul parquet.

Il Sior Pare è sempre stato tifoso di entrambi gli sport, andava allo stadio a Sant’Elena a vedere le partite di calcio e alla Misericordia ( un palazzetto dello sport a Venezia? No, no. Una vecchia scuola eretta dal Sansovino nel 1500!) a tifare Orogranata.

Orogranata? Si, i colori della nostra bandiera. Un leone dorato con in mano il vangelo di San Marco in tempo di pace o la spada in tempo di guerra. Il tutto in campo rigorosamente granata.

Lo sport a Venezia è sempre stato molto importante, pensate che la “Società Veneziana di ginnastica Costantino Reyer” venne fondata nel 1872, una delle prime in Italia. La pallacanestro arrivò nel 1925 e riuscì a conquistare 3 scudetti negli anni ’40, due nel maschile ed uno nel femminile.

Quando avevo otto anni Siora Mare si fece convincere da una amica ad iscrivermi a mini Basket, non so nemmeno se il Sior Pare lo sapesse. Io giocavo a calcio in strada tutto il santo giorno con i miei coetanei, ma, una volta preso in mano il pallone da Basket, me ne innamorai follemente. Avevo negli occhi i racconti del Sior Pare, di come giocava divinamente il numero 15 per eccellenza, Drazen Dalipagic e dei suoi 70 punti contro la Virtus Bologna. Ricordo pomeriggi interi trascorsi con il Sior Pare in campetto a giocare. Lui che, dopo il lavoro, andava spesso a giocare con i colleghi, soprattutto con uno in particolare, ex giocatore proprio di quella Reyer.

Il Sior pare (come vi raccontavo ne La tigre e il can da burcio) è andato in pensione molto giovane, per cui mi portava a tutti gli allenamenti e alle partite. Spesso anche al palazzetto a tifare Reyer, prima all’Arsenale e poi al Taliercio. Le prime volte che ho giocato io in quei posti non so chi fosse più emozionato dei due. Stavo calcando quei Parquet sacri, dove fior fiore di campioni avevano giocato negli anni.

Eravamo al Taliercio quando vinse il play-off per tornare in serie A e subito venne retrocessa in C per l’ennesimo fallimento. Ricordo l‘emozione l’anno successivo nel giocare lì con ancora il punteggio e i nomi dei giocatori nel tabellone centrale. Eravamo lì anche quando fecero una partita benefica tra le vecchie glorie della Reyer e del Mestre.

Col tempo io sono cresciuta, ho cambiato sport e poi non abbiamo più avuto modo di seguire le partite dal vivo. Fino a qualche anno fa poi, purtroppo il Basket lo facevano vedere ben poco in televisione, per cui il Sior Pare comprava il giornale praticamente solo per leggere le news della sua squadra del cuore e poi commentarle insieme.

C’è un accordo tacito da sempre tra me e lui. Ci sono partite e partite. Sport e sport. Ma per certe vige la legge pizza, birra e improperi vari liberi. Sono quelle partite che non posso non vedere con lui, anche se ho l’impegno più importante. Prima la partita insieme e poi vado a fare quel che devo. In questa cerchia ristretta ci sono le partite della Juventus contro squadre top, la Champion’s League, il Gran premio di Formula 1 di Monaco, il 6 nazioni di Rugby, la nazionale e, ovviamente, le partite della Reyer.

Negli ultimi anni la Reyer era tornata in Serie A e finalmente qualificata per i play-off scudetto. Non ce ne siamo perse una. Sapendo comunque che era una lotta impari contro le corazzate avversarie. Ma noi lì, imperterriti a tifare, urlare, inveire. Fino a quel 20 giugno di tre anni fa.

  • Sior Pare, me dispiaze… eo so che xe gara sie e se vinsemo gavemo vinto el scudetto… ma go da star via par eavoro…” (Trad.: Sior Pare, mi dispiace… lo so che è gara sei e se vinciamo abbiamo vinto lo scudetto… ma devo rimaner via per lavoro…)
  • Ciò… vedi ti… ma ti ga proprio da restar ea? “(Trad.: Eh… vedi tu… ma devi proprio rimaner lì?) il tutto detto con voce tristissima e scoraggiata.

Che cos’è l’amore? L’amore per me è stato sentire quell’ultima sirena di fine partita, scoppiare a piangere, prendere il telefono ed intanto vestirmi.

  • Sior Pare, preparite che tra mezora so da ti, tira fora ea bandiera e te porto a far festa in piassa Fero.” (Trad.: Sior Pare, preparati che tra mezz’ora sono da te, tira fuori la bandiera e ti porto a far festa in Piazza Ferretto a Mestre)
  • Cossa?? Ti xe mata?? E come femo?” (Trad.: Cosa?? Sei matta?? E come facciamo??)
  • Meti zo e vestite!” (Trad.: metti giù e vestiti!)

Farsi 50 km a velocità inverosimile, continuando a piangere, pensando a quando fin da piccola mi portava all’arsenale a vedere le partite, al mio primo amore Dalipagic e al suo 15. Al volere ostinatamente quel numero di maglia che era però sempre della taglia più grande in assoluto. Alla prima volta che ho calpestato IO quel magico parquet a 10 anni. Alle domeniche al Taliercio. Al campetto. A tutte quelle partite viste insieme.

Arrivo finalmente a casa, il Sior pare è felice come un bambino. Lo porto in piazza, cori e salti e lui sventola orgoglioso “el Leon”. Perché lui all’ultimo scudetto c’era, e quella sera ha potuto festeggiarne un altro. E sarò pazza… Ma io ero più felice di lui. Perché ha realizzato un sogno. E non c’è età per smettere di sognare. 

Anna Bigarello