La telefonata preoccupata di suo padre costringe Veronica a lasciare Roma per tornare in Umbria, nel casale di famiglia immerso nei boschi che costeggiano il fiume Faena. Lì, sulla collina tra Fratta Todina e Montecastello di Vibio, una minacciosa cascina conserva un segreto che la ossessiona. Chi abitava quella casa sedici anni prima? All’ombra dei rampicanti che infestano le mura di pietra, un uomo misterioso le tormenta i sogni, costringendola a ripercorrere i giorni antecedenti alla tragedia che le ha sconvolto la vita.
Veronica deve fare i conti con frammenti di ricordi che la perseguitano, e mentre cerca di mettere insieme i pezzi, le sembra di essere costantemente osservata: lungo i sentieri del bosco, nella cantina umida della cascina, persino nell’intimità della sua camera. Il ricordo della sua adolescenza, il legame con sua cugina Mara e il silenzio che alberga nella sua vecchia casa la investono come un fiume in piena, spazzando via le sue certezze e lasciando dietro di sé solo detriti e fango. Una storia sul passato che ritorna inesorabile, di legami di sangue corrotti dalle ossessioni. Cupa, come il letto del fiume che rapisce l’ultimo respiro di vita.
Recensione
Veronica e Mara sono due cugine che vivono quasi in simbiosi.
Non potrebbero essere più diverse: la prima bruna, sovrappeso, studiosa, saggia, timida; la seconda bionda, occhioni blu, fisico da modella, bellissima e sfrontata.
L’estate del 2002 è quella dei loro 18 anni.
Superati gli esami di maturità, le aspetta il meritato riposo, la spensieratezza tipica della loro età, e poi il futuro.
Ma non è così che va. Il tempo si ferma il 20 luglio e, sedici anni dopo, Veronica è costretta a rivivere lo stesso incubo.
Come in un magistrale gioco di specchi, sfruttando un continuo andirivieni nel tempo, l’autrice costruisce una storia in cui passioni adolescenziali, amicizia, amore, tradimenti, silenzi e menzogne si intrecciano confondendo il lettore che, al pari di Veronica, non è in grado di distinguere il vero dal falso, ciò che è da ciò che sembra.
La Campeti dà prova di maturità cimentandosi con successo in un thriller psicologico dove la vicenda umana predomina sull’indagine – come da sua cifra caratteristica – senza per questo sminuirla, anzi, rendendola funzionale e dandole un senso che va al di là della ricerca di un colpevole.
Una scrittura matura, che accompagna con dolcezza ma stupisce con la sua durezza, quando occorre, sostenuta da quella che ormai è una costante per la Campeti, la sua polisensorialità, ovvero la grande dote di permettere al lettore un’immersione totale nella narrazione, fatta di colori, odori, suoni e sapori.
Insieme a Veronica ho attraversato i boschi dell’Umbria, ho sentito la carezza delle fronde e lo scricchiolio dei rami sotto le sue scarpe da running e il freddo delle acque in cui Mara ha esalato il suo ultimo respiro; ho avuto il cuore in gola, tante volte, proprio insieme a lei.
Un viaggio che consiglio a ognuno di voi di compiere.
Buona lettura!