La notizia di settimana scorsa, del suicidio di una studentessa dello IULM, ha scosso per l’ennesima volta l’opinione pubblica su un argomento molto sensibile e delicato da affrontare.
In un mondo in cui siamo quotidianamente sottoposti a competizione, aspettative di perfezione e giudizio, diventa spietato, per quella frangia di persone che viaggia ad una velocità diversa, o per sistema valoriale, o per influenze ambientali, anche solo riuscire a stare al passo.
Sentirsi falliti, frustrati, demoralizzati o depressi diventa quasi l’ordine del giorno se non si hanno gli strumenti per affrontare queste emozioni e stati che, in alcuni casi, diventano talmente pervasivi da portare al gesto estremo del suicidio.
È un’emozione che in 3 anni da fuoricorso ho vissuto da vicino per purtroppo ben 2 volte con delle ex compagne di corso. Perché il problema sta lì, nel cercare di seguire dei ritmi, che magari, non si riescono a seguire. Non si riesce a coniugare il lavoro con lo studio. Si ha un affitto da pagare, le spese, le tasse e se non ti va così di fortuna da avere le spalle coperte, devi fare i conti con ansia, stress e sensi di colpa per non riuscire a farcela.
Un peso che nella maggior parte dei casi si affronta da soli.
Subito ho pensato a un racconto al contrario, rispetto alle narrative consone, e di raccontare la mia storia di lentezza di una fuoricorso universitaria.
Poi mi sei venuta in mente te Elisa, fuoricorso come me, che ho avuto la fortuna di incontrare in un corso della mia carriera universitaria e la cui immagine mi ha sempre aiutato in questi anni.
Lo ricordo ancora quel giorno, avevo un dolore cervicale pazzesco, era freddo, e volevo saltare quella lezione, pensando di recuperarla 2 giorni dopo, ma qualcosa mi spinse a vincere quel dolore e venire a lezione. Sono stata ripagata con la conoscenza di due persone stupende, con cui abbiamo fatto un progetto insieme e delle storie da fuoricorso pazzesche.
Se non ricordo male, quando ci siamo conosciute eri quasi agli sgoccioli. Ti mancavano 3-4 esami importanti per finire.
Ricordo bene il periodo universitario, specialmente la coda finale degli ultimi esami. È vero che quando stai per raggiungere la vetta, gli ultimi passi sono quelli che pesano tonnellate.
Ricordo che, dopo aver iniziato un nuovo trimestre, mi resi conto che le tasse erano davvero troppo alte rispetto a quello che potevo guadagnare e gli esami mi sembravano interminabili. Per non parlare dell’assurda e giurassica burocrazia universitaria… quella è stata la mia croce! Non tanto il dare gli esami e studiare, che amavo tantissimo altrimenti non avrei fatto questo percorso di studi, ma il contorno che racchiudeva il sapere e la formazione universitaria.
Non era sempre stato così, alcuni cambiamenti politici hanno investito anche aspetti che riguardavano la gestione delle carriere universitarie.
Da quel cambio in poi ho iniziato ad accusare grossi problemi nella gestione dell’ansia, attacchi di panico e crisi senza precedenti.
Sì, in quei momenti sembra che tutto ti remi contro e già devi affrontare lo studio, l’ansia degli esami, la preparazione e tutto, e in più si mettono in mezzo anche queste burocrazie, sembra una congiura al percorso di studi.
Fortunatamente non ho ancora avuto il cambio corso e di crediti rispetto a quando mi sono iscritta a questo percorso formativo. E un po’ spero non mi succeda, perché lo temo.
Però sì, sembra che non si voglia renderlo semplice. Un sacco di burocrazia, che al netto delle piattaforme online che hanno agevolato di molto, non sembra si riesca a superare: code agli uffici, centro assistenza, per persone tipo noi che arrivavamo anche da un percorso lavorativo, in cui ti devi prendere permessi e hai ancora meno tempo da sprecare, diventa veramente una corsa ad ostacoli.
È tutto il sistema universitario.
L’ansia, paradossalmente, non la vivevo prima dell’esame bensì nell’iscrizione dell’esame stesso nel portale online.
Per me era proprio tutto quello che ruotava nella gestione tecnica degli esami universitari, perché solo lì si sono scatenati i miei incubi.
Ricordo gli attacchi di panico di fronte ad un docente che NON VOLLE registrare un voto perché troppo difficile la tecnologia per noi poveri Fuoricorso. Perché ti spiego: essendo appunto fuoricorso avevamo SEMPRE dei problemi con la registrazione degli esami e in tutto il contesto “tecnico”. Perdevo ORE al telefono o in segreteria per cercare di sistemare quel caos che nemmeno loro a volte capivano.
