Un sogno lungo (19?) 55 anni. L’ultimo campionato del Venezia vero, quello rigorosamente nero verde, in serie A, risale alla stagione 1965 – 1966. Per questo molti veneziani non festeggiano la promozione: questa squadra è frutto della fusione tra il Venezia e il Mestre, ha le maglie arancioneroverdi e per gli irriducibili proprio Venezia non è.
Per i mestrini ancora meno, alla faccia della Città Metropolitana. Questa cosa dei lagunari e dei “campagnoli” va avanti da secoli. Non se ne viene fuori, e puntualmente a ogni referendum i veneziani trasferitisi loro malgrado in terraferma rifiutano la separazione, perché se la necessità li ha portati lontano da calli e campielli, il cuore da lì non si muove. Non ne vuole proprio sapere.
Sarà per questo che questa tanto agognata promozione è quasi passata in sordina nelle testate nazionali?
Tant’è, torniamo a noi. Per me lo stadio Penzo è casa. Ci andavo in pancia della Luisa, ho passato tutte le domeniche delle partite casalinghe allo stadio fino a un’età indefinibile.
Quando, mentre i grandi guardavano la partita, noi bambini giocavamo e raccoglievamo le pratoline nel corridoio erboso tra gli spalti e la rete, altro che sicurezza e ultras! Era una festa ogni domenica.
E poi, sulle spalle di papà, si tornava da Sant’Elena a piedi fino alla pasticceria dello zio. Capite bene che, per un veneziano verace, certe cose ti restano dentro. Andare a vedere la partita era il momento più bello per tutta la famiglia: cugini, zii, zie annoiate ma costrette, amici e nemici diventavano un sol uomo.
Su tutti troneggiava nonno Ciccio, che avrebbe voluto fare il violinista ma invece era un biavarol, di quelli col palagremo e la matita dietro l’orecchio*.
L’uomo più pacifico del mondo si trasformava peggio di Dottor Jeckill e Mister Hyde. Tanto tranquillo e scanzonato nei giorni feriali, quanto assatanato la domenica. Famosi i cappelli che si mangiava a ogni gol mancato. Praticamente socio onorario della Borsalino.
Lui, il suo Venezia, non l’ha mai abbandonato. Anche quando è retrocesso che più giù non si poteva, anche quando giocava in campi dove non c’erano nemmeno gli spalti.
Era il suo sogno, il Venezia di nuovo in serie A. Non è riuscito a vedere quella conquistata nella stagione 1997 – 1998 né l’ultima, targata 2000 – 2001, da qui il sogno lungo 19 anni. Mio nonno però era uno sportivo, e amava il calcio. Campanilista sì, ma fino a un certo punto.
Questa splendida città, che vanta glorie come il Venezia Foot-Ball Club fondato il 14 dicembre 1907 e la Reyer nel basket, ha tutto il diritto di festeggiare.
È stata un fantasma per un anno, e con lei i suoi abitanti. I negozi con le serrande abbassate, i bagni pubblici chiusi, perfino il Caffè Florian che si arrende temporaneamente, dopo 300 anni di storia. Moltissimi perdono il lavoro.
È stato un anno terribile per la nostra città, senza nulla togliere agli altri. Qui le cose vanno diversamente, dalla camoma* nel camminare se non hai impegni alla falcata degna di un velocista che caratterizza ogni nativo in quel della laguna.
Venezia non è una città. Venezia è uno stato d’animo, è amore puro per ogni masegno. Gioisci e soffri insieme a lei, ti allarga il cuore ma te lo strizza anche come fosse un canovaccio bagnato.
E voglio pensare che, considerato tutto quello che hanno passato e stanno passando i veneziani in questo periodo, con una città che è stata per lungo tempo il fantasma di se stessa, questo sia un raggio di luce.
Così anch’io, nipote di un irriducibile Leone Neroverde, che al funerale è stato salutato dal gonfalone della sua squadra del cuore portato da due dirigenti, mi unisco alla gioia dei miei concittadini.
Perché quando tutto va storto, quando il futuro è ancora incerto, quando fai fatica a portare il pane in tavola, vedere famiglie intere ritrovare il sorriso, anche solo per undici uomini in mutande che corrono dietro a un pallone, è l’istantanea di uno spiraglio di serenità.
Grazie Bocalon, il gol al 93mo di un Veneziano per il Venezia avrebbe fatto mangiare al nonno l’ennesimo cappello. A me, pensando a lui, ha fatto spuntare una lacrima.
cricol
Un grazie grande quanto la promozione in serie A ai ragazzi di AVENESSIA.COM per l’immagine di copertina e a Timo Nequin per le splendide foto.
*Biavarol: colui che gestisce un negozio di alimentari. Palagremo: il grembiule lungo. Camoma: andamento lento.