Thriller e criminalità organizzata: cosa si cela dietro “Un Uomo senza Paura – D’Artagnan, il primo giornalista ‘suicidato’ dalla mafia”
La parola agli autori su indagini, personaggi e le storie.
In un contesto geografico in cui la voce più forte la fa da padrona, Francesca la Mantia e Angelo Urgo vengono a capo del progetto “Un Uomo senza paura”, un thriller liberamente ispirato alla vita e alla morte di Cosimo Cristina, giornalista di Termini Imerese “suicidato” dalla mafia, come indicano gli stessi autori all’interno del titolo, il 5 maggio 1960. Ho parlato con loro per carpire i segreti che si celano dietro la storia da loro raccontata e al libro.
I due si conoscono mentre lui lavora come ricercatore per un progetto che riguarda le aziende confiscate alla criminalità organizzata mentre lei è insegnante e regista. L’amore letterario, come lo definiscono i due, sprigiona dalla comune voglia di lavorare insieme su storie politiche in cui, per “politiche”, Angelo intende tipo Disney più il sangue (espressione che prende in prestito da Godard – “Una Storia Americana”, 1956, n.d.r.), e la storia di Cosimo Cristina era in grado di diventare qualcosa del genere: è una fiaba ma con un finale che non aveva niente a che fare con una fiaba.
Tutto nasce dalla lettura degli articoli di Giuseppe Francese, il figlio di Mario Francese, il giornalista ucciso dalla Mafia nel 1979. Giuseppe indaga per conoscere la verità sul padre: ne scova i mandanti, li fa incarcerare e poi si suicida. Prima di suicidarsi, però, ripercorre le indagini del padre che erano appunto su Cosimo Cristina, e ne rivendicavano l’innocenza e il presupposto omicidio.
Angelo e Francesca cominciano, in modo indipendente, a lavorare sulla storia che avevano in mente e matura anche l’idea di costruire un film sulla vicenda. In contemporanea alla scrittura che prende vita sulla scia della produzione letteraria di Francesca (il cui primo libro risale al 2020, “Una divisa per Nino”, Gribaudo Editore, n.d.r.) e strizza l’occhio alla sceneggiatura grazie all’operato di Angelo, i due si concentrano su un antieroe: perché non far parlare il miglior amico di Cosimo, nel libro menzionato come Giuseppe Rizzo? L’uomo che preferì il silenzio per cinque, lunghissimi anni: perché non ha mai parlato? Avrebbe potuto rivoltare l’esito delle indagini, avrebbe potuto segnare un futuro diverso per la Sicilia intera con la propria verità, perché finora, la verità che ci è stata data è che il caso di Cosimo Cristina è stato archiviato come suicidio, ma troppi sono gli elementi che non tornano, troppe le contraddizioni e il fatto che questo corpo abbandonato sui binari avesse due pizzini in tasca.
Secondo le indagini, gli amici, i conoscenti e i familiari di Cosimo, infatti, la calligrafia che compariva in quei pizzini non coincideva con quella di Cosimo, ma mai furono affidati a una perizia calligrafica; il corpo presentava ecchimosi che non coincidevano e non avrebbero mai potuto coincidere con la dinamica raccontata, quella del suicidio: dove se le era procurate? Mancava il taccuino, mancavano le sigarette, e la fidanzata, Enza Venturelli, rivelò che mancava anche un fazzoletto: Cosimo aveva sempre due fazzoletti con sé e il corpo era sporco di olio. Vicino alla galleria La Fossa, il luogo del ritrovamento, c’era un frantoio e a gestirlo era un gregario della mafia, da tutti conosciuto come “Feccia d’olio”, la stessa persona che, poco tempo dopo, fu ritrovata morta all’interno della stessa galleria. Cosimo lo cita spesso nei suoi articoli dicendo che era coinvolto in un traffico oscuro, poi rivelatosi essere di stupefacenti, e che era una conoscenza regionale abbastanza veicolata a collegamenti mafiosi; il suo caso fu archiviato dopo solo un giorno, caso record, e quindi sfumò via così dalla memoria collettiva.