E poi oltre a questo bisogna incastrare tutto il resto, vita, lavoro, viaggio andata e ritorno o affitto se sei fuorisede. La pressione in un caso o in un altro è tanta se non si hanno le spalle ben coperte, sia da un punto emotivo che da un punto di vista economico.
Ricordo che la pressione, le aspettative – che nel mio caso non provenivano dalla mia famiglia ma dalla società – mi schiacciavano dall’interno facendomi sentire incompetente. Cercavo di dare il meglio in tutti i campi: lavorativo, famigliare e universitario.
Scarseggiando inevitabilmente in tutti. Ma questa era solo una mia illusione, una mia sensazione perché figlia di standard sociali assurdi. In verità ciò che davo era tanto, ma non me ne rendevo conto perché sottostimavo me stessa.
Lavoravo nella piccola azienda di famiglia, un po’ per guadagnare qualcosa e un po’ per aiutare in casa. Mi sentivo di dare il mio aiuto per ringraziarli del supporto che loro davano a me nei momenti in cui vacillavo di più.
Non sono mai stati tanto loro a mettermi pressione, ma le persone che non vivevano l’università e paradossalmente alcuni studenti universitari stessi.
Come facevo a far quadrare tutto? Come un trapezista, in bilico sulla fune cercando di non cadere… finché poi l’ansia non ha preso il sopravvento.
Secondo me c’è ancora molta paura nel non riuscire a rispettare quelle aspettative, interne ed esterne, che girano intorno al mondo dello studio, sia da parte degli studenti che da parte delle famiglie che magari aiutano economicamente il percorso universitario.
La paura del non essere il migliore della classe, del non sentirsi al top se non si superano gli esami, è un circolo vizioso che non si riesce a superare se non… facendo un click interiore.
Oggi leggevo una cosa molto interessante: essere il mediocre della classe non è un male.
Quanti 18, o 21 passati col naso storto dopo le notti a studiare e guardando gli altri prendere un 27 con scioltezza, ma poi ti fermi a pensare, “Cavolo, ma ho anche lavorato, ho avuto questo o quest’altro problema, mi sono impegnata un sacco lo stesso, non mi importa se non sono il migliore!”
Perché poi inevitabilmente ti senti fuori posto, ti confronti con gli altri e li vedi ad un altro livello, pensi di essere sbagliato, o di fare le cose in modo sbagliato.
E invece ognuno ha il suo percorso e il suo ritmo da seguire.
Hai ragione, ognuno vive l’università secondo i propri tempi e ritmi e sono perfetti così.
Gli anni universitari sono stati la parentesi evolutiva più bella della mia vita! Perché? Per mille motivi: l’averli vissuti esattamente con il ritmo adeguato alla mia persona, la possibilità di confrontarmi con alcuni studenti che condividevano la mia passione nell’apprendere discipline inclini ai miei talenti, poter ascoltare alcuni insegnanti che amavano il loro lavoro.
Ciò che faceva sorgere in me ansia e chiusura era la competizione tossica fra alcuni studenti e dover interfacciarmi con persone esterne giustificando il motivo per cui ero indietro col mio percorso di studi.
Sentirmi, quindi, spesso giudicata come una persona svogliata.
Quanto cambia questa ansia di prestazione nel vivere questa esperienza e quanto ci fa perdere il senso della formazione e dello studio su quello che è il nostro sentire il nostro percorso.
Io bene o male me ne sono accorta subito che ero fuori standard rispetto agli altri, avendo una malattia cronica e lavorando part time, avevo ancora meno tempo ed energie a volte da dedicare allo studio. La frustrazione alle volte era alle stelle e le aspettative rispetto agli esami diventavano più forti ancora, visto la doppia fatica che facevo. Ma mi rendevo conto che partivo ancora di più da una posizione svantaggiata e pur essendone consapevole la situazione non è sempre facile, soprattutto nel mantenere questo “distacco” dagli altri.
A me l’ansia prendeva talmente forte agli inizi che non riuscivo a spiccicar parola, ma non perché non fossi preparata, ma perché mi pervadeva e in questo il mio percorso psicoterapeutico mi aiutò tantissimo ad affrontare la situazione.
Parli esattamente di ciò che ad un certo punto ha afflitto anche me.
Nel mio caso ha aiutato un mosaico di fattori, primo fra tutti le persone che amavo: mia madre, mio fratello e Francesca (una mia cara amica universitaria) e la passione per la meditazione.
