Chiara Rosa e il fuoco sacro delle Olimpiadi

Chiara Rosa, capitana della nazionale azzurra di atletica, vincitrice del titolo assoluto italiano nel getto del peso ininterrottamente dal 2005. Una delle nostre atlete più rappresentative ma anche forse meno conosciute. Ma come si arriva a certi livelli fino a realizzare il sogno di una vita intera e partecipare a una olimpiade (nel suo caso due)?

Ciao Chiara, stanno per iniziare i giochi olimpici di Tokyo, tu hai partecipato a Pechino 2008 e Londra 2012, rimanendo a sorpresa a casa da Rio 2016. Quest’anno?

“Io ci ho provato, ho quasi 39 anni sono arrivata a una decina di posizioni comunque, quindi non proprio lontana dalla qualificazione”.

Come funzionano le qualificazioni olimpiche?

“Ogni volta i criteri cambiano, per Pechino mi hanno chiesto una misura molto alta, 18 metri e mezzo, io ero giovane e molto forte e ci sono arrivata. A Londra 18 metri e 35 e invece a Rio hanno messo quattro criteri. Il primo era quello di arrivare a una determinata misura, che io ho raggiunto 5 volte, poi bisognava arrivare tra le prime otto agli Europei e io non ce l’ho fatta, aver dato prova di stabilità negli anni (che devo ancora capire cosa vuol dire) e scelta tecnica federale. A Rio sono comunque andate 11 persone che non avevano raggiunto tutti e quattro i criteri e non erano arrivate tra le prime 8 agli europei, per cui io mi sono fatta l’idea che il criterio per cui mi hanno lasciata a casa sia stato la scelta tecnica, però non ho mai avuto una spiegazione in merito. La avanzo da cinque anni. Infatti, l’altra settimana quando sono uscite le convocazioni per Tokyo ero molto combattuta tra un paio di sentimenti: uno la felicità nel vedere che hanno convocato tutte, ma proprio tutte le persone convocabili, e io mi sono ritirata un paio di ore nel letto per l’ennesima volta pensando ai criteri che avevo subito io.

Quest’anno quali erano i criteri?

“I criteri per quest’anno erano: aver fatto la misura o il tempo nella finestra temporale che per altro poi è stata aperta e poi chiusa per il Covid e riaperta, oppure essere nei concorsi di atletica tra i primi 32 al mondo in un ranking che si forma nella somma delle tue cinque migliori gare, dove anche le gare danno dei punteggi diversi: cioè, se io vinco il campionato italiano, oltre ai punti che faccio con la mia misura becco 100 punti, se io vinco la gara della salsiccia oltre ai punti che prendo con la mia misura prendo 15 punti”.

Oltre al campionato italiano immagino tu abbia vinto anche molte gare della salsiccia…

“Sì, esatto. Però, per esempio, qui in Italia non c’è stato un solo Meeting nel peso da 40 punti, mai quest’anno. Questo non significa che io sarei riuscita andare a Tokyo, eh”.

Come si arriva a un’Olimpiade?

“Ora sono nella settimana internazionale in cui mi chiedono “Ma tu non sei a Tokyo? Come mai non sei a Tokyo? Ma solo 2 Olimpiadi? La Pellegrini ne ha fatte 5!” Là bisognerebbe rispondergli “Ma tu, un’Olimpiade hai idea da dove si costruisce? È difficile immaginarla un’Olimpiade, e abbiamo talmente poca cultura dello Sport in Italia”.

Per questo stiamo cercando di sentire anche atleti di una certa rilevanza ma in sport meno conosciuti qui in Italia, proprio per capire il senso di un’Olimpiade.

“Ci sono delle storie dietro, dei sacrifici, che poi non mi va di chiamarli sacrifici, perché io lo volevo fare e non è mai stato un sacrificio, anzi io sono una privilegiata perché sono in un gruppo sportivo e quindi lungi da me, però davvero non si ha idea da dove parta il viaggio che ti porta ad andare ad una Olimpiade, questo per qualsiasi sport.”

Non è facile spiegarlo quando fai semplicemente uno sport amatoriale e non puoi uscire il venerdì sera perché hai allenamento o la partita, figuriamoci per te che ne hai fatto un lavoro.

“Appunto, dietro c’è una costanza, un fuoco sacro, che sembravo indemoniata!”

Un po’ come gli occhi infuocati di Mila & Shiro o gli occhi della tigre di Rocky!

“Esattamente! Però dai, è stato bello comunque tutto quanto, adesso che ne ho la consapevolezza, che sono più grande”.

Come sei arrivata a uno sport così poco conosciuto come il tuo, penso alle scuole medie, provi un po’ tutte le discipline dell’atletica, ma come decidi di dedicarti a questo?

