Intervista con l’autore: Roberto Mistretta
Sei uno scrittore di romanzi gialli, molto apprezzato anche all’estero, nel 2019 hai vinto il Premio Tedeschi. Sei anche un giornalista. Quanto i fatti di cronaca influenzano i tuoi romanzi?
Per quanto mi riguarda, i fatti di cronaca sono fondamentali per trarre degli spunti attorno a cui ideare una trama e articolarla nella sua evoluzione e nelle sotto trame. Sotto quest’aspetto nella nostra isola non ci facciamo mancare nulla, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Capita così, anche mentre sto già scrivendo un nuovo romanzo, che un fatto di cronaca spicciola trovi spazio nella trama, magari per offrire soltanto una riflessione di tipo ambientalista, penso ad esempio all’ennesima discarica abusiva sequestrata in pieno centro abitato, o uno spunto di riflessione dolceamaro, vedi i manifesti listati a lutto affissi nottetempo per annunciare a chi deve sapere, la dipartita familiare del collaboratore di giustizia che decide di vuotare il sacco con la magistratura.
Parlaci del tuo incontro con Don Fortunato.
Tutto ebbe inizio con “Il canto dell’upupa”, romanzo con protagonista il maresciallo Bonanno, emotivamente e fisicamente impegnato a dare la caccia a Salomone, il capo di un’organizzazione mondiale di pedofili, per liberare Michelino, un compagnetto che va a scuola con la figlia.
Pubblicato la prima volta nell’ormai 2002, volli, fortissimamente volli, che lo tenesse a battesimo don Fortunato Di Noto di cui conoscevo l’impegno contro la pedofilia. Non avevo mai incontrato prima don Fortunato, ma ci prendemmo subito. Il romanzo venne poi ripubblicato da Cairo e infine, tornò in libreria per la terza volta nel 2018 con Frilli Editore e in quell’occasione chiesi a don Fortunato di scriverne la prefazione. Quando fui invitato a presentarlo alla Feltrinelli di Catania, siamo a ottobre 2018, chiesi di nuovo a don Fortunato di starmi accanto, insieme all’amica Giovanna Caggegi. A presentazione conclusa cenammo in una tipica trattoria di Catania e lì don Di Noto ci raccontò le sue difficoltà di ogni giorno affrontate con la propria associazione, Meter, le difficoltà di veicolare un messaggio che sappia di formazione, prevenzione, denuncia e recupero.
Decisi in quel momento che dovevo dare voce dal di dentro alla sua storia, ma raccontandola a modo mio, presentando in maniera snella ma con suspense da romanzo l’opera dell’uomo, del prete e del cacciatore di pedofili a livello planetario, tutte figure che indubbiamente convivono in lui in egual misura.
La pedofilia è un crimine così orribile che risulta difficile perfino pronunciarne il nome. Te ne sei occupato in uno dei tuoi romanzi: Il canto dell’upupa. Adesso in questa biografia di Don Fortunato. Qual è stato il tuo approccio?
L’approccio originario che ha mosso i miei primi passi per cercare, non dico di capire, ché capire non si può, ma almeno di parlare di questi orrori, nasce dal mio essere padre di numerosa prole. Mi sono chiesto: e se fosse capitato ai miei figli, cosa avrei fatto? La molla scattò quando in un quartiere di una delle nostre civilissime città, siamo alla fine degli anni ’90, si scoprì che tre bambini piccolissimi, due maschietti e una femminuccia, invece di andare a scuola, una volta ma anche due volte a settimana venivano portati in un retrobottega da due tipi che loro chiamavano zii. E lì venivano abusati e gli abusi venivano filmati e poi rivenduti in videocassette Vhs. Quando la scuola e i servizi sociali e la parrocchia, visti andare a vuoto con le famiglie le segnalazioni delle continue assenze, si insospettirono e segnalarono la cosa ai carabinieri e gli abusi vennero scoperti, i genitori dei bambini insorsero, non contro i pedofili, ma contro le istituzioni. Mi chiesi inorridito: ma se neppure le famiglie difendono i bambini dagli orchi, allora chi difende queste creature? Scoprii un mondo di orrori che è ancora peggio di quel che credevo e trovai da allora la voce di don Fortunato che urlava forte in difesa dei nostri bambini. Una voce che non ha mai smesso di agire, segnalare, aiutare.
Parlaci dei tuoi progetti futuri. Cosa bolle in pentola?
Di progetti non ne mancano. Sto rimuginando un’idea impegnativa per tentare di raccontare dal di dentro come è stato fin troppo facile nella nostra terra allevare giovanissimi assassini e bruciare la loro stessa vita con quella delle vittime assassinate, ma sono molto combattuto se portarla avanti o accantonarla, per le indubbie difficoltà e le insidie che comporta. Vedremo che succederà.
Ho consegnato un corposo racconto a Franco Forte che dovrebbe confluire in un’antologia sul Giallo Mondadori. Abbiamo già ideato perfino il titolo.
Sto ultimando la revisione di due romanzi di genere hard boiled che la mia agente aspetta da un po’ e che dovrebbero far conoscere un nuovo, inquietante personaggio, che mi auguro possa fare breccia nei lettori: Gelo Duncan.
Sono in attesa di rivedere in libreria il ruspante maresciallo Bonanno, ma credo che bisognerà avere pazienza sino al 2022 per vederlo tornare in azione.
Infine mi piacerebbe lavorare con uno dei miei editori a un progetto a cui tengo molto: le mie fiabe per bambini. Sarebbe bello farle conoscere, magari con le illustrazioni degli stessi bambini.