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Scacchi razzisti? Semmai è il contrario!

Gli scacchi sono razzisti: il bianco muove per primo” Questa è la critica recentemente mossa dalla stazione radiofonica australiana ABC sullo storico gioco dalle sessantaquattro caselle. I cultori del mondo scacchistico, conoscendo a fondo le dinamiche del gioco, sono rimasti sgomenti davanti a tale dichiarazione, priva di qualsivoglia fondamento. Andiamo ad approfondire l’assenza di logica di questa accusa. Innanzitutto collochiamo storicamente l’asserzione della ABC: gli avvenimenti che hanno avuto importanti ripercussioni in tutto il mondo in questi tempi sono gli ultimi movimenti nati e scaturiti dal movimento americano del “Black Lives Matter”. Molte case di produzione, di qualsiasi genere, hanno iniziato a prendere provvedimenti per cercare di risolvere il problema di una attuale, presunta, disparità tra persone di carnagione bianca da quelle di carnagione scura. Hanno iniziato a eliminare dal mercato veri e propri prodotti (come film o cioccolatini), oppure cercando di alzare polveroni di discussione, come in questo caso.

 Una critica del genere non era prevedibile, ma inconsciamente possibile. Il pensiero è il seguente: la disparità tra le fazioni del Re nero e del Re bianco sono abissali, poiché il comandante della fazione bianca ha il diritto, e il dovere, di muovere per primo così da dimostrare la superiorità del proprio schieramento. Apriamo un momento i libri di storia. La nascita del gioco degli scacchi non è facile da dedurre, non avendo fonti dirette. Ci possiamo appellare alla classica leggenda dell’inventore degli scacchi che, offrendo il suo nuovo gioco al sultano di corte (alcune versioni riportano l’avvenimento in Cina), chiese all’uomo come volesse essere pagato, egli propose di avere tanto riso quanto ne poteva risultare una semplice addizione: un chicco di riso per il primo quadrante, due per il secondo, quattro per il terzo, otto per il quarto e così via, per tutte le sessantaquattro caselle. L’inventore non fece una bella fine, poiché il sultano si accorse in un secondo momento che un pagamento del genere sarebbe stato nocivo per la sua corte, infatti il risultato è un numero esponenziale elevato alla sessantaquattresima potenza. Praticamente tutte le risaie del regno!

Oppure possiamo appoggiarci alle scarse fonti storiche alle quali abbiamo accesso: queste suggeriscono che il gioco sia nato in India, grazie ad una mediazione degli Arabi. Sin dall’inizio, anche se nel passare degli anni i pezzi stessi sono stati rimpiazzati da altre figure, l’iniziativa dello schieramento del bianco è sempre stata una delle regole fondamentali. I popoli orientali sono di pelle scura, avrebbero quindi inventato un gioco che sarebbe andato contro i loro stessi diritti? Possiamo solo cercare di immaginare il perché si debba muovere un colore rispetto ad un altro; probabilmente è legato al fatto che il colore bianco stia a rappresentare la luce e le forze positive che muovono l’uomo, mentre il nero rappresenta l’oscurità e le forze negative. In ogni modo, noi possiamo solo tirare ad indovinare, quello che ci serve sapere è che il gioco degli scacchi non è nato per dimostrare la presunta “superiorità dell’uomo bianco”, dato che il gioco non fu neanche inventato da uomini bianchi. A questo punto, passiamo ad analizzare le dinamiche di gioco. Viene detto, sempre dalla ABC, che la maggior parte delle partite vengono vinte dal bianco, poiché gode della prima mossa. È vero. Il bianco ha più opportunità di vincere, ma solo perché il bianco ha il compito di “attaccare” e fare scacco-matto. Per i più, il nero, dovendo muovere per secondo, non punta a fare scacco-matto, ma la maggior parte delle volte, il suo obiettivo è quello di riuscire a portare il fine partita ad una “patta” (nessuno dei due giocatori vince). E se proprio volessimo approfondire, il nero è molto più facilitato quando si trova in posizione di difesa. Inoltre è da regolamento dover cambiare colore a fine ogni partita, così da avere sia una posizione di difesa che di attacco. Per avere uno sguardo più ampio, andiamo a vedere come viene gestito il mondo della scacchistica. Gli scacchi sono il simbolo della meritocrazia. I giocatori vengono classificati grazie ad un punteggio, chiamato punteggio ELO, grazie al quale possono sfidare altri giocatori del loro stesso rango. Ovviamente più partite vengono vinte, più il punteggio ELO si alza. Qualsiasi persona può diventare maestro e qualsiasi persona può sfidare chiunque. E ad armi pari!

