L’idrogeno verde – secondo alcuni importanti indici di efficienza energetica, emissioni di gas climalteranti e costi di produzione – è la soluzione ideale come vettore energetico per le operazioni del porto di Trieste. Sono arrivati a questa conclusione due gruppi di ricerca dell’Università di Padova e dell’Università di Trieste che hanno valutato la sostenibilità ambientale ed economica dell’idrogeno verde prodotto con elettrolizzatori alimentati da elettricità rinnovabile rispetto ad altri tipi di idrogeno (grigio, blu e grid).
Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Applied Energy ed è frutto di una collaborazione portata avanti negli ultimi anni dal due gruppi di ricerca coordinati da Alberto Bertucco, professore ordinario di Impianti Chimici all’Università degli studi di Padova e da Maurizio Fermeglia, professore ordinario di Principi di Ingegneria Chimica all’Università degli studi di Trieste.
La ricerca è stata svolta all’interno del centro studi “Levi Cases” dell’Università di Padova e del centro per l’energia, l’ambiente ed i trasporti “Giacomo Ciamician” dell’Università di Trieste.
I ricercatori hanno svolto un’indagine di confronto fra diversi metodi di produzione di idrogeno per l’impiego a livello locale, con particolare riferimento alle operazioni di movimentazione di merci e persone, al fine di azzerarne le emissioni equivalenti di CO2 fossile. Lo studio ha sviluppato modelli di simulazione predittiva di processi industriali di produzione di idrogeno, che hanno fornito la base per una valutazione quantitativa affidabile.
“Siamo partiti dalla necessità di fare chiarezza sui costi e sugli impatti della produzione di idrogeno e quindi dai simulatori di processo per ottenere i dati di bilancio di materia e di energia e dei costi di costruzione, manutenzione ed uso degli impianti per arrivare ad eseguire degli studi affidabili”, sottolinea Andrea Mio, ricercatore in Principi di Ingegneria Chimica presso l’Università di Trieste: “In questo modo il lavoro svolto ha dato indicazioni su diversi aspetti relativi alla sostenibilità: ambientale, economica ed energetica”.
Si stima che i porti contribuiscano al 4,7% delle emissioni di CO2 dell’Unione Europea. L’idrogeno può svolgere un ruolo importante nella loro decarbonizzazione, andando progressivamente a sostituire l’alimentazione, oggi principalmente a diesel, di veicoli pesanti quali navi, treni e camion coinvolti nelle attività portuali.
“Quello dell’idrogeno è un tema molto caldo nell’ambito della transizione energetica, e negli ultimi anni sono stati pubblicati molti studi a riguardo. Tuttavia, per noi era fondamentale calare lo studio nell’ambito di una specifica applicazione, quella del porto, poiché, come abbiamo capito attraverso i nostri studi, le condizioni al contorno possono influenzare molto i risultati” aggiunge Elena Barbera, ricercatrice in Impianti Chimici presso l’Università di Padova.
I dati utilizzati sono quelli relativi al porto di Trieste, ma lo studio offre una metodologia generalizzabile ad altri porti del Mediterraneo che per la prima volta considera tutti insieme importanti indicatori, quali l’indice di ritorno energetico (EROEI – Energy Return On Energy Invested), il costo livellato dell’idrogeno (LCOH – Levelized Cost of Hydrogen), il potenziale di riscaldamento globale (GWP – Global Warming Potential), il costo totale di proprietà (TCO – Total Cost of Ownership), oltre a quelli previsti dall’analisi del ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment).
“Dal nostro studio si può evincere che l’idrogeno andrebbe sfruttato solo per un utilizzo locale, e con funzione di accumulo di quantità di energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili intermittenti, oppure per applicazioni in cui l’elettrificazione non costituisce un’alternativa realizzabile, come ad esempio il traffico di mezzi pesanti, che potrebbero essere alimentati da fuel cells a idrogeno” sostiene Alberto Bertucco.
“Allo stato attuale, infatti, il trasporto dell’idrogeno nelle reti di distribuzione del gas naturale non è possibile, e potrà essere realizzato soltanto con una nuova rete costruita ad hoc, i cui costi di realizzazione, tuttavia, risulterebbero molto elevati” – aggiunge Maurizio Fermeglia – “Riteniamo pertanto che l’uso in loco sia da preferirsi. Così l’idrogeno, per cui sono stati già stanziati ingenti finanziamenti sia a livello nazionale sia europeo, potrebbe svolgere un ruolo nel processo di decarbonizzazione di diversi settori, tra cui anche quello portuale”.
L’amministratore delegato di Adriafer Maurizio Cociancich sottolinea l’importanza dello studio: “L’analisi svolta offre delle chiavi di lettura della massima importanza per prendere decisioni strategiche legate alla conversione energetica della nostra produzione di servizi di manovra all’interno dei nodi portuali. Valutare le implicazioni legate alla sostenibilità economica e ambientale della scelta dell’idrogeno come veicolo energetico utilizzato per la propulsione delle nostre locomotive è un processo che siamo chiamati a fare considerando tutto il sistema portuale e della mobilità. Solo effettuando questa operazione, rompendo i silos settoriali, riusciremo a prendere la giusta direzione come sistema e non unicamente come singolo attore”.
Le principali evidenze dello studio
In termini di EROEI (Energy Return On Energy Invested) l’idrogeno verde, ottenuto da elettrolisi dell’acqua alimentata da energia rinnovabile, è risultato sempre più vantaggioso rispetto a idrogeno grigio o blu: il primo è ottenuto dal gas naturale (SMR – Steam Methane Reforming) senza cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, il secondo con la cattura della CO2.
I costi di produzione (LCOH) sono molto influenzati dalla scala dell’impianto. In particolare, gli impianti di SMR (per idrogeno grigio e blu) soffrono pesantemente dell’economia di scala, perciò sono adatti solo a produzioni centralizzate su larga scala, e non a produzioni in loco. Il costo dell’idrogeno verde, invece, grazie alla modularità degli elettrolizzatori, è meno influenzato dalla taglia dell’impianto, e si dimostra quindi più adatto ad una produzione decentralizzata.
Per quanto riguarda l’analisi LCA (Life Cycle Assessment), in termini di Global Warming Potential (GWP) l’idrogeno verde è quello con le migliori prestazioni. Tuttavia si è visto che, se per il processo di elettrolisi viene utilizzata energia elettrica dalla rete (grid hydrogen) con il mix nazionale attuale (circa un terzo rinnovabile, due terzi non rinnovabile), le emissioni risultano significativamente più elevate anche di quelle dell’idrogeno grigio, poiché l’elettrolisi dell’acqua è un processo estremamente energivoro (circa 55 kWh/kgH2, in media).
Relativamente all’idrogeno blu, le emissioni non sono ridotte a zero, in quanto la cattura non è totale e al massimo intorno al 90%. Inoltre, non è ancora stata validata su larga scala nessuna tecnologia per lo stoccaggio della CO2 dopo la sua separazione o cattura.
Se si considerano altre categorie d’impatto ambientale (consumo di risorse, utilizzo di terreni, inquinamento e consumo di acqua), l’idrogeno verde produce degli impatti maggiori rispetto a blu e grigio, e pertanto alcuni aspetti possono e devono essere migliorati.