Oggi voglio raccontarvi una storia rara, ma che quando capita irrompe nella tua vita e la cambia dalla testa ai piedi. È una storia rara, “per fortuna” come dice Aurelio, perché la protagonista è una di quelle malattie genetiche di cui si sente parlare di rado e con quei nomi impronunciabili.
Vorrei raccontarvi una storia a cui vale la pena dare voce sulla sindrome di Shwachman-Diamond in compagnia di due dei soci fondatori dell’Associazione Italiana Sindrome di Shwachman-Diamond APS.
Ciao Monica, ciao Aurelio, volete un po’ raccontarci cos’è la Sindrome di Shwachman-Diamond?
Il nome composto di questa sindrome deriva dai due dottori che, nel 1964, scoprirono le due principali espressioni eziologiche della malattia.
Shwachman era il gastroenterologo che ha diagnosticato il primo caso della malattia, avendo la malattia un’espressione tipica simile alla fibrosi cistica, un’insufficienza del pancreas. Diamond è il nome del secondo ricercatore, che si è accorse anche dell’insufficienza midollare, dei problemi correlati al midollo osseo e dei problemi ematologici che comporta, che non hanno quelli che hanno la fibrosi cistica.
La sindrome Shwachman-Diamond è una malattia congenita, su base ereditaria genetica. Hai insufficienza pancreatica esocrina, e insufficienza midollare, del midollo osseo.
Nei casi più gravi l’insufficienza midollare ti porta alla aplasia midollare, mielodisplasia e leucemia.
Ha un’incidenza di 1 abitante su 100mila. C’è da dire che non tutte vengono diagnosticate, quindi di conseguenza sfuggono al conteggio, ma resta molto rara comunque.
A che età vengono diagnosticate?
Le diagnosi adesso si fanno ricercando il gene, scoperto nel 2002 dall’equipe canadese della dottoressa Rommens, il gene SBDS. In pratica con un test genetico puoi cercare le due mutazioni nel cromosoma 7.
Monica: adesso si può fare anche in fase prenatale.
Mentre prima del 2002 la diagnosi si poteva fare solo in fase clinica, quindi prima avevi l’insufficienza pancreatica, poi avevi infezioni ricorrenti, infezioni del sangue e quindi arrivava la diagnosi. Quando vedevi la bassa statura, il ritardo della crescita, venivano correlate e si faceva la diagnosi di Shwachman-Diamond.
Adesso invece avviene semplicemente ricercando i cromosomi, anche se non hai delle evidenze cliniche così evidenti, lo sai che hai questa mutazione.
Quanto aiuta questo metodo della ricerca nella diagnosi e nella cura della shwachman?
Nella diagnosi è determinante, nella cura diciamo che non esiste ancora, nel senso che non esiste ancora una cura genica e quindi la possibilità di intervenire. Noi abbiamo già finanziato un sacco di progetti di ricerca nei quali sembra che siano state trovate in un farmaco, una molecola, che riesce a correggere il difetto genetico. Nel 2022 verrà iniziata la sperimentazione sull’uomo sulla base di determinate specifiche tecniche, e quindi si potrà verificare se funziona. Non cura, ma “cristallizza” la situazione in quel momento, e mantiene lo status quo della sindrome. Siccome si è visto che questi pazienti hanno il midollo molto povero, in tanti hanno avuto il trapianto del midollo osseo, quindi è chiaro che cristallizzare la situazione in un punto, fa restare insomma al riparo da eventuali peggioramenti con leucemie e neurosplasie.
Voi siete stati proiettati in questo mondo proprio perché alla vostra seconda figlia è stata diagnostica la sindrome di Shwachman-Diamond
Si noi nasciamo dall’associazione di 5 famiglie, noi due siamo i soci fondatori, assieme ad altre famiglie sparse in varie regioni d’Italia.
E come vi è venuta l’idea dell’associazione?
Aurelio: L’idea ci è venuta perché quando vivi una malattia rara, vivi un profondo isolamento, nel senso che non puoi condividere con altri le situazioni e le sensazioni, a differenza di chi ha malattie più diffuse, come il diabete o la fibrosi cistica stessa. Quando hai una malattia più comune è chiaro che hai dei centri più diffusi nel territorio, nel caso della malattia rara non esiste. Anche avere un confronto con i medici stessi è difficile. Molti medici da cui vai ti dicono “Mmhh, che malattia è? Non la conosco”.
Come punto di riferimento all’epoca, parliamo del 1994/1995, avevamo solo la pediatra.