I pezzi rimangono sempre quelli, è solo la bravura che cambia. Più qualcuno è capace, più ha possibilità di ottenere il titolo di gran maestro, sia con i bianchi che con i neri. Storiche sono le partite svolte da un giocatore pieno di esperienza contro avversari di cinquant’anni più giovani, con conseguente vittoria di quest’ultimi. Il viaggiatore Al Mas’udi descrisse gli scacchi come il testamento del libero arbitrio umano. Difatti gli scacchi non partecipano a nessun tipo di causalità o di pregiudizio, tutto è in mano alle mosse dei giocatori in quel momento e su quella scacchiera. Anche il grande campione Garry Kasparov, vincitore di innumerevoli tornei di scacchi, si è ritrovato a Twittare il suo sdegno, con grande sarcasmo, nei confronti delle dichiarazioni della ABC, ed esorta di smettere di “investigare” dove non c’è nulla di investigare e di dare un’occhiata al gioco cinese “Go”, nel quale il nero muove per primo.

Le parole dello scacchista sono oro. Kasparov, conoscendo benissimo la grande democrazia dietro al mondo del suo amato gioco, mostra con poche parole l’infondatezza di queste critiche, mosse solo per uno scoop senza senso. Gli scacchi sono il gioco democratico per eccellenza. Regala nulla a nessuno. Sei scarso? Perdi. Sei bravo? Indubbiamente vincerai; la bravura nasce solamente dallo studio e dalla pratica. Nessuno può essere accusato di rubare nulla o di perdere solo perché si trova dal lato sbagliato della scacchiera. Il gioco rende il giocatore pienamente responsabile delle proprie azioni e viene punito nel caso in cui intraprende una scelta “militarmente” sbagliata.

Reuben Fine scrisse nel 1974 “La Psicologia del Giocatore di Scacchi” libro nel quale spiega come il modo di giocare altro non sia che uno specchio della personalità del giocatore, in cerca della propria indipendenza dal Re cattivo (in una visione freudiana, appunto, la figura del padre viene sostituita con quella del Re). Perciò gli scacchi sono uno dei pochi giochi in grado di mostrare la vera essenza del giocatore, il quale è libero di poter intraprendere qualsiasi strategia sulle caselle bianche e nere. Lo scacchista norvegese Magnus Carslen, il giocatore attualmente più forte del mondo, nel marzo 2019 giocò una partita muovendo per primo con i neri, in segno di supporto per le varie cause contro il razzismo attuali di quel periodo. L’azione di Carslen, per quanto simbolica, si può ritenere però sbagliata. Con questo suo “strappo alla regola”, il campione del mondo non ha dato altro che adito alle varie accuse, sottintendendo la loro fondatezza. Iniziando a sottostare e a dare voce a qualsiasi critica insensata ci ritroveremmo davvero in un ambiente più razzista degli anni della segregazione. Come nel caso di Carslen, riconoscere una inventata inferiorità sul campo da scacchi, fa sì che questa, ripeto, inventata inferiorità, divenga reale. In conclusione, se dovessimo accusare di razzismo gli scacchi dovremmo di conseguenza muovere la stessa critica a infinite altre cose, dalle parole crociate, alla concezione Taoista. Gli scacchi sono meritocratici e chiunque può vincere una partita. Anche un pedone può fare scacco-matto.

Matteo Abozzi