Cosimo era una persona sola, coraggiosa, piena di sé, fragile e convinto delle proprie capacità, senza una famiglia alle spalle, che si ritrova ad affrontare qualcosa di molto più grande di lui intuendo ma non capendo quello che stava facendo. Per tale motivo, si può dire che ci sia un prima Cosimo e c’è un dopo Cosimo: è il primo a occuparsi di determinate tematiche e il suo dopo dura tutt’oggi, soprattutto nella vita dei due scrittori; Cosimo ha molto di noi, come il suo migliore amico: ci hanno messo in crisi perché sono umani e hanno tanto di noi, in loro, ci siamo rivisti. Non sono eroi, sono esseri umani.
Dall’altra parte c’è il fatto che Cosimo ha voluto bruciare le tappe: è il figlio di un ferroviere e di una casalinga, determinato a perseguire la carriera giornalistica. Collabora con Il Giorno di Milano, con Il Gazzettino di Venezia, con Il Corriere della Sera, fino a quando fonda il proprio giornale battezzandolo con il nome Prospettive Siciliane, le cui poche copie verranno poi conservate all’interno dell’emeroteca di Firenze.
Spesso Cosimo diceva la cruda verità, ma non sempre questa viene tutt’ora accolta come dovrebbe; spesso, per farla passare, Cosimo cercava di renderla più eclatante lanciando notizie bomba, come le chiamava lui: sapeva che annunciare “Questa persona è stata ammazzata” non faceva più notizia, e allora comincia a citare prima i soprannomi, poi addita delle personalità potenti della sua zona come i responsabili in compartecipazione di delitti, o di affari fino a quando non si ritrova un avvocato molto importante, nel caso dei monaci di Mazzarino, a fargli causa: Cosimo viene condannato a un risarcimento importante e il suo giornale smette di essere pubblicato. Rischia da solo, perché la redazione lo lascia da solo. Non si dà per vinto: va in tribunale, solo, venticinquenne, pieno di sé, ma dà l’impressione di essere un po’ come Don Chisciotte, appoggiato solamente dal suo migliore amico, nel libro, appunto, Giuseppe Rizzo (per la “freschezza” della storia, gli autori scelgono di cambiare i nomi dei protagonisti).
Termini Imerese, il paesino di Cosimo, è una ridente cittadina sulle sponde del Mar Tirreno in cui ancora qualcuno storce il naso se sente parlare di questa storia vissuta da personaggi che in fondo non hanno nulla di eroico; anche il vicequestore Mangano che riapre, su stimolo di Rizzo, il caso di Cosimo, verrà inizialmente dipinto come un eroe senza macchia e senza paura ma che si rivelerà fragile e con tante perplessità riguardo la caccia ai mafiosi. In “Un Uomo Senza Paura” si seguono le ragioni del cuore, che molto spesso vengono discusse dalla stessa persona che le mette in campo: è proprio il caso di Giuseppe Rizzo che, se all’inizio sceglie la strada del silenzio, poi si rivolta contro la propria omertà e va, deciso, convinto che poi basterà solo sollecitare un bravo poliziotto per dare di nuovo vita alle cose… Solo che, quando si tratta di queste cose, il tempo diventa bastardo, perché non sistema nulla, anzi: il tempo fa arrugginire le memorie e alimenta la cancel culture. Cosimo Cristina è la rappresentazione di un personaggio che venne preso e cancellato dalla memoria collettiva e come lui, lo sono anche i suoi possibili assassini e le persone che hanno orbitato intorno alla sua memoria e che hanno cercato di valorizzarla. Per i due autori quindi, questa diventa una storia urgente, da dover raccontare e anche in fretta. Come i discorsi della senatrice Liliana Segre, il romanzo ci pone un memento: la memoria è importante. Francesca ha pure girato un film, “La memoria che resta” al riguardo… Che continui a essere ribadito, dunque, nella speranza di ritrovare in giro un po’ di quella sventatezza che ritroviamo in Cosimo e nei lettori che si approcciano alla sua storia.
Federica Duello