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Il bello di imparare

Studio di UniTo in collaborazione con Harvard svela legame fra piacere estetico e conoscenza. La ricerca dimostra che gli stimoli che troviamo “belli” sono quelli da cui impariamo di più: la bellezza potrebbe rappresentare la ricompensa che il nostro sistema nervoso ci offre in risposta a processi di apprendimento efficaci. Pubblicato dal Journal of Experimental Psychology – General, il lavoro ha molte ricadute applicative fra educazione e neuroriabilitazione.

Una ricerca realizzata dal BraIn Plasticity and behavior changes Research Group (BIP) del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, in collaborazione con il Department of Economics di Harvard, ha mostrato la presenza di un legame profondo fra apprezzamento estetico e meccanismi di apprendimento. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista scientifica Journal of Experimental Psychology: General dell’American Psychological Association.

Attraverso una tecnica di neuroimmagine non invasiva, l’elettroencefalografia, i ricercatori hanno dimostrato che le cose che soggettivamente riteniamo più belle sono anche quelle che il nostro sistema nervoso sa elaborare meglio. La bellezza si può considerare come un “sintomo consapevole” di processi automatici di acquisizione di informazioni dall’ambiente che ci circonda. Più questi processi sono efficaci, maggiore sarà l’apprezzamento estetico che ne deriva. Questo risultato offre una nuova chiave interpretativa sul senso della bellezza: le emozioni estetiche, lungi dall’essere qualcosa di futile e astratto, potrebbero rappresentare la ricompensa che il nostro sistema nervoso ci offre in risposta a interazioni profittevoli, in termini di conoscenza acquisita.

La scoperta ha diverse ricadute applicative: la presenza di un legame forte fra bellezza e apprendimento suggerisce, infatti, di ripensare l’impostazione dei percorsi educativi e specialmente di quelli riabilitativi, tenendo in considerazione le preferenze dei singoli e sfruttando il potere della bellezza di attrarre l’attenzione verso i compiti che svolgiamo.

Lo studio intitolato “Nice and easy: mismatch negativity responses reveal a significant correlation between aesthetic appreciation and perceptual learning” è firmato da Pietro Sarasso, Marco Neppi Modona, Nicola Rosaia, Pasqualina Perna, Paolo Barbieri, Elena Del Fante, Raffaella Ricci, Katiuscia Sacco, Irene Ronga.

Nel corso dell’esperimento, che ha coinvolto 26 partecipanti, i ricercatori hanno utilizzato delle semplici sequenze di suoni. Grazie alla collaborazione con il Dr. Nicola Rosaia del Department of Economics di Harvard, i ricercatori di UniTo hanno sviluppato un algoritmo in grado di misurare quanta nuova informazione si potesse ottenere da ogni suono. Poi usando l’elettroencefalografia hanno registrato la risposta neurale evocata da ciascun suono. Osservando questo segnale, gli autori hanno notato che i suoni che i partecipanti preferivano a livello soggettivo erano anche quelli da cui ottenevano più nuova informazione. Lo studio dimostra che gli stimoli che troviamo belli sono quelli da cui impariamo di più.

Secondo gli autori, l’emozione positiva che proviamo quando siamo esposti a qualcosa che ci piace, come un bel panorama, un suono, o un quadro, potrebbe essere il segnale che il nostro cervello produce in risposta all’acquisizione di nuove informazioni dall’ambiente sensoriale che ci circonda. La bellezza potrebbe essere la ricompensa per aver ottenuto nuova conoscenza.

Imparare è per tutti un processo faticoso, ma – sottolinea Irene Ronga, ricercatrice del gruppo BIP, Dipartimento di Psicologia di UniTo – è fondamentale per interagire con successo con l’ambiente e con i nostri pari. Sembra ragionevole, dunque, che nel corso dell’evoluzione, il sistema nervoso abbia sviluppato un segnale positivo, una ricompensa, che sia in grado di stimolarci ad apprendere”.

Siamo abituati a pensare alla bellezza come a un di più, un orpello, una specie di lusso biologico. Invece – aggiunge Pietro Sarasso, ricercatore del gruppo BIP, Dipartimento di Psicologia di UniTo – quello che dimostrano le nostre ricerche è che il senso del bello e la sensibilità estetica sono un elemento fondamentale della nostra intelligenza. La sensibilità estetica è centrale per la nostra possibilità di apprendere e di cambiare noi stessi e i nostri schemi mentali di fronte a un mondo in costante mutamento. La bellezza ci permette di sintonizzarci maggiormente con ciò che incontriamo anche se radicalmente diverso da quello a cui siamo abituati”.

Oggi – spiega la prof.ssa Katiuscia Sacco, docente di Metodologia della ricerca in psicologia e coordinatrice del gruppo di ricerca BIP del Dipartimento di Psicologia di UniTo – sappiamo che il cervello è plastico nel corso di tutta la vita. Il nostro obiettivo come gruppo di ricerca è di trovare gli stimoli e le esperienze che possano modificarlo nella direzione di un maggiore benessere o di migliori prestazioni. Con le nostre ricerche abbiamo trovato che gli stimoli belli, come una musica che piace o un paesaggio che la persona apprezza, creano nel nostro cervello una ‘disposizione estetica’ in cui la nostra percezione e la nostra attenzione aumentano significativamente consentendoci di concentrarci su ciò che di nuovo questi stimoli ci portano. Possiamo dire che il bello stimola i nostri processi di apprendimento e il nostro benessere. Tramite tecniche di neuroimmagine non invasive, come l’elettroencefalografia e la risonanza magnetica funzionale, studiamo questi fenomeni di apprendimento nei soggetti sani e nei pazienti affetti da patologie neurologiche, grazie a una collaborazione con la Psicologia Clinica e la Geriatria dell’Ospedale Molinette – Città della Salute e della Scienza di Torino”.