“Io nasco come un essere iperattivo con una necessità estrema di muovermi e fare sport. Tra centri estivi, centri di avviamento allo sport del Coni, facevo nuoto, giocavo il pomeriggio… ho provato davvero tante discipline da piccola e poi, sostanzialmente quando non ho più potuto fare nuoto perché coincideva con il rientro pomeridiano a scuola, e dovevo altrimenti andare più distante… quelli che mi avevano visto ai centri dell’atletica hanno chiesto ai miei genitori di andare là ed è stato naturale. Un vestito che mi è calzato a pennello da quando avevo 12 anni. Non so dirti se esista il discorso “Nata per…” però probabilmente mi sono abbastanza avvicinata: avendo provato tutto, ho proprio trovato quello dove ero più forte.”

Hai trovato il modo di esprimere il tuo talento.

“Sì, poi sai, vinci qualche garetta quindi ti appassioni, ti piace… è logico che non sono nata che volevo lanciare un peso. Fosse stato per me avrei giocato a calcio anche io! Però col peso arrivavo prima, le garette, le coppe, i premi, la prima maglia azzurra giovanile… e poi, altro aspetto fondamentale, sono riuscita a dare un senso alla mia fisicità. Perché non è semplice a 13 anni essere 1 metro e 78 per 90 chili! Per dirti ho la canottiera di Micheal Jordan comprata nel 1994 che mi va bene ancora adesso! Non è proprio semplice rapportarsi, poi sai l’adolescenza, i ragazzini sono cattivi… e io invece avevo la mia bella coperta di Linus dell’atletica leggera. “Io sono grossa però vinco le gare.” Questo mi ha salvata, perché altrimenti penso sarebbe stato molto più duro, un disagio, insomma molto meno semplice”.

Quindi per te è stato un percorso naturale.

“Sì, l’atletica mi ha dato un’identità e adesso mi sto adoperando per scoprirne delle nuove. Perciò viva l’atletica, viva lo sport! Poi, ripeto, io avevo questa forte necessità di muovermi e fare sport, ero appassionatissima, guardavo tutte le gare. Mi ricordo di aver visto Barcellona ’92 a 9 anni con gli occhi sognanti. Per non parlare delle edizioni successive! Atlanta ’96 avevo il fuso americano, Sidney 2000 avevo il fuso australiano, Atene 2004 stavo solo in camera a guardare le gare. Ero proprio maniaca. Maniaca di Antonio Rossi, Juri Chechi, Fiona May… i miti di quegli anni, avevo i poster in camera. Mi ricordo la prima volta che mi ha parlato Fiona, sono morta! E poi la cosa figa è che quest’anno, da capitana, ho fatto la matricola a sua figlia, per dire la vita”.

Larissa Iapichino che sfortunamente si è infortunata a pochi giorno da Tokyo.

“Sfortunata davvero, ma d’altra parte forse è stato meglio così, prima di buttarla nella fossa dei leoni. Perché poi quando sei in Italia si innesca tutto un meccanismo per cui devi solo fare risultato risultato risultato che tu abbia 18 o 28 anni non cambia. E anche là ci vuole una gran testa per sopravvivere a quel tipo di urto psicologico che è. Sei solo una misura, non sei più una persona, sei un risultato. Certo, viviamo per quello, però io ho sempre preferito anche le persone”.

Torniamo a come sei arrivata alla tua prima Olimpiade.

“Questo è stato l’inizio, una matta, scatenata, appassionata che poi trova quello che le viene bene. E poi ti lascio immaginare ritrovarmi effettivamente a un’Olimpiade, Pechino 2008, avevo 25 anni. Poi arrivavo da un anno dove avevo fatto il record italiano, ero arrivata settima al mondiale outdoor e quarta al mondiale indoor, ci arrivavo bene”.

E le emozioni quali sono, quando arrivi a un’Olimpiade?

“Per me è stato proprio il cuore che esplode e si spacca, perché era proprio il sogno di tutta la mia vita. Poi arrivare là, all’areoporto ci aspettavano Juri Chechi e Antonio Rossi, roba da matti. Per non parlare poi il primo pranzo in mensa, non capivo più nulla perché c’erano tutti! C’era Nadal, Djokovic, Le Bron James, Kobe Bryant, Ronaldinho… io non capivo nulla, ma solo perché c’erano Juri, Pino Maddaloni di Atlanta, perché c’era Clemente Russo, la Pellegrini già io non capivo più nulla. Immaginati da appassionata a trovarmi lì in mezzo: è stata la realizzazione di tutto quanto un percorso che è partito mentalmente per me come desiderio da piccolina, come pensiero operabile da quando sono entrata nel gruppo sportivo nel 2004. Lì ho proprio iniziato a valutare l’ipotesi di andarci seriamente”.

