Pupi Avati: dopo il romanzo, il suo Dante è per il cinema
(e alla Prima c’ero anch’io)
A fine novembre ho avuto la fortuna di far parte dello staff organizzativo della presentazione del libro di Pupi Avati “L’alta fantasia” (ed. Solferino). In breve, il libro narra del viaggio da Firenze a Ravenna intrapreso da Giovanni Boccaccio per consegnare a Suor Beatrice, la figlia di Dante Alighieri, dieci fiorini d’oro quale risarcimento dei fiorentini per i torti perpetrati al celebre concittadino. Attraverso le testimonianze raccolte da chi conobbe Dante, per voce di Boccaccio (ma per penna del maestro Avati) scopriamo l’uomo, oltre che il poeta studiato sui libri di scuola.
A Civitavecchia, con l’associazione Book Faces e con la Fondazione Ca.Ri.Civ., quel giorno di fine novembre, il teatro universitario era gremito. È stata una Presentazione con la “P” maiuscola, di quelle che i presenti ricorderanno a lungo, condotta da Eugenio Murrali, Fabrizio Barbaranelli e Bruno Pronunzio, tutti cultori del Sommo Poeta.
Poi, con l’ufficio stampa per Solferino Libri Isabella Borghese e Marco Salomone (presidente dell’associazione), la serata è proseguita per una rapida cena al ristorante dei miei amici Giuliana e Pino.
Le bollicine le ha chieste proprio lui, con un gran sorriso e la cadenza bolognese, per aprire il pasto. “Chi l’avrebbe mai pensato, un personaggio come lui…” ho pensato lì per lì, scoprendomi ancora una volta pregno di luoghi comuni.
Al brindisino, al mio «Maestro, in bocca al lupo per i suoi progetti» lui si è fermato, mi ha guardato tenendo il calice in mano, e con la serenità che lo contraddistingue (malgrado alcuni suoi film ne trasmettano pochina, di serenità), mi ha raggelato: «Eh, ma se io ti dò del tu, anche te mi devi dar del tu» SBAM! (E non fate gli splendidi: avete mai provato a dare del tu a uno dei vostri miti a cena con voi, mentre smezzate verdure pastellate o fiori di zucchine ripieni?)
La serata è andata avanti, tra antipastini vari (e lo sforzo a dar del tu al Maestro), linguine fresche impastate col nero di seppie (e la fatica a chiamarlo Pupi), fritturina di pesce (e il mordersi la lingua per evitare gaffe), contorno e il dolce. Tutto molto veloce, per non far tardi.
E tra tutto questo, si è parlato (ci ha parlato) del suo rapporto con Lucio Dalla, del sogno da clarinettista, e poi del film che avrebbe voluto realizzare su Roberto (Rossellini) e della chiamata di Federico (Fellini) che gli suggeriva di desistere, e poi ancora dei tanti attori conosciuti dei quali solo uno non molto apprezzato (naturalmente non ne ha fatto il nome). Io e Marco abbiamo continuato a scambiarci occhiate cercando di capire cosa ci facevamo seduti a quel tavolo ascoltando la Storia del Cinema in persona e, udite udite, dandogli del TU.
In chiusura, prima del caffè: «Maes… Pupi, puoi dirci qualcosa sul film?»
«Certo. Ti dico solo che ho capito che i poeti possono salvare il mondo. E che ho la sensazione che il film sia migliore del libro. E che uscirà prestissimo.»
Ebbene, (ora mi sbilancio, fatemi fare il sostenuto) l’Amico Pupi ci ha invitato. Alla Prima, all’Auditorium di Roma, oltre ai tanti volti noti, c’eravamo anche noi e ce la siamo goduta fino alla fine. Anche quando, dopo spinte e compressioni di gomiti su fegati e organi vari (a seconda dell’altezza dell’altro/a che si opponeva), siamo riusciti a salutarlo e stringergli la mano: «Complimenti Pupi. Sei stato grande!»
Ma che volete, nella confusione della giornata, dopo i saluti con il presidente della Repubblica e con le massime cariche dello Stato, dopo gli abbracci con i colleghi più o meno celebri del jetset e dopo i baci e le carezze dagli amici, Pupi, visibilmente stanco (ma altrettanto visibilmente felice) ha solo detto «Ciao, grazie d’esser venuto», magari non ricordando chi fossimo noi, io e Marco, che quella sera di fine novembre, a Civitavecchia, abbiamo vissuto un evento memorabile trattandolo semplicemente come Pupi uomo, e non come Maestro.
Proprio come lui ha fatto con Dante, nel suo bellissimo libro e nel suo film che resterà nella storia del Cinema con la “C” maiuscola.
Ernesto Berretti