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I Jeans “ecosostenibili”

Chi di noi, uomo o donna che sia, non ha nel proprio armadio almeno un paio di jeans? Comodi, robusti, relativamente economici: non si stirano, non spiegazzano, durano a lungo, modellano la forma, si indossano in qualunque stagione. E ancora: i blue-jeans si strappano e fanno moda, si immergono in varichina per scolorirli difformemente e fanno ancora più moda. Insomma, quest’invenzione genovese, blue-jeans, sembra proprio essere il brevetto più azzeccato e vincente dal 1567 a oggi.

La parola stessa ravvisa la provenienza: si ritiene infatti che il termine derivi direttamente dalla frase “bleu de Gênes” ovvero “blu di Genova in lingua francese, diventato poi blue Gêne’s in un consumato slang “americano” d’immigrazione, fino ad approdare alla trascrizione omofonica attuale, globalmente condivisa:  Blue Jeans.

Ma, come si suol dire, ogni medaglia ha il suo rovescio: è il capo di abbigliamento più inquinante esistente.

Ed ecco i sensi di colpa moltiplicarsi per il numero di capi acquistati dall’infanzia ad oggi, per me, congiunti e prole, non appena acquisite queste notizie, così riportate da Focus: “Per produrre un solo paio di jeans occorrono poco meno di 9500 litri d’acqua, utilizzati per immergere la stoffa in ben 15 vasche di tintura all’interno delle quali questi pantaloni acquistano il loro caratteristico colore. Aggiungete grandi quantità di additivi chimici e acque di scarto, quindi moltiplicate per i 2 miliardi di jeans prodotti ogni anno nel mondo. Avrete così un’idea di quanto inquini uno degli status symbol della moda globale… “

Che fare dunque? Recitare la penitenza comminata dal confessore per i prossimi 500 anni?  Battermi la mano sul petto col guanto di ferro oppure auto-fustigarmi la schiena, come gli antichi frati flagellanti del XIV secolo, per ogni pantalone, borsetta, gonna, camicia e perfino portachiavi in tinta jeans acquistati in vita per me, familiari e per regali vari? Oppure non comprare più jeans e tediare li amici di Facebook con l’ennesimo appello catastrofico (ampiamente ignorato con il solito sbuffo di chi vede “inquinata” la propria … bacheca!) con tanto d’immagine di pesci galleggianti uccisi dalle tinture dei jeans? O meglio ancora: boicottare le fabbriche di jeans con slogan stile no-global anti-McDonalds o con tantra anti-caccia tipo “ogni pelliccia che indossi uccide 20 agnelli o lascia i cuccioli di volpe senza una mamma”?

Ma arrivano le Buone Notizie. Come per i leopardi salvati dalle pellicce sintetiche (le leopardate mal accolte dal nobile gentil sesso), si navigherà in acque meno inquinate e più abbondanti grazie all’arrivo del Water-less Jeans , un modo per produrre jeans “verdi”,  recentemente presentato a Washington, nel corso della conferenza “Green Chemistry & Engineering”, sostenuta dall’American Chemical Society. Il processo, denominato Advanced Denim e sviluppato dalla multinazionale chimica Clariant, situata in Svizzera, prevede l’utilizzo di una sola vasca di tintura e tinte di nuova generazione composte da zolfo liquido concentrato e additivi a base di zucchero.

Grazie a questa tecnica, tutte le altre fasi della produzione vengono eliminate, con un risparmio, per un paio di jeans, del 92% di acqua e del 30% di energia rispetto alle lavorazioni tradizionali.  Questo rivoluzionario processo, inoltre, produce anche minori scarti di lavorazione: “circa l’87% in meno di rifiuti di cotone, che solitamente vengono bruciati immettendo anidride carbonica in atmosfera”, come ha spiegato Miguel Sanchez, ingegnere tessile della Clariant, che ha presentato il progetto. “Se solo il 25% dei jeans mondiali fosse tinto con questa tecnologia – ha specificato Sanchez – si risparmierebbe acqua a sufficienza per coprire il fabbisogno di 1,7 miliardi di persone, prevenire il rilascio di 8,3 milioni di metri cubi di acque di scarto e risparmiare fino a 220 milioni di kWh di elettricità, eliminando il rilascio di una corrispondente quantità di emissioni di anidride carbonica ogni anno”.

Che dire? Mi sento già meno colpevole e sollevato. Ma come saranno i futuri blue jeans? Belli, Forti, Espressivi come gli attuali? E da quando potremo acquistarli?  La produzione di massa è già iniziata dal 2015 (ma devono scadere i pluriennali contratti di produzione in essere, il business innanzitutto!).

Levi’s per incoraggiare le aspettative,  ha presentato già in Europa, all’interno della collezione Fall/Winter 2011, i nuovi Water<Less™ jeans che contribuiscono al risparmio di 20 milioni di litri d’acqua. In media, adesso, per produrre un paio di jeans sono “sufficienti” 45 litri d’acqua tra tintura, lavaggio e finissaggio.

I capi Water<Less™ utilizzano molta meno acqua, fino a ridurne la quantità da un minimo del 20% ad un massimo dell’88% per alcuni dei nuovi prodotti della collezione. Come è possibile? L’azienda ha rielaborato il processo produttivo tradizionale necessario a realizzare un paio di jeans, identificando una metodologia di produzione molto più eco-compatibile.

Per dare due cifre, sulla collezione Autunno/Inverno 2011/2012, Levi’s® ha risparmiato 20 milioni di litri d’acqua che equivalgono ad un rubinetto lasciato scorrere per ben 2.177.660 minuti, ovvero ad 8,5 piscine olimpioniche piene, o ancora a 725.887 docce di 7 minuti ciascuna, o infine acqua potabile sufficiente alla sopravvivenza di una città di 10.000 persone per oltre due anni.

Ma non finisce qui. Come parte del progetto Levi’s® devolverà il dieci per cento dei proventi ricavati dalla vendita sullo shop online europeo dei prodotti Water <Less ™ alla Water.org per attuazione di politiche ecosostenibili di distribuzione dell’acqua nel mondo.

In conclusione, quando business, ambiente e beneficenza s’incontrano, non si può non pubblicizzare e sostenere l’evento (sicuramente meno castigante delle penitenze testé paventate) nonché il promotore, tutt’altro che sconosciuto, quale è la nota azienda americana fondata nel 1853 dall’immigrante bavarese Levi Strauss.

Forse non arricceremo il naso come davanti alla pelliccia leopardata al petrolio; di sicuro non saremo condannati a una pena similare a quella proposta dai Verdi negli anni’70:  sostituire la carta igienica con le foglie secche (per attenuare il disboscamento causato appunto dal consumo di carta igienica); lo accetteremo come una nuova moda, sicuramente eco-sostenibile.

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico