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Superman di Umberto Eco: divagazioni necessarie

Nell’oramai classico testo Apocalittici e Integrali Umberto Eco si avventura in alcuni ambiti della cultura che negli anni in cui il libro venne pubblicato (la prima edizione è del 1964) erano visti dalla maggior parte degli intellettuali come il male assoluto: la cultura pop. Grand parte delle considerazioni che Eco scrive partono dall’analisi di pubblicità che usano Beethoven come  sottofondo o di alcune pagine di fumetti, da Charlie Brown a Superman, mettendo la sua mente al servizio per una critica culturale di questi fenomeni moderni che dovevano trovare spazio nella discussione pubblica.

Come lo stesso Eco afferma però ci sono alcuni libri che nel corso degli anni devono mutare in quanto il paradigma di critica e la teoria della comunicazione (e la comunicazione stessa) sono in continuo cambiamento, come faceva notare per il suo scritto Opera Aperta, più volte ristampato, aggiornato e riveduto; ed è da queste premesse che vogliamo aggiungere un paio di osservazioni sul moderno mito di Superman, analizzato in Apocalittici e Integrati.

Secondo il semiologo italiano, la figura del più anziano tra i super eroi (che ricordiamo in quegli anni erano quasi esclusivamente su carta stampata e dentro vignette) è intrappolato in un paradosso narrativo: il personaggio del fumetto si ritrova in questa particolare situazione, ovvero che

“esso deve essere un archetipo […], e quindi deve necessariamente immobilizzarsi in una sua fissità emblematica che lo renda facilmente riconoscibile […]; ma poiché è commerciato nell’ambito di una produzione “romanzesca” per un pubblico che consuma “romanzi”, deve essere sottoposto a quello sviluppo che è caratteristico […] del personaggio del romanzo.” (Umberto Eco, Apocalittici e Integrati, p. 231, Bompiani, Milano, 2021)

Che i super eroi rappresentino dei miti moderni è ormai convinzione comune – il discorso pubblico è tempestato dai cine-comics Marvel e DC e riflessioni su tali argomenti sono all’ordine del giorno. Ma sarebbe cecità pensare che i paladini moderni siano solo circondati da un’aurea mitologica. Se Superman fosse stato solo “Superman”, scrive Eco, e non anche il suo alias Clark Kent, avrebbe rappresentato un’“esigenza universale”, ma nel corso di una storia a fumetti è tipico lo sviluppo di una narrazione romanzesca, che includa in sé uno sviluppo del personaggio, le sue emozioni umane e l’imprevedibilità che esse portano.

Insomma, Superman è allo stesso tempo Ercole e non-Ercole.

Ritrovandosi in questa condizione di mezzo, il protagonista rosso e blu ha paura di fare un passo verso la vera morte, di consumarsi. Se Clark Kent sposasse Lois Lane, il fumetto Superman invecchierebbe, marcherebbe una linea di confine di un pre e di un post, farebbe percepire al lettore un passo verso la fine, condizione che invece nelle figure mitologiche deve essere assolutamente assente, in quanto universali. Perciò la narrazione del fumetto supereroistico vive in un tempo assoluto in cui le avventure di Superman possono essere accadute in qualsiasi momento. (Questo meccanismo viene reiterato anche dal fatto che pur essendo Superman l’uomo più forte sul pianeta Terra, egli si limita ad aiutare la sua piccola città, senza pensare ad eliminare le sanguinose dittature presenti nel mondo, ponendo fine ad attriti e guerre mondiali). Non c’è una vera e propria time-line del personaggio: questo numero uscito nel mese di settembre potrebbe raccontare fatti che precedono il numero uscito ben quattro anni fa e non leggerlo potrebbe non fare nessuna differenza nella narrazione!

Le considerazioni di Umberto Eco reggono al canone moderno?

Bisognerebbe aggiungere al suo discorso vari elementi. Ad esempio i mille reboot che non solo con pedanteria vediamo nel cinema, ma anche nel mezzo del fumetto stesso. Dopo una serie di anni in mano ad alcuni autori, il personaggio di turno passa ad altre penne ed inchiostri, il più delle volte ricominciando la narrazione dal punto primario, quello delle origini – nel caso di Superman molteplici sono le serie del ragazzo di Krypton.

Questo meccanismo non è dato solamente per una questione di mercato, ma anche da una questione artistica. Molto spesso gli autori decidono di raccontare una storia. Ciò fa concludere che il fumetto ha abbandonato la sua origine mitica, spostandosi sempre più nel campo della narrazione del romanzo. Certamente però questi personaggi continuano a rappresentare dei topos letterali, mitici e letterali; rappresentano caratteri universali pur nel loro essere super uomini (ma il super uomo nell’epoca moderna non è esente da problemi: non solo ha super problemi, ma quelli peggiori sono solitamente quelli che concernono la parte “più umana”, quella dietro la maschera).

A distruggere l’aurea mitica del supereroe è stato anche il grande mercato del cinema, che impone una narrazione da consumo per ogni pellicola.

I super eroi erano degli dei, ma sono stati spodestati. Simbolica è la serie di fumetti Civil War della Marvel che ha dato lo spunto per il film Captain America: Civil War (2016), in cui i nostri eroi mascherati per legge avrebbero dovuto svelare le loro identità, ed effettivamente così è stato. Non più simboli mitologici, ma divi hollywoodiani che però continuano ad occupare la mente dei giovani, che certamente continuano ad essere modelli di comportamento in quanto rappresentano aspetti della vita umana (Captain America è il coraggio e la fratellanza, Spider-man è il ragazzo che si trova ad affrontare nuove responsabilità).

Questa nuova mentalità sugli eroi in calzamaglia è forse iniziata nel periodo della loro decostruzione, simboleggiata da fumetti come Watchmen di Alan Moore in cui si denuncia la falsità dei buoni propositi di questi, iniziando a scavare nella psiche degli stessi; anche per questo prodotti come The Boys (sia il fumetto che la serie tv in cui la figura di Superman viene radicalmente ribaltata in quella del sanguinoso e pazzoide Homelander) sono riusciti a vedere la luce.

L’aurea mitica è stata distrutta in quanto si è visto nel fumetto una potenzialità maggiore rispetto a raccontare brevi storie auto conclusive per ragazzi, cercando di alleggerire la serialità, aumentando il consumo, nel senso in cui intendeva Eco, accompagnando i nostri beniamini verso la loro morte, che forse diventa più simbolica di qualsiasi altra narrazione.

Matteo Abozzi