Poi abbiamo avuto la fortuna di aver trovato come punto di riferimento il centro di fibrosi cistica di Verona, dove poi le hanno fatto la diagnosi, che era l’unico centro che aveva visitato altri 10 pazienti simili negli ultimi 15 anni. Perché i numeri di una malattia rara sono questi a livello nazionale.
E da lì abbiamo pensato “Ma ci saranno altri che hanno la stessa patologia, simile con cui possiamo confrontarci? Vediamoli, incontriamoli”. Quindi ci siamo “cercati” e da queste 5 famiglie iniziali ci siamo organizzati come associazione, era il 1997.
Monica: L’idea pratica della nascita dell’associazione è proprio questa, di non far sentire soli i genitori perché per noi è stata dura i primi tempi.
Per far fare la diagnosi a Eleonora – ndr. la figlia – non è stata proprio una passeggiata, proprio perché la ricoveravano spesso con le bronchioliti, ci accorgevamo che c’era qualcosa che non andava, era piccola piccola, dopo i 3 mesi allo svezzamento, trovavo le zucchine, le carote nelle feci, capivamo che c’era un mal assorbimento, io le davo la banana perché aveva fame, e io ancora credo che se ha superato l’anno è perché le davo la banana di nascosto dal medico, ma era l’unica cosa che mangiava. Per farti capire, lei mangiava 20 grammi e ne perdeva 30, ad un anno pesava 6 chili quando la norma son 9-10kg. L’hanno vista, rivista un sacco di medici, finché è stata malissimo per 2 broncopolmoniti e lì abbiamo avuto la fortuna che ha fatto la cacca mentre entrava un medico. Lì il medico ha detto alla sua specializzanda “Non mi vorrei sbagliare, ma mi sa che stai vedendo una Shwachman”. Quella è stata la prima volta in assoluto che ho sentito questo nome. Poi si rivolse a me chiedendomi se la poteva visitare. Noi all’epoca non sapevamo più a che santo votarci.
E da lì ha iniziato a farle le visite e gli esami, lastre e accertamenti vari, nel frattempo lei era in cura da un allergologo, perché sua sorella è allergica e pensavamo fosse per quello, aveva fissato una biopsia intestinale per le verifiche.
Da Padova ci siam spostati a Borgoroma a Verona, fa la biopsia, e non risultava l’allergia.
Noi all’epoca non avevamo idea che avesse il sistema immunitario basso e che si potesse ammalare facilmente, e così dopo 2 giorni ha preso un’infezione, e hanno iniziato a farle altri accertamenti e le ecografie al pancreas.
Ecco, in quell’occasione notammo che i genitori, specie la mamma, vengono presi di mira dai medici. Nel senso che ti colpevolizzano per qualsiasi cosa, ad esempio quel giorno mi dissero di tenerla digiuna per l’ecografia, io seguii ogni indicazione, figurati, quando la portai a fare l’ecografia mi rimediai un cazziatone dall’operatore perché diceva che non era digiuna e che le avevo dato da mangiare.
Da quel momento controllarono il pancreas e lì mi ero accorta che avevano visto qualcosa ma non ci dicevano cosa ci fosse. Ci dissero che dovevamo fare il prelievo dei succhi pancreatici per altri accertamenti, noi già pensavamo di dover andare chissà dove, a Nizza ci eravamo informati c’era un grande centro per la fibrosi cistica, ed invece ci dissero di andare a Borgotrento, sempre a Verona. – sorride – Per noi fu un sollievo che immaginavamo quale viaggio. Quindi lui è partito, è andato a parlare con i medici, l’hanno dimessa e l’hanno ricoverata a Borgotrento.
E quella è stata la sua salvezza, perché da quando hanno fatto questo esame, hanno capito che non era fibrosi cistica e ha iniziato a prendere gli estratti pancreatici. Da quel momento ha iniziato a crescere.
In tutto questo aveva 15 mesi e pesava 6 chili e mezzo. Poi noi avevamo Sara, la prima figlia, che era ‘na cosa incredibile perché pesava 13 chili, e Eleonora era veramente piccina, sembrava una bambolina.
Siamo nel 1995, marzo del 1995.
Da lì le cose hanno iniziato ad andar meglio, vedere che iniziava a crescere, vedere che si ammalava di meno per noi era la rinascita.
Noi prima di Verona pensavamo di essere soli. Poi a Verona abbiamo capito di essere pochi, ma di non essere soli.
Da lì abbiamo iniziato a scrivere a svariati centri che si occupavano di queste cose per capire, all’epoca non esisteva internet quindi era tutto diverso da oggi in cui ti metti in contatto subito e più facilmente, E trovai questo centro delle malattie rare di Bergamo, chiamai, lasciai i miei contatti, e lì ci contattò una che era già riuscita a contattare altri e ci trovammo in 5, e da lì l’associazione partì.
Dal 1997 son passati 24 anni, come son evolute le cose?
Da lì abbiamo organizzato il primo convegno nazionale nel giugno del 1999, che poi si chiama convegno, ma è stato più un incontro tra le famiglie, un incontro per pochi intimi. Anche perché non è che abbiamo la fila di medici che vogliono venire ai convegni.
Essendo una malattia rara coinvolge poche, per fortuna, poche persone. In Italia sono 134 mi sembra, pazienti con la sindrome di Shwachman-Diamond, almeno di quelli censiti dal nostro registro.
In che senso registro?
C’è il registro italiano dei pazienti, finanziato dall’associazione, tenuto dal centro di fibrosi cistica di Verona ed è importante perché hanno un quadro epidemiologico, ci son i numeri, puoi confrontarli con le schede di follow up, confronti i sintomi, perché non tutti hanno gli stessi sintomi. Tutti hanno il sintomo principale che è l’insufficienza pancreatica, poi hanno espressioni mediche diverse, chi ha più problemi ossei, altri hanno più problemi ematologici.
Quello che avete fatto è fenomenale perché è un vero e proprio registro clinico che aiuta la ricerca
Aurelio: Quello è proprio un registro clinico, è totalmente tenuto dai medici.
Noi non abbiamo accesso a quei dati, per la riservatezza e privacy. In associazione siamo una trentina che ci muoviamo e ci organizziamo per le raccolte fondi. Ad esempio adesso stiamo facendo i panettoni per natale, ed i numeri delle richieste sono più o meno questi qui. Noi non sappiamo le dislocazioni, se guardi il registro è solo suddiviso in nord, centro e sud/isole. Proprio per evitare le identificazioni.
Per noi è un po’ un limite, perché ci piacerebbe conoscerci.
Monica: Però ora le famiglie vengono avvisate, le famiglie nuove ci contattano, dai centri vengono indirizzati a noi. Sai, se i genitori vogliono, perché nn sempre si vuole entrare in contatto, sai in molti casi c’è la vergogna di avere una malattia genetica rara, è normale, non si può andar a scalfire questa cosa. Poi nel momento in cui c’è bisogno è probabile che poi facciano riferimento all’associazione, e noi ci siamo, rispondiamo al telefono 24h su 24, abbiamo una chat di sostegno per aiutare i genitori, perché nelle cose pratiche serve l’aiuto pratico. Come posso dare il sostegno rispetto alla mia esperienza.
L’associazione comunque ha una struttura chiaramente normale, un consiglio direttivo, con un presidente, un vice, un segretario e tre consiglieri, i soci, e il comitato scientifico che conta 6 medici tra ricercatori e biologi.
Infatti dal sito vedevo che non siete solo un’associazione di genitori ma avete un vero e proprio comitato scientifico. È un reparto dedicato al sostegno medico? O cosa fa esattamente?
Il comitato scientifico lo interpelliamo per tre cose:
- sicuramente se c’è da chiedere informazioni da un punto di vista scientifico e medico per cose inerenti alla patologia.
- fondamentalmente il comitato è quello che organizza gli incontri tra famiglie e medici, e quello che partecipa agli incontri internazionali, ad esempio nel 2001 abbiamo fatto il primo incontro internazionale con associazioni di tutto il mondo, Canada, America, Giappone che son le associazioni o fondazioni più rappresentative a livello internazionale.
- poi serve soprattutto a darci i pareri sui progetti di ricerca che finanziamo. Perché il nostro scopo è quello di finanziare la ricerca scientifica rispetto alla patologia. E questo aspetto qui per noi è molto importante perché ci consigliano quale progetto da bando seguire e finanziare. Organizziamo gli incontri con i ricercatori e anche qui il comitato scientifico è fondamentale per noi.
I vostri scopi son fondamentalmente di esser di sostegno alle famiglie ma anche alla ricerca
Si, questi sono i nostri obiettivi principali, poi c’è l’obiettivo di sensibilizzazione in genere, le raccolte fondi ci servono sia per farci conoscere che per raccogliere fondi per le ricerche. Perché anche farsi conoscere è importante e molto difficile, non ci sono molte occasioni per farsi conoscere.
