Siamo in Norvegia, a metà degli anni ’90.
Il prologo si apre in media res, portandoci sulla scena del primo omicidio.
Le immagini scorrono rapide, senza che il lettore abbia contezza della situazione; la scena è spiazzante, confusa e concitata così come la vittima, voce narrante di queste prime pagine, la sta vivendo.
Non conosciamo ancora il protagonista né nessuno degli altri personaggi, che vengono presentati a narrazione avviata.
Il primo capitolo ci mette di fronte a un’altra scena potente: l’ispettore Morgen sta per suicidarsi.
Il momento è drammatico ma allo stesso tempo surreale:
“Marcus Morgen si infilò la pistola in bocca come se fosse uno spray per il mal di gola. Con la stessa noncuranza, allungò lo sguardo grigio sul fiordo.”
L’arrivo dell’amico e collega Ailo lo distrae dal suo intento e, obbligando Marcus a seguirlo sul luogo del delitto, dà l’avvio all’indagine e con essa al thriller.
Marcus è il protagonista di Una trappola d’aria.
È un uomo ferito dalla vita, che ha dovuto imparare presto a cavarsela da solo: orfano della madre dall’età di dieci anni, cresce con il padre, poliziotto, che, prostrato dal lutto, non riesce più a essere un sostegno per il figlio.
Smette di parlargli, di raccontargli storie, come aveva sempre fatto.
Per questo Marcus diventa poliziotto a sua volta, “per riprendere da dove si erano fermati i racconti di mio padre. Farli miei, ora che lui non poteva o non riusciva più a trascinarmi in quel mondo.”
Ma adesso sente di non avere nessuna ragione per andare avanti: sospeso dal lavoro, abbandonato dalla donna che ama, e per di più mutilato, avendo perso un arto in servizio, il suicidio gli sembra la logica conclusione di una vita che non ha più senso.
Sta quindi per farla finita, quando Ailo gli dà un motivo per rimandare la sua decisione: c’è un’indagine da seguire e Marcus è stato reintegrato proprio per questa occasione.
Morgen è un uomo schematico e ligio al dovere: l’indagine ha la priorità su tutto; prima deve risolverla, poi può anche morire.
Non si rende subito conto però che la situazione è destinata a protrarsi più del previsto: alla prima vittima ben presto se ne aggiunge una seconda, e poi una terza, fino a contarne cinque.
Il modus operandi non è sempre lo stesso; ciò che mette in relazione i delitti sono le vittime stesse, in quanto tutte hanno a che fare in qualche modo con il maltrattamento di animali.
L’indagine quindi si sviluppa attorno alla caccia a un serial killer e l’azione risulta ricca di suspense e colpi di scena, in un crescendo che raggiunge picchi di tensione sempre più alti man mano che il cerchio si stringe attorno al colpevole.
Oltre Marcus, personaggi di rilievo – tralasciando per il momento l’antagonista – sono la biologa marina, Valentina Santi – emblema del calore e della spontaneità italiana, contrapposta alla rigidità nordica – la cui presenza è legata all’evoluzione personale del protagonista, che riuscirà finalmente a sconfiggere i propri demoni, e gli altri componenti della squadra – Finn, Dahl, Hanne, Knut, la dottoressa Kosič – tra i quali possiamo facilmente riconoscere sostenitori e oppositori di Marcus come da archetipi junghiani.
La narrazione avviene su due piani temporali e sfruttando più voci.
Il tempo dell’indagine è il 1995 e la narrazione avviene al passato, con focalizzazione prevalente su Marcus, ma non esclusiva: lo sguardo può anche essere quello di Valentina, di Ailo, della vittima di turno, addirittura, quasi in chiusura, ci troviamo a osservare la scena attraverso gli occhi di un topo.
A questo livello temporale se ne affianca un altro, in cui la narrazione avviene in prima al presente: quelle che leggiamo, riportante in corsivo, sono pagine del diario di un personaggio misterioso coinvolto nella vicenda e narrano di eventi avvenuti tra il 1989 e il 1995.
Procedendo con l’indagine e parallelamente alla lettura del diario, i tempi della narrazione vanno l’uno incontro all’altro finché la scena vissuta da Marcus è la stessa che questo soggetto descrive; quando i due piani diventano contemporanei, la velocità con cui la vicenda procede lascia davvero senza fiato.
Altro personaggio di rilievo è di certo il paesaggio: la Norvegia, ambientazione non scontata per un autore italiano.
I luoghi sono vivi, parte attiva dell’azione.
“Il paesaggio sembrava accompagnare nervosamente le ricerche della guardia costiera con repentini cambi di tempo e di luce. Dapprima un forte vento da est lavò il cielo, arricciando merletti di pizzo bianco sulle onde. Poi il sole virò a occidente e il profilo delle montagne si coricò, adagiandosi sul fiordo. Le ombre allungarono le dita sugli anfratti e le insenature. Lo stesso fecero le motovedette della polizia, che cercarono ovunque. Tuttavia, il resto del corpo non fu trovato.”
Le descrizioni sono numerose e l’autore ricorre frequentemente a metafore (“Il mare si fece specchio sotto nuvole di panna” / “Il cielo, ripulito da un vento di tramontana freddo e asciutto, era un catino nero colmo di stelle”), adoperate sia per tratteggiare il paesaggio che per dare spessore a un’immagine, quasi che si potesse toccare.
L’epilogo ci porta a confrontarci con un tema, caro al thriller psicologico, che non è nuovo alla narrativa di genere ma che è sfruttato dall’autore con maestria, tanto che il lettore non riesce a decifrare completamente l’enigma finché la soluzione non viene rivelata.
La sorpresa è assoluta, per cui l’obiettivo può senz’altro ritenersi raggiunto, ma la storia non finisce nel momento in cui l’assassino viene assicurato alla giustizia: il primo capitolo ci ha mostrato l’ispettore Morgen in procinto di suicidarsi ed è noto che, se una scena viene descritta, deve avere un senso nell’economia della trama.
La chiusura è un’analogia tra la vita dell’uomo e il mondo animale, per l’esattezza quello marino, in linea con l’intera impalcatura del romanzo e con l’attitudine stessa dell’autore.
“Si era convinto di non avere scampo, e invece era finito in una trappola d’aria. Nessuno gli impediva di uscire, eppure da solo non ce la poteva fare.”
Adesso che sappiamo che Marcus ha ritrovato un motivo per vivere, possiamo lasciarlo andare, chiudere il libro e passare alla prossima avventura.
Claudia Cocuzza