Inizialmente è un sogno e poi, col tempo, ci lavori giorno dopo giorno per arrivarci…

“Sì, poi io ho avuto un allenatore storico che mi ha allenato dagli 11 ai 33 anni che è stato il mio maestro di vita, la più grande fortuna che ho avuto, una persona incredibile che mi ha forgiato”.

Un po’ come Castagnetti per la Pellegrini.

“Esattamente, io lo chiamo il Maestro Miyagi, anche perché io ero parecchio fuori, questo si è ritrovato tra le mani una sì forte e talentuosa ma ero proprio matta!”.

Se mi dovessi dire il momento più bello della tua carriera?

“Eh… se la giocano, ma iniziare a scaldarsi proprio lì all’Olimpiade che guardavo la torcia, mi mettevo a piangere, poi ridevo e poi piangevo, ero fuori completa. Entrare, fare il primo lancio e andare subito in finale. Una cosa che se non sono morta d’infarto là non muoio più! Poi ce ne sono stati altri di molto belli, ma l’ingresso lì allo stadio olimpico con 91mila persone alle 8.30 del mattino con Bolt lì in parte che corre è stato pazzesco”.

Lo stadio “Nido d’uccello” di Pechino.

“Bird’s nest, sì, sembrava un’astronave, anche lì, tra le varie edizioni c’è un parco olimpico come quello di Pechino, per quanto c’era un clima pessimo, non si vedeva il sole, ecc. però tra lo stadio, lo stadio dell’acqua in parte, il parco olimpico… una roba… sembrava di essere sulla luna!”.

Tra Pechino e Londra quale ti è piaciuta di più?

“Londra la chiamo l’Olimpiade Take away, Pechino era l’Olimpiade della lavatrice per tutti questi sentimenti. A Londra, gareggiando il martedì sono arrivata il sabato e sono andata via il mercoledì. Mi sono goduta poco la cosa, bellissimo lo stadio comunque. Non sono stata lì al villaggio olimpico, ci hanno fatto andare all’ultimo secondo. Pechino invece sono andata prima per l’adattamento, fuso orario ecc, sono entrata nel villaggio qualche giorno prima. Londra bella ma… take away, goduta un po’ meno”.

Su chi punti degli italiani quest’anno per una medaglia? Visto che li conosci praticamente tutti.

“Nell’atletica spero e mi auguro che ci riescano intanto le nostre due marciatrici, che sono Eleonora Giorgi e Antonella Palmisano, una per la 20 km e l’altra per la 50. Perché loro sono effettivamente molto brave e molto forti, spero che ce la faccio Gimbo (Gianmarco Tamberi) perché poi sei ad una Olimpiade, prendere una medaglia… e poi credo in Jacobs medagliato però non voglio tirargliela e non lo dico, però penso che Marcell, per come l’ho visto, possa giocarsi le sue chance e sarebbe una cosa galattica! Glielo auguro perché è proprio un altro bravo Cristo, uno che ha patito le pene dell’inferno, che si è fatto un sacco male, che ha dovuto cambiare specialità… glielo auguro proprio di cuore. Tutto il resto può succedere, può succedere di tutto perché è l’Olimpiade, proprio per il fatto stesso che è l’Olimpiade certe cose lì succedono. Spero ci siano dei finalisti a 8 che allora sei proprio lì, se entrasse un pesista tra Fabbri, Weir. Le nostre due altiste, la Vallortigara e la Trost. Ce ne sono. Anche Fausto Desalu nei 200mt è messo bene, anche i quattrocentisti e le staffette possono fare bene. Quindi staremo a guardare con grande entusiasmo”.

Tu in particolare visto che sei il capitano.

“Infatti li chiamo i miei ragazzi, visto che li ho battezzati quasi tutti io! Sono il capitano ancora nel momento in cui facciamo una gara in Europeo in cui siamo tutti. Ora alle Olimpiadi penso lo siano Gimbo e la Palmisano. Io comunque li seguo, i miei “tosati”(nda: ragazzi in padovano). Poi ci sono ragazzi di 21 anni a un’Olimpiade, non capiranno nulla, cari. Mi dispiace non ci sia il pubblico, è un’Olimpiade un po’ così da questo aspetto, però un’Olimpiade è sempre un’Olimpiade e io auguro loro solo il meglio perché sono prima di tutto una tifosa”.

Per concludere cosa diresti ai nostri lettori?

“Sempre e comunque grazie al mio gruppo sportivo, le Fiamme Azzurre, che ha reso possibile tutto questo. Meno male che ci sono i gruppi sportivi!”

Grazie di tutto Chiara, sei stata gentilissima! Buon tifo!

Anna Bigarello