Classe 1973, a 17 anni è in A1 con la Pallavolo Falconara. Il 15 dicembre 1993 fa il suo esordio nella nazionale italiana durante l’All Star Game e l’anno successivo fa il triplete con la medaglia d’oro alla World League, al campionato mondiale e alla World Top Four.
Quattro medaglie olimpiche al collo – argento ad Atlanta 1996 e Atene 2004, bronzo a Sidney 2000 e Londra 2012 – Samuele Papi è l’uomo delle diagonali strette dalla prima linea, di quelle che gli avversari vedono a malapena passare finché la palla non tocca terra nell’angolino più imprendibile del campo. Ma è anche uno che non molla mai, difende, riceve, butta l’anima in ogni palla pur di aiutare la squadra.
Tredici stagioni nella Sisley Treviso, lascia la nazionale dopo Londra 2012, ma è solo a fine stagione 2016-17 che appende le scarpe al chiodo.
Schivo, gentile, sempre disponibile, mai sopra le righe, Samuele Papi ha vinto tutto, ma proprio tutto. Nel World Top Four, anno 1994, è suo non solo il titolo di miglior attaccante, ma anche quello di miglior difesa. Ben nove anni dopo, arriva il titolo di miglior ricevitore al Campionato Europeo. È ancora il miglior attaccante alla World League nel 2004.
Samuele è la magia del volley mista a intelligenza, grande senso del gioco, spirito di sacrificio. Per chi ama la pallavolo, vederlo giocare dal vivo era pura poesia.
In nazionale azzurra dal 1993 al 2012, ventisette anni di attività, 339 presenze, è uno dei giocatori della generazione di fenomeni* della nazionale italiana maschile, considerata una delle formazioni più forti di tutti i tempi, appellativo coniato da Jacopo Volpi sull’onda della canzone degli Stadio. È nel team della finale olimpica del 1996, quando gli Olandesi ci soffiano l’oro per due punti, al tie-break. Nel 2007 si prende una pausa dal team azzurro ma poi ritrova gli stimoli giusti e va a conquistare il bronzo a Londra 2012. A 39 anni.
Quest’estate la sua Olimpiade è stata un po’ diversa: nominato dalla Federvolley dirigente accompagnatore della nazionale maschile, si è trovato dall’altra parte della barricata. E pare gli sia piaciuto.
Appena rientrato da Tokyo, ancora sotto l’effetto del jet lag, dimostra ancora una volta la stoffa del campione.
Samuele, per uno che ha quattro medaglie olimpiche al collo, com’è stato viverla dall’altra parte della barricata e vedere come questa squadra, cui teniamo tutti particolarmente, non è andata avanti.
“Allora, l’Olimpiade è sempre l’Olimpiade, nel senso che è una manifestazione che a me ha sempre dato delle grandi emozioni e che mi ha fatto vivere belle esperienze sia nel bene sia nel male, nelle vittorie e nelle sconfitte. Dall’altra parte si soffre molto di più. Questa è la sensazione che ho riscontrato stando fuori in questa nuova veste, con il Canada quando eravamo sotto di due set, o con l’Argentina al tie-break: si soffre molto di più. Sinceramente non pensavo così tanto, perché comunque – riflettendo tra me e me – mi venivano in mente i momenti caldi da giocatore. Lì si pensava a cosa fare in campo. Da fuori vedi che le cose vanno male, che non si riesce a recuperare e stai lì, ti dici speriamo che giri perché la vivi tanto, però non sei là dentro. È quello il discorso”.
Verissimo. La vivi tanto, però non sei là dentro. E soffri anche di più perché ti verrebbe spontaneo fare determinate mosse ma non puoi. E com’è stato vivere queste Olimpiadi in cui hai toccato con mano anche i risultati incredibili delle altre discipline? E con lo spettro del Covid?
“Ci sono stati risultati un po’ inaspettati, la spedizione Italia è andata molto bene nelle altre discipline, forse è stata invece a livello pallavolistico quella che è andata meno bene”.
In effetti il basket è andato da underdog, contro il parere di tutti. Il volley partiva abbastanza favorito, e per gli italiani sia la squadra maschile sia la femminile potevano puntare a un podio.
