Dentro ognuno di noi c’è il bisogno di eternità, così quando incontriamo ad esempio un amore, vogliamo che duri per sempre, vogliamo che sia eterno. E non ci poniamo la domanda se l’eternità è d’accordo con il nostro bisogno di trattenerla.

Sta di fatto che la nostra corsa nella vita, il nostro essere al mondo ruota tutto intorno a questa ricerca. A cosa serve vivere se poi tutto ha una fine? A cosa servono le lotte, i sacrifici, a cosa serve amare se poi tutto deve cessare di esistere?

L’antropologo Bauer ritiene che questo sia esattamente la causa dello stress presente nella nostra vita. Siamo assorbiti da questa ossessione.

La filosofia Buddista invece, che non si basa sul concetto di eternità, costruisce il mandala con la sabbia per poi soffiarlo via, una volta terminato.
Per chi pratica il buddismo conta solo ciò che impregna la coscienza, la consapevolezza. Quindi non occorre essere più bravi, più intelligenti, più colti, il nostro compito è solo quello di evidenziare la creazione.

E se ci chiediamo qual è il senso della vita? La risposta è che c’è uno spazio eterno, una “sorgente di vita” inattaccabile dall’esterno. C’è qualcosa che ci appartiene e che possiamo incontrare se solo lo vogliamo.

Per trovare quella sorgente di vita che abita in noi, la mente deve essere nella condizione adatta. Una sorta di condizione mentale quieta, aperta, priva di giudizi, di pensieri.

Una sorta di mente vuota: è solo in questa condizione della mente che si libera dai propositi, che si scopre il punto in cui sorgono le energie. Quando la mente impara a fare questo, lo stress diventa un vocabolo estraneo alla nostra anima

Se questo non accade, l’effimero sconfigge l’eterno, lo stress regna sovrano e siamo in balia del caos.

Quando lo stress arriva, lo lascio venire e lo guardo tramontare. Guardo come tutto ciò che accade, inevitabilmente passa. Mi abbandono dolcemente all’oceano della vita. Non faccio resistenza.

Dopo un po’ sento il vuoto, e poi la pace. Questo significa affacciarsi all’eternità.

Maura Luperto