Francesca una volta mi disse: “Eli, non guardare la cima della scala. Concentrati solamente sul gradino che devi compiere. Una volta fatto gioisci perché ti stai allontanando dalla posizione di partenza e avvicinando sempre di più al tuo obiettivo. Mantieni il focus sui piccoli ma costanti obiettivi”
Questa filosofia mi ha salvata! È diventata il mio mantra per meditare, superare e progredire in qualsiasi ambito voglia avanzare.
Con lo yoga e l’ascolto di me stessa ho scoperto finestre interiori che prima non avrei mai sognato d’avere.
Sicuramente l’ascolto e la consapevolezza di sé stessi aiutano molto nell’affrontare il percorso universitario e lo studio, ma a tutti gli effetti io e te arrivavamo all’università già con tempistiche di vita differenti dalla maggior parte dei nostri colleghi universitari.
Mi immagino situazioni diverse dalle nostre in cui questo ascolto e consapevolezza sono diversi. L’adrenalina per un esame si tramuta in ansia, sapendo quanto ci hai “speso” in termini di tempo ed energie, è difficile accorgersene quando lo si vive da dentro. Quando corri per seguire il ritmo e vai, è difficile ascoltare ed ascoltarsi interiormente, perché si è concentrati su altro, sull’obiettivo, sull’esame, e il filo si perde. Al netto che non ci scatti qualcosa dentro, un campanello di allarme, un attacco d’ansia, un’influenza, un segnale del nostro corpo che di dica “ehi, ci sono anche io ascoltami”.
Cosa ti ha fatto scattare la molla interiore per dirti “ok, Eli, così non va. Qualcosa deve cambiare”
Per me la molla è stato un attacco di panico dovuto al pericolo di perdere un gruppo di esami che avevo già sostenuto ma perduti dagli insegnanti (non chiedermi come perché il mio cervello ha rimosso gran parte delle cose di quella situazione).
Laddove prima l’adrenalina pre esame che scorreva nel mio corpo mi dava lo slancio per dare il meglio, ora era diventata un’armatura ferruginosa dove non riuscivo a muovere un passo senza sentirmi attanaglia da un senso di paura.
La molla interiore è stata la voce della mia coscienza che ha deciso di non continuare ad alimentare questo circolo vizioso di terrore e incertezza.
Ho dovuto compiere delle scelte: o la mia salute mentale o il resto.
Ho ridimensionato drasticamente le mie paure e re-impostato le mie priorità.
Sono su questa terra per cosa? Come sto vivendo un percorso di formazione che dovrebbe essere il terreno fertile per arricchire la mia persona, innanzitutto, oltre all’ambito lavorativo? Questo percorso è mio e mio soltanto, è così che desidero viverlo?
Il più delle volte questo click, questa piena consapevolezza, la si raggiunge con un supporto psicologico al nostro fianco – perché diciamolo, che in momenti difficili non è un minus avere un aiuto professionale al proprio fianco, anzi! È un pilastro fondamentale per la crescita e la condivisione di quel disagio che altrimenti potrebbe diventare altro – ed anche su questo c’è ancora molto stigma sociale intorno. È importante riconoscere che non tutto possiamo e riusciamo a gestire da soli, soprattutto quando si parla di educazione emotiva o di salute mentale. Abbiamo bisogno di un sostegno esterno che ci aiuti a capire e affrontare determinate emozioni in maniera costruttiva.
Anche perché in questo siamo tutti vulnerabili senza un percorso psicoterapeutico che ci permette di capire e di affrontare le difficoltà che ci investono. Chi affronta le cose in maniera diversa, chi le vive amplificate dentro, ognuno ha queste emozioni, più o meno intense e forti dentro, ma sentirsi esonerati perché si pensa che siano gli estremi di queste sensazioni sbaglia.
Sentirsi esonerati non ci fa percepire la possibilità di chiedere aiuto qualora ci fossero dei campanelli d’allarme a darci un segnale interiore.
Assolutamente si.
L’estremo gesto non è l’eccezione, è l’accumulo di tutto che poi sfocia lì se non viene gestito. C’è ancora molto pregiudizio sulla figura dello psicologo purtroppo. Io trovo invece una grandissima occasione di riequilibrare frammenti interiori caotici, da soli è difficile ma con l’aiuto di un professionista esterno si può riuscire benissimo a decifrare il caos che spesso abbiamo dentro. È un dono d’amore verso noi stessi accogliere l’aiuto altrui.
Dopo 8 anni di studio e lavoro l’annuncio di aver preso la laurea.
