Dalla quarta di copertina. Germania, 1943. Hans Heigel, ufficiale di complemento delle SS nella piccola cittadina di Osnabrück, non comprende né condivide l’aggressività con cui il suo Paese si è rialzato dalla Prima guerra mondiale; eppure, il timore di ritorsioni sulla propria famiglia e la vita nel piccolo centro, lontana dagli orrori del fronte e dei campi di concentramento, l’hanno convinto a tenere per sé i suoi pensieri, sospingendolo verso una silenziosa convivenza anche con le politiche più aberranti del Reich. Più importante è occuparsi della moglie Ingrid e, soprattutto, dell’amatissima figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può, però, mettere da parte i propri valori per un grigio quieto vivere?
Hans lo scopre quando la più terribile delle tragedie che possono capitare a un padre si abbatte su di lui, e contemporaneamente scopre di essere stato destinato al campo di sterminio di Sobibór.
Chiudere gli occhi di fronte ai peccati terribili di cui la Germania si sta macchiando diventa d’un tratto impossibile… soprattutto quando tra i prigionieri destinati alle camere a gas incontra Leah, una bambina ebrea che somiglia come una goccia d’acqua a sua figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può spingersi pur di proteggere chi gli sta a cuore? Giorno dopo giorno, Hans si ritrova a escogitare sempre nuovi stratagemmi pur di strappare una prigioniera a un destino già segnato, ingannando i suoi commilitoni, prendendo decisioni terribili, destinate a perseguitarlo per sempre, rischiando la sua stessa vita… Tutto, pur di non perdere un’altra volta ciò che di più caro ha al mondo.
Ispirandosi a fatti drammatici quanto reali, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ci trasportano nelle tenebre profondissime di una pagina di Storia che non si può e non si deve dimenticare – soprattutto oggi – mostrando però che persino nella notte più nera possono accendersi luci di speranza, a patto di vincere le nostre ipocrisie e lasciarci guidare dall’unica che ci accomuna tutti: la nostra umanità.
Recensione
“La bambina e il nazista” è un romanzo di oltre 300 pagine ma io non le ho sentite.
L’ho letto in poche ore e non perché sia una lettura “facile”, leggera; tutt’altro, è così intensa e dolorosa che, una volta cominciata, non può essere interrotta.
L’ho già detto di recente, a seguito della lettura de “Il bambino che disegnava le ombre” di Oriana Ramunno: l’Olocausto fa parte della nostra Storia recente, tutti lo conosciamo (si spera), ma viverlo insieme ai personaggi di romanzi così ben costruiti, così coinvolgenti, ti costringe a guardarlo in faccia.
È come ascoltare il racconto di una persona cara che l’ha vissuto: ti fa stare male.
Hans Heigel è un tedesco che si assoggetta al regime per quieto vivere e, sebbene si renda conto di essere un codardo, non si dà pena più di tanto fintanto che la guerra rimane confinata al notiziario che ascolta alla radio e alle scartoffie burocratiche di cui è costretto a occuparsi. La sua vita scorre tranquilla, accanto a una moglie amorevole e alla loro adorata figlioletta, Hanne.
Tutto precipita nel giro di pochi giorni: la morte della figlia, che fa uscire di senno sua moglie, e il trasferimento al campo di sterminio di Sobibόr stravolgono il mondo di Hans.
Hans precipita all’inferno.
Tocca con mano l’orrore del genocidio, la follia dilagante generata dall’ideologia nazista e pensa di non riuscire a reggere tanto dolore, tanta crudeltà, fino a quando non trova una ragione per continuare a vivere e a lottare: da uno dei treni merce che ogni giorno sputano frotte di prigionieri ebrei, vede scendere una bambina.
“Hanne”, pensa, colto da una vertigine.
No, non è Hanne, è Leah, una bimba che le somiglia terribilmente: senza alcuna logica, decide che la difenderà ad ogni costo.
Ad ogni costo.
È irrazionale, è pericoloso, ma è l’obiettivo che lo costringe a continuare a vivere e che gli impedisce di precipitare nella follia mentre il mondo attorno a lui è governato da pazzi.
Allora il lettore diventa Hans e va in ansia con lui, tutte le volte in cui la vita di Leah è in pericolo.
Ho tremato, trattenuto il respiro, palpitato; in alcuni momenti avrei voluto urlare: “Attenti, sono dietro di voi!” oppure “Zitta, Leah! Non parlare, tesoro, ti prego!”.
La narrazione è concitata, ricca di colpi di scena; non c’è tempo per rilassarsi, mai.
Hans protegge Leah e cerca ogni espediente per tenerla lontana dal destino di morte che è stato scritto per lei, ma per farlo è costretto a compiere delle scelte, terribili, e leggendo non puoi non chiederti con quale animo un uomo possa trovare il coraggio di sostituirsi a Dio: per salvare Leah, Hans è costretto a sacrificare altre vite. Consapevolmente, sceglie che Leah deve vivere e qualcun altro morire al posto suo. Questo lo consuma, popola le sue notti di incubi fino a impedirgli di dormire, ma in quell’inferno che l’Uomo ha portato sulla Terra è già tanto se, oltre a sé stesso, Hans riesce ad avere cura di un’altra creatura.
“La bambina e il nazista” ci fa precipitare nel baratro della follia e dell’atrocità dell’Olocausto ma dà voce a personaggi come Hans, Larysa, Margot, Meyer e il capitano Luitger: uomini e donne che hanno sacrificato sé stessi pur di salvare anche una sola vita innocente.
Una singola, preziosissima vita.
La classica goccia che, sommata alle altre, fa il mare.
Di molti di loro non conosciamo i nomi, ma sappiamo che questo esercito di eroi silenziosi è esistito, e non possiamo smettere di ringraziarlo.
Per andare avanti bisogna guardare indietro, perchè memoria e avvenire sono legati a doppio filo tra loro, dice Margot a Hans.
Questo è un insegnamento che non possiamo permetterci di dimenticare.
Claudia Cocuzza