A parte gli eventi sporadici come può essere la giornata Telethon
Ecco con Telethon abbiamo un ottimo rapporto, siamo tra le associazioni amiche di Telethon, infatti è capitato negli anni che qualche ragazzo o familiare con la sindrome di Shwachman-Diamond sia andato a raccontare la propria storia. Poi siamo anche federati di Uniamo, proprio perché non puoi pensare di fare tutto da solo, e poi in questi casi è importante la condivisione, non puoi fare tutto da solo.
Da questo punto di vista i social vi aiutano?
Si, ci aiutano. Ora siamo una trentina, ognuno fa quel che può e ci aiutiamo a vicenda.
Negli anni abbiamo organizzato di tutto mercatini, feste di beneficenza, lotterie, spettacoli, concerti, raccolte fondi, passaggi in televisione, interviste, da questo punto di vista abbiamo lavorato molto.
Ovviamente essendo una patologia rara è poco conosciuta e poco partecipata.
Ma anche da un punto di vista medico, perché se vai da un ortopedico e gli dici, ho male al ginocchio e ho la sindrome di Shwachman-Diamond 99 su 100 ti dicono che non la conoscono.
Ed è anche per questo che abbiamo costruito l’associazione, per essere di supporto ai nuovi genitori che si approcciano a questa sindrome, e per dare indicazioni anche di specialisti, e di medici che possono essere Di aiuto per un confronto.
Monica: Anche perché quando hai una diagnosi di questo tipo ti crolla il mondo addosso.
Uno perché ti senti colpevole, essendo una malattia genetica, sia io che lui siamo portatori sani, essendo un’autosomica recessiva. Io e lui l’abbiamo superato, altre persone reagiscono in un modo diverso, hanno vergogna e non riescono a superarlo.
Oltre allo stigma esterno c’è anche uno stigma interiorizzato.
Sai non è facile rimanere per un uomo 1 metro e 50 di altezza, perché comporta determinate situazioni psicologiche sociali, rispetto allo stigma sociale ed al confronto sociale, anche questo comporta conseguenze. Anche per un bambino se ci pensi, nel momento in cui gli altri crescono rimanere di una certa altezza, porta conseguenze psicologiche. Questo è una caratteristica prettamente del genere maschile, le donne son più mingherline ma tendenzialmente c’è uno sviluppo ridotto più evidente nel genere maschile.
I bambini sono seriamente in difficoltà. E di conseguenza i genitori.
Da adulto, poi trovi il tuo equilibrio, però se tu non lo vivi quotidianamente non sai nemmeno che tipo di sofferenza c’è dietro.
Un socio dell’associazione si è tolto proprio perché il figlio stava veramente male, è stato bullizzato e non riusciva a organizzarsi con l’associazione e la situazione famigliare e ha sentito il bisogno di dedicare tutto il suo tempo al figlio. Ognuno reagisce come può.
Ognuno vive la malattia in modo diverso, voi avete istituito un’associazione, altri non riescono ad esteriorizzarla e viverla
Eh si, ma sai ognuno vive la malattia in maniera diversa, ognuno poi si mette in gioco, la vive diversamente, e sinceramente in 24 anni dei passi avanti con l’associazione li abbiamo fatti.
Monica: Certo è che quando viene a mancare uno dei nostri ragazzi, vai in crisi, vai in crisi profonda. Negli ultimi anni ne son morti due.
Aurelio: Un ragazzo è morto nel gennaio del 2020, aveva 29 anni. Un altro ne aveva 16 anni.
Entrambi di leucemia. Nel primo caso aveva fatto un trapianto di midollo e non è bastato, nel secondo caso non ha fatto in tempo perché è stato molto veloce e violento.
Nel caso di questi anni ce ne son state molte di queste mancanze…
Monica: Lui l’ha chiamato lo spauracchio, è il terrore che hai lì, perché non parli solo degli altri ragazzi, parli anche di tua figlia.
E il fatto che hai una cerchia di persone intorno a te come punto di riferimento è molto importante in questi casi, proprio per la rarità della sindrome e l’importanza di non sentirsi soli.
Aurelio: Anche il fatto che nel 2022 ci sarà la possibilità di sperimentare un farmaco è una cosa molto importante, ora non dico che sia merito dell’associazione, ma come associazione abbiamo investito tanto nella ricerca e qualcosa è.
Tutto quello che noi ricaviamo dalle raccolte fondi, dai manufatti che vengono fatti da Monica, Daniela e altre associate, lo investiamo nella ricerca.
Quando nella pubblicità di Telethon dicono “La ricerca è proiezione verso il futuro” è vero, senza la ricerca non puoi andare avanti.