Un percorso turbolento di alti e bassi, fisici e morali.
Non ti nego che ascoltarti mi emoziona. Perché la mente mi riporta esattamente a quello che ho provato quando ho annunciato d’aver concluso finalmente questo percorso tanto odiato quanto amato.
Quante volte hai pensato di mollare?
Perché anche questa è un’opzione. Magari non siamo fatti per la vita universitaria, ogni volta me lo chiedo, e resto lì nel capire se questo percorso faccia ancora per me. Perché magari la scelta di farla è stata dettata da stereotipi che ci hanno passato “sull’aver la laurea”, o magari l’abbiamo intrapresa in un momento determinato e la vita dentro di noi poi ci porta altrove mentre la viviamo. D’altronde è un percorso anche questo.
Quante volte ho pensato di mollare? Ho perso il conto… tantissime. Ero sempre lì lì per crollare perché sentivo di non farcela. Troppi ostacoli e contrattempi si sono accavallate fra me e quella corona d’alloro.
La soddisfazione di esserci riuscita è impagabile, ma non essenziale.
Dopo qualche anno dalla laurea, guardando tutto il mio percorso dall’alto, riconosco che è stato esattamente il percorso stesso il tesoro più prezioso. Impagabili sono stati gli insegnamenti che mi porto nel cuore di alcune situazioni, sono quelle che mi hanno arricchito dentro. Non la conclusione in sé, ma il mio personale cambiamento di prospettiva ogni qualvolta uscivo da una lezione che per me è stata significativa.
Quello che sto cercando di dire è che l’università dovrebbe avere uno scopo ben preciso: evolvere l’animo umano. Fargli ampliare il suo raggio visivo interiore, aprire nuovi aspetti di comprensione umana. E tutto questo succede VIVENDO l’università, non raggiungendo il voto più alto o essendo più veloci nel laurearsi o laurearsi proprio.
Anche se decidi ad un certo punto di mollare, non significa che vali di meno. Non significa che fallisci ma anzi, scegli consapevolmente quello che è bene per te ora. Scegli la tua persona, la tua felicità. Ed è sempre la cosa più importante! Mi mancano i miei anni universitari. L’ambiente, lo scambio di idee, la sete di sapere condivisa.
Ed è questo che manca, no, nel dire, sono anni formativi dell’anima, della personalità.
E quindi anche questo continuo modo di dire che devi fare tutto entro un tempo limite, o fare un tot cose è sbagliato.
Hai la possibilità di costruire la tua persona in modo completo e maturo.
Bisognerebbe viverla come un’opportunità, non con questa ansia costante da prestazione e pressione.
Ho ringraziato il destino d’avermi dato la possibilità, per esempio, di vivere il tirocinio ad un’età non così giovane. Con la maturità e la mente di una quasi trentenne mi sono portata a casa un bagaglio esperienziale, di competenze, emotivo ed umano senza precedenti!
Cosa ti ha trattenuta dal non mollare?
Mia madre.
Lei, che ha creduto in me stessa prima ancora che ci credessi io. E la mia testardaggine!
Cosa possiamo dire ai ragazzi o ai genitori che ci stanno leggendo? Che non abbiamo già detto?
Io mi sento di dire di cercare di comunicare, tanto, tantissimo, di provare a scriverle queste emozioni, e di condividerle, per quantomeno non sentirsi soli nell’affrontarle e cercare di dividerne il fardello, perché a volte ce ne prendiamo carico, come studenti, come figli, come parte di una cerchia, quando invece condividendole, anche questo fardello si alleggerisce.
Che sia un genitore, un amico, uno psicologo, l’importante è parlarne e non averne paura.
Amati cari, desidero con il cuore farvi un augurio: vi auguro di saper riconoscere il problema e non sentirvi in difetto, di comunicare senza filtri il disagio che vi sentite dentro.
Non abbiate timore di parlare, perché inaspettatamente potete trovare l’ancora di salvezza in una persona che magari non vi aspettereste di ritrovare.
L’aiuto è giusto sia dato da una persona professionista, ma può essere anche scaturito da una persona che ci è vicino, che magari non ti aspetti.
Non abbiate mai e poi mai paura di guardarvi dentro e parlare dei disagi che provate. Meritiamo di vivere pienamente ed essere aiutati nel momenti più fragili!
La salute mentale è importante, più importante di qualunque lavoro.
AC
PS: grazie di cuore a Elisa per il racconto di questo articolo, che non è stato facile, e a Gaia per la consulenza psicologica. (Scusa Roberta se ti ho messo ansia e curiosità mentre stai stilando la tesi magistrale)