Vi sarà capitato di sicuro, se avete appena iniziato a cucinare, o quando avete iniziato a farlo, di chiedere delle ricette ad amici e parenti. Prima ancora di chiedere a Google o ad Alexa, si chiedeva alla fonte primaria di ricette della nostra vita. La mamma, o la nonna. Proprio perché l’avevamo appena mangiata e ci piaceva tanto com’era venuta fuori, e volevamo a tutti i costi carpirne ogni segreto, ogni ingrediente, ogni sfumatura per tornare a casa e rifarla. Mamma e nonna, una fonte inesauribile di sapori e ricordi. Un po’ perché come cucinano loro quei piatti, con la loro ricetta andiamo sul sicuro, un po’ perché quei sapori ti rimangono così indelebili addosso, che nemmeno il più forte smacchiatore li riesce a sgrassare dalla maglietta dei nostri ricordi.
Prendi il telefono, o la prima volta che la vedi cogli l’occasione per chiedere “Ma come hai fatto a farlo quello spezzatino? Era così buonoooo…”
E lì inizia a elencarti gli ingredienti, e man mano che la lista si allunga ti senti sempre di più avvicinare alla camera segreta di quel gusto particolare e unico.
Prendi questo, fai così, tagli, poi lo lasci a marinare, il pomodoro, il sale.
Passo dopo passo inizi a vedere la porta, c’è scritto “ricetta segreta”.
Metti in pentola, fai il soffritto, chiudi la pentola, tot ore, fiamma bassa.
E sei davanti a quella porta. Ti senti maestra ormai, cavalchi l’onda, la ricetta è tua, pronta, domani, dopodomani o alla prima occasione ghiotta, per essere replicata.
Hai la mano nel pomello di quella porta così misteriosa per carpirne l’ultimo segreto e fai la domanda fatidica.
“Ok, ho tutti gli ingredienti, ma quanto ci devo mettere di questo? E la cottura, quanto la lascio?”
Giri il pomello, spalanchi la porta e l’ingrediente segreto della ricetta è:
“VAI A OCCHIO”.
Vai a occhioooooo, capite?
Quanta frustrazione ci può essere in una frase così corta per una cuoca novella, che non sa nulla di cucina e che ha bisogno di una guida?
Vai a occhio.
Ero lì, a un passo dal sentirmi “il Re del mondo”, citando Jack sulla prua del Titanic mentre attraversa l’oceano sul più grande transatlantico mai costruito.
Lì, in prima fila ad ammirare lo spettacolo del segreto più grande della cucina di mamma, o di nonna, per replicare quella prelibatezza, e invece, arriva l’iceberg e rovina tutto.
Vai a occhio.
Per una novellina come me, ma cosa significa?! Non significa nulla. Uno scalogno? Mezzo? Una carota? Mezza? Un cucchiaio di farina? Quanta ce ne devo mettere? Io non lo so! E la mia bilancia non ha quest’opzione tra le misure.
È il panico.
Eh si perché il “vai a occhio” è la voce dell’esperienza, la voce del “ho cucinato 10.000 volte quel piatto, ormai è dentro di me, quasi un’azione meccanica che non ho più bisogno di prender la misura in grammi, millilitri, vado a occhio”.
Dipende da quanto grande è la verdura, quanta carne ho, da quante porzioni ne devo fare, le variabili son talmente tante che “vai a occhio” è l’unica costante che accompagna la cucina dell’esperienza. Il sapore unico ed irripetibile che ogni volta ha quel piatto, equilibrato e armonioso è dato dalla misura visiva degli ingredienti che prendono forma e colore nella pentola, nella terrina, o nel piatto.
Sempre vani i miei tentativi nel chiedere a mamma la ricetta dei suoi gnocchi così buoni, perché dipende. Dipende dall’umidità della patata, dall’umidità del tempo, da quanto la patata assorbe e si amalgama nella farina che alla domanda “ma quanta farina devo mettere?”, la costante è sempre “vai a occhio”, che nel caso delle farine si trasforma in “dipende quanto l’impasto chiama”, e per chi impasta lo sa che è così.
Ma per una pivella come me… uff, come si fa?!
E allora cerchi una ricetta online, che bene o male qualche indicazione in grammi la dà, e poi finisci comunque per andare a occhio, a provare, a riprovare e ad assaggiar e correggere in corsa se serve, o a rifarlo nella prossima ricetta.
La cucina alla fine questo è: conoscenza delle materie prime e delle tecniche e poi il resto è esperienza. Ed il “vai a occhio” ne è la ricetta principale.
Quegli equilibri oltre ad assaggiarli li devi vedere, a completare l’esperienza sensoriale della cucina che dopo tatto, olfatto, udito e gusto deve passare per forza anche per la vista. Ma non si ferma lì, va oltre. Eh si, perché il “vai a occhio” non è solo una questione visiva. È una questione anche di sesto senso, di sentimento. Lo devi sentire, sentire dentro, quanto può andar bene quell’ingrediente in quella ricetta, il giusto per insaporire ma non essere troppo e sovrastare.
Quell’equilibrio in cucina è una questione di esperienza e di gusto, di empatia e di estro.
È più di un ingrediente ed è l’ingrediente che ognuno di noi custodisce dentro.
Il “vai a occhio” è la ricetta più bella al mondo che si possa imparare e insegnare.
Alessandra Collodel