La vicenda, attraverso la lettura di alcuni diari del dottore Venanzio Panai, richiama l’attenzione del lettore su alcuni avvenimenti che si svolsero nel Casone, località del contado di Arezzo, dal novembre del 1943 al 18 luglio del 1944, giorno in cui, a causa della morte del loro autore, i tre quaderni si concludono e passano nelle mani di un tale Alderigo Cartocci, che così scrive in calce all’ultima pagina vergata dal medico:
Una bomba ammano fasulla esplosa fora porta Stufi Il Panai Venanzio che sia pace alla anima, i diari li serberò sempre celati.
Cartocci Alberigo
Il giallo, però, ha il suo incipit circa trent’anni dopo, il 25 aprile del 1973, giorno della festa della Liberazione, ad Arezzo. In quello stesso giorno un settantenne viene ucciso selvaggiamente e il suo cadavere viene ritrovato l’indomani da un fattorino delle poste e dei telegrafi che è andato a consegnargli un telegramma:
- È morto! È morto! È tutto zuppo di sangue…- Il carrozziere lasciò il lavoro per andare da lui. – Che c’è? – gli domandò preoccupato.
- È morto… Io bonino, è morto – ripeteva il fattorino, bianco in volto da sembrare un cencio e girando come una trottola.
Testimone della vicenda anche un bambino, che sarà protagonista del giallo, nonché una delle sue voci narranti. L’altra voce, in terza persona, racconta invece la sequenza dei fatti, che, scatenati proprio dal telegramma portato dal fattorino, iniziano a dipanarsi a partire da questo momento.
- Il maresciallo lo aprì con delicatezza, sistemandosi il foglio davanti gli occhi. Il messaggio era breve, essenziale: “Adesso giochiamo”.
Al primo omicidio, ne seguiranno altri. Sarà il carabiniere Paolo Magnolfi, amico del padre del bambino, grazie ai diari del medico arrivati in modo del tutto fortuito nelle mani del ragazzino, a fare luce sulle misteriose morti.
Adesso giochiamo di Massimo Fusai è il risultato di un’accurata ricerca storica che riguarda non solo gli avvenimenti legati alla fine del secondo conflitto mondiale nell’aretino, ma è anche la rievocazione attenta e nostalgica della città così come si presentava negli anni Settanta in alcune vie del centro storico.
Quelle che il protagonista, bambino nella storia, poi, da adulto, nella parte titolata Interludio, ricorda così:
“Strade che avevano disegnato la mia crescita perché una volta vivevamo e costruivamo le esperienze in strada. Vie povere, ma ricche di umanità.“
Nelle pagine del giallo riaffiorano usi e modi di vivere di una città della Toscana tanto differenti da quelli attuali, anni in cui i bambini, come racconta l’autore, giocavano ancora per strada e trovavano nella loro capacità di adattamento e nella fantasia la possibilità di svaghi innocenti e sani.
Fusai ricostruisce attorno al giovanissimo protagonista e alla sua famiglia un piccolo mondo fatto di artigiani, di bottegucce, di modesti luoghi di ritrovo dove ci si riuniva per giocare a carte o per una serata danzante a cui partecipava tutta la famiglia. Si raccoglievano nell’album le figurine dei calciatori e si ascoltava alla radio la radiocronaca della vittoria del Milan in Coppa delle Coppe.
Rende più realistica la sua rievocazione il dialogo, portavoce di modi di sentire popolari, spesso arricchito da intercalari del dialetto toscano.
Bravo il mi’ cittino […] – No, u’un so se si pole fare oggi. […] Mi raccomando, però, ‘un lo deve sapere nessuno […] – Alò, strullino![…] Fa’ solo quello che ti dico io e ‘un toccà nulla –
Sempre a proposito del linguaggio, l’autore dà prova di padronanza di registro linguistico passando dall’uso dello stile epistolare cronologicamente datato dei diari:
“Stamattina all’alba, andando verso Capalona, mi ha fermato una banda armata. Erano vestiti alla meno peggio, infreddoliti e decisi. Fortunatamente, ho riconosciuto fra questi il Maggi Palmiro, che insegnava lettere…“
Al linguaggio semplice nella forma e ingenuo nei contenuti del piccolo protagonista della vicenda:
“A proposito di donne, prima è uscita da casa tua una signora che ti cercava […] era brutta, non sapeva neppure che ti chiamavi Scionchino […] era bionda, brutta, truccatissima, la mamma direbbe come le megere…“
Per poi approdare a quello oggettivo e moderno delle pagine affidate alla narrazione in terza persona. E, per finire, alla voce del nostro piccolo protagonista che divenuto adulto, nell’Interludio, oltre a spiegare i motivi che lo hanno spinto a rispolverare quella antica vicenda, indica la chiave di lettura del libro e il motivo del suo proporsi all’attenzione del lettore:
“Era il segno lasciato dai tempi, dagli anni e dalla storia, la quale talvolta è monumentale e talvolta miserabile, come in questo caso.”
Adesso giochiamo, è in definitiva un libro che per l’ingegnosità della vicenda, può piacere ad un pubblico eterogeneo. Agli amanti del genere giallo, in primis, ma poi anche a chi ama la narrazione di contenuto storico, a chi vuole dimenticare con qualche ora di piacevole lettura l’affannoso e complicato modo di vivere del mondo contemporaneo, per rinverdire un passato a cui si guarda, sempre più frequentemente, con nostalgia.
Maria Lucia Martinez, la Prof.