“Devo dirti la verità, da podio secondo me forse all’inizio era più la femminile. Poi tutto può succedere in un’Olimpiade. Ci si prova fino alla fine. Guarda la Polonia, da favorita è uscita ai quarti di finale con la Francia che è campione olimpico. Quello che io ho visto è che tutto lo staff, i ragazzi, gli allenatori e gli assistenti hanno fatto il massimo possibile durante l’estate per arrivare bene a questo appuntamento. Poi ci sono state anche le sfortune, con l’infortunio di Giannelli che ha stretto i denti e ha giocato lo stesso. Però io credo che se uno ha le occasioni, soprattutto ad alto livello, e noi le occasioni le abbiamo avute contro l’Argentina, se non si sfruttano si pagano. Eravamo partiti bene il primo set. Nel secondo al famoso cambio bene, eravamo avanti. L’Argentina ha dimostrato in questo torneo di non mollare mai, perché ha fatto diventare matti tutti, quand’è così e non sfrutti le occasioni e metti sotto l’avversario, la paghi. Ed è andata così, con errori nostri e quindi dispiace soprattutto per questo: ce la potevamo giocare e non ci siamo riusciti, bisogna prenderne atto. Questo fa parte dello sport. Bastava essere un pochino più bravi in un paio di occasioni e saremmo andati a giocare la semifinale, non posso sapere come sarebbe andata a finire, però… I giocatori tutti e tutto lo staff ci tenevano ad arrivare più in là possibile, purtroppo non è successo ed è andata così”.
Purtroppo non è successo, come dici tu, ma è anche vero che chiunque giochi contro di noi sembra animato dal fuoco sacro, con il turbo addosso rispetto ad altre partite.
“Quello sempre. Mi ero dimenticato di rispondere a com’è stata l’Olimpiade col Covid. Siamo riusciti a farla per l’organizzazione giapponese, per la rigidità delle regole. È stata un’Olimpiade vissuta abbastanza normalmente. Si doveva girare sempre con la mascherina, e nella mensa – questa è la cosa che ti lasciava un po’ di amaro in bocca – c’erano dei tavoloni lunghi e ogni postazione era divisa dal plexiglass. Quindi tu mangiavi con uno di fronte a te ma col plexiglass tutto attorno, e per parlare con la persona che avevi davanti dovevi urlare. Ci si è dovuti armare di un grande spirito di adattamento, ma questo è valso per tutti, con tamponi salivari ogni mattina, andare dal dottore e anche una procedura all’aeroporto molto lunga, dalle tre alle quattro ore”.
Ho visto comunque un bel team, affiatato.
“Come ti ho detto, quelli che ci sono rimasti male di più sono i giocatori. Loro ci tenevano tanto a fare bene, sono davvero rammaricati per quello che è successo. Il gruppo era buono”.
Ci sta. Come dici tu non giochi da solo, poi devi anche imbroccare la giornata giusta, ci sono tanti fattori. Senti, finisce l’era Blengini inizia quella di Fefè De Giorgi. Secondo te ci saranno tanti cambiamenti, terrà la rivelazione Michieletto?
“Sono venuti fuori dei giovani interessanti, come Alessandro Michieletto che a 19 anni ha giocato con una grande personalità. Prima Olimpiade, non ha avuto paura di niente, ha battuto sul 24 a 22 per l’Argentina, sul 14 – 12 per l’Argentina al tie-break tirando forte senza timore, quindi sicuramente farà parte del progetto. Poi parliamo dello stesso Galassi, un giocatore giovane di 24 anni, Sbertoli di 23 anni. Giannelli lo consideriamo un gran giocatore ma ne ha 24 anche lui. Chiaramente alcune cose saranno cambiate, verrà data anche ai ragazzi che hanno fatto la VNL la possibilità di integrarsi con questo gruppo e poi ci sarà da lavorare, perché comunque le nazionali avversarie non stanno certamente a guardare, il livello è alto. Infatti faccio un grosso in bocca al lupo a De Giorgi per restare sempre lì. Poi vincere o perdere si vede in partita”.
Quello che mi è piaciuto tanto, al di là del risultato, è che ci sono stati 12 giocatori in campo. Tutti hanno dato il loro contributo.
“Sì, si sono sempre fatti trovare pronti e hanno dato tutti il proprio contributo, chi per due palloni, chi per un set hanno sempre aiutato la squadra, e questo fa capire che il gruppo c’era, una pagina positiva di quest’avventura azzurra”.
Si chiude un ciclo, se ne apre un altro. Ci diamo appuntamento a Parigi 2024. Ma ho un’ultima domanda: cosa ti sei portato a casa da Tokyo?
“Mi sono portato a casa il piumone del villaggio con scritto Tokyo 2020”.
E la risata argentina è la stessa di quando usciva dal campo, felice.
cricol
Samuele Papi, il palmares.
*Sotto la guida dell’argentino Julio Velasco, campioni del calibro di Andrea Zorzi, Luca Cantagalli, Andrea Lucchetta, Paolo Tofoli, Lorenzo Bernardi, Andrea Gardini, Pasquale Gravina, Andrea Giani e Samuele Papi portano l’Italia sul tetto del mondo in un ciclo di successi senza eguali. Nasce da qui la generazione di fenomeni, con cui la nazionale azzurra conquistò tre titoli mondiali consecutivi (1990-1994-1998), portò a casa altri tre ori europei e otto edizioni della World League. Unico neo, l’oro olimpico.