Quindi come possiamo fare per darvi una mano?
Il 5xmille è per noi un grosso aiuto, da quando c’è riusciamo a finanziare la ricerca.
Le raccolte fondi ci aiutano, ci hanno sempre aiutato, ma solo con quelle non riuscivamo ad arrivare a cifre consistenti per permetterci di finanziare dei progetti di ricerca.
Ovvio che per noi qualsiasi forma che ci permetta di raccogliere anche 500, mille euro per noi è importante perché qualsiasi introito finisce nella ricerca.
Ora per il Natale Stiamo facendo i panettoni, grazie a una pasticceria che ci supporta, poi li rivendiamo e anche se il ricavato è modesto per noi è importante perché ogni soldo lo investiamo in ricerca, che è fondamentale.
Lo shop delle creazioni che Monica, Daniela, e altre associate fanno… Tutto è partito dalle bomboniere 10 anni fa, oggi facciamo creazioni di natale, bomboniere, oggettistica varia.
Monica si è proprio appassionata a creare manufatti con il panno lenci, potete trovare le creazioni nella pagina Facebook. Lavorare a mano la rilassa, ha scoperto di avere questa manualità e creatività, entrando in contatto con un’altra associata, ha iniziato a fare lavoretti e oggetti che si possono acquistare per fare delle piccole donazioni all’associazione.
Per noi tutto serve, tutte le forme di aiuto vanno in ricerca.
L’anno prossimo parteciperemo al mercatino di Padova, quest’anno non ce l’abbiamo fatta, ma l’anno prossimo per Natale saremo lì.
Monica: Quest’anno ci son arrivate le ordinazioni dall’associazione di New York, una mamma di una bambina con la Shwachman, ha visto le creazioni, ha iniziato a seguirci, essendo di origine italiana, e ci ha ordinato i regali, è bello perché ti dà soddisfazione veder come poi le piccole creazioni piacciono. Poi non solo dà soddisfazione lavorare la stoffa e fare queste creazioni, dà soddisfazione anche il fatto che si fa del bene.
Ed è partendo dalle piccole cose poi si fanno anche le grandi.
Se doveste dare un consiglio ai genitori oggi a cui è stato diagnosticata la swhachman al proprio figlio che consiglio dareste?
Monica: abbiamo avuto una mamma che è stata ricoverata con il bambino di 13 mesi per 2 mesi, in ospedale, con le norme covid, e per lei abbiamo visto quanto sia stata importante la chat che abbiamo creato. Perché lei non poteva uscire dall’ospedale, e né il papà poteva entrare, e quindi è stata tutto il tempo da sola in ospedale col figlio, e nei momenti di difficoltà scriveva nella chat, e ce lo diceva “il poter scrivere nella chat mi ha aiutata”.
Ai familiari do il consiglio di vedere come ci si sente dentro l’associazione. Contattateci, e poi se ci si sente bene dentro all’associazione è un grande aiuto. Poi se non ci si sente bene si esce, ma almeno si sa di poter avere un sostegno, e un cuscino in cui essere al sicuro. Anche perché siamo tutti genitori e i problemi dei nuovi arrivati magari li abbiamo già vissuti anche noi.
Aurelio: il consiglio che si può dare è quello di farsi forza, e che non sono soli, ci sono tanti altri genitori nelle stesse condizioni. Comunque si può andare avanti. Consiglio di rivolgersi ai centri specializzati, noi abbiamo preso come punto di riferimento Verona e già questo ci aiuta, e entrare in contatto con l’associazione è importante, aiuta, non risolve i problemi ma aiuta.
Questa intervista mi ha aperto il cuore, perché già vivere con una malattia cronica non è facile, vivere con una malattia rara come la Shwachman-Diamond penso sia ancora più difficile, ma non tanto per la malattia stessa. Quanto per il senso di solitudine e isolamento che si tende a vivere nell’affrontare la malattia.
Son felice di aver potuto raccontare questa storia, che nella sua eccezionale rarità porta con sé tante tante cose, e che se può essere infinitesimamente di aiuto, di informazione e di diffusione è già una grande cosa.
Perché come dice Monica ”è partendo dalle piccole cose poi si fanno anche le grandi”.
Alessandra Collodel
Per maggiori informazioni sulla Sindrome di Shwachman dal sito dell’AISS
Per restare aggiornati sulle iniziative e sulle meravigliose creazioni dell’Associazione
https://www.facebook.com/shwachman
Ulteriori informazioni sulla Sindrome di Shwachman dal sito di Telethon