È passato un anno. Il 24 marzo 2020 è morta una mia amica, Tania, non per covid, ma perché il suo corpo ha detto Stop. Il suo dovere lo aveva fatto. L’ultima sua immagine che abbiamo è una foto in cui diceva di stare a casa con il disegno dell’arcobaleno e andrà tutto bene. Il giorno dopo se n’è andata.
Da lì è stata un escalation: positivi, speranze, chiusure. Intanto si riapre, la speranza. Con le giuste precauzioni la vita continua. Certo, con mascherina, distanziamento, non andare in luoghi di aggregazione.
E intanto ti crei il tuo equilibrio. In fondo, ho viaggiato tutta la vita, non sono mai riuscita a passarmi 2 giorni a casa in tuta in cazzeggio se non da ammalata, ben venga! Finalmente posso fare i miei puzzle, guardare i miei film, leggere i libri che voglio, le serie tv. Fare anche quei lavori in casa o mettere a posto come dicevo sempre che avrei fatto, ma quel giorno non arrivava mai!
E poi arriva la seconda notizia, Miriam, un’altra amica non ce l’ha fatta. E ripensi a tutti gli aneddoti.
E tu cosa fai? Tieni botta, certo hai le tue cose da fare, le persone che ami, i tuoi gatti. La vita continua, no? Per cui progetti, viaggi, convivenze, sogni, aspirazioni. In fondo, cosa mai potrà andare peggio di così?
E il cuore di un tuo carissimo amico smette di battere. Filippo. Così, senza preavviso. E tu pensi, (mille epiteti e intercalari veneziani), e piangi, ok. È la vita. Ha fatto quello che doveva e ora è luce e sta in un posto migliore. Respiri. Ok. Ce la puoi fare.
Vai avanti, che altro potresti fare? Sei chiusa in casa, ferma ma non immobile, anzi. La tua mente lavora eccome, si inventa mille cose da fare, tutte quelle che non hai potuto fare perché troppo presa da altro.
Finisce quel dannato 2020. Che in fondo per te è stato uno degli anni migliori davvero a livello di consapevolezza e obiettivi raggiunti. Cioè, parliamone, per una persona che ha sempre corso ovunque, parlato con 100 persone al giorno e dormiva 3 ore a notte, passare anche solo 2 giorni sul divano in tuta senza dover far altro che dormire e “farse i cassi sui” è una manna dal cielo, no?
Ma per chi è fatto come me vuol dire fare altre mille cose, sempre stando a casa. E con un genitore anziano vuol dire che le giornate sono ancora più brevi. Perché la maggioranza del tempo va a lui. E poi ti arriva la notizia che la tua amica che lotta da 5 anni contro una malattia bastarda e cattiva come non mai non ce l’ha fatta. E piangi. Stavolta tanto. Perché sai quanto ha lottato e sai che aveva sempre il sorriso più bello di tutto il locale ogni volta che entrava. Perché la sua risata era incredibile e indimenticabile e come ti abbracciava lei nessuno mai.
Ok. Devi ripartire. Anno nuovo vita nuova. Ok, è appena morta Paola. Lei amava la vita come poche persone che ho conosciuto, non posso onorarla andando a mangiar pesce con lei a Caorle come facevo ogni anno, ma posso vivere. IO SÌ.
Ricominci, per l’ennesima volta ti asciughi le lacrime. Ti rimbocchi le maniche e vai avanti. Per chi ti ama, per chi hai al tuo fianco, e soprattutto per te stessa. Ma è dura. In fondo, siamo tutti parte di un tutto, è il ciclo della vita. E ti scrivono, oggi Alberto è mancato, lo hanno trovato senza vita nel letto.
Cazzo, Lui no! E ripensi a una serata assurdissima del 2010 in cui lui era a casa tua a farti i capelli per andare ad una festa organizzata da Paola a Pordenone. E ridi. Cazzo se ridi. E piangi, cazzo se piangi. E, altri mille epiteti veneziani, perchè a questi 5 funerali io non ho potuto esserci?!?
E poi pensi: “Ma quanto se la stanno ridendo questi stronzi, che se la sono vissuta alla stra grande, di noi, qui, a piangere per loro?!?“
La vita è una. Non so voi, io mi arrabbio per stronzate, e invece dobbiamo solo viverla.
E il resto? GS*!
*GS: Abbreviazione di un noto intercalare veneziano usato per infiniti motivi, in questo caso per “chissene frega”