Il delitto nella camera chiusa è un grande classico della narrativa gialla, tanto da aver costituito negli anni un filone sé stante, in cui si sono cimentati autori del calibro di Agatha Christie, Ellery Queen e John Dickson Carr.
Diego Pitea ci propone la sua rivisitazione del genere con un romanzo in cui alla scrupolosa costruzione della trama si unisce uno stile pulito, ironico e frizzante.
Protagonista è il neuropsicologo Richard Dale – già collaboratore della polizia nel romanzo precedente – che viene incaricato di seguire il caso dell’imprenditore Cesare Borghi, il quale da qualche tempo riceve delle lettere minatorie.
Per questo motivo, Dale si reca presso la villa in cui Borghi ha organizzato una reunion con alcune delle persone che gli stanno più vicine, persone di cui è evidente che il padrone di casa non si fidi.
Da questo momento ha inizio un conto alla rovescia al cardiopalma: dalle lettere anonime, che l’investigatore ha inizialmente preso sottogamba, si passa per la misteriosa caduta di un pesante lampadario fino a una sequenza ravvicinata di due omicidi, uno dei quali avvenuto in una stanza chiusa dall’interno.
Per Dale, affetto dalla sindrome di Asperger, “questioni come salvare vite umane o far condannare assassini non rivestivano alcuna importanza. L’unica cosa che gli interessava erano l’enigma e riuscire a controllare la propria mente”: quello che sta accadendo dentro quella villa, isolata da una tempesta di neve nel cuore delle Dolomiti, diventa una sfida contro sé stesso, da affrontare contando solo sulla propria capacità di osservazione, allo stesso modo con cui si predispone a giocare una delle partite di scacchi che gli sono tanto care.
Dale è un personaggio indimenticabile. Diego Pitea dimostra una grande abilità nel tratteggiarne caratteristiche che lo rendono unico e riconoscibile nell’oceano di investigatori di carta: due mattoncini Lego da incastrare in mille combinazioni, liquirizie da gustare o ingollare nervosamente, oggetti da allineare ai bordi dei ripiani su cui si trovano, sono solo alcuni dei dettagli che il lettore memorizza e che da adesso attribuirà a lui soltanto.
Grande attenzione è dedicata anche alla caratterizzazione di tutti gli altri personaggi: dalla moglie di Richard, Monica, reduce da una perdita recente da cui fatica a riprendersi, alla vittima, a tutti gli ospiti della villa, rappresentanti di una umanità eterogenea e credibile, ciascuno con la propria maschera, le proprie debolezze e i propri segreti inconfessabili.
La stanza delle illusioni è un romanzo da leggere senza fretta, per coglierne tutte le sfumature: dall’accuratezza nella costruzione del giallo, all’approfondimento di ognuna delle backstories, al semplice piacere di fruire di una scrittura elegante, chiara e puntuale.
E poi, at last but not least, vi assicuro che per scoprire chi è il colpevole dovete arrivare proprio alla fine!
Claudia Cocuzza