
L’arrivo della primavera non è dato dall’arrivo delle rondini.
Si distingue dall’arrivo di quella brezzolina calda, che si contrappone alla bora fredda invernale.
Quel tepore che non arriva solo dal calore del sole, ma anche dall’aria.
Le giornate iniziano a farsi più lunghe, il calore del sole, il vento… è un’istigazione a passare più tempo fuori: andare al parco, si gioca, si legge, si beve un aperitivo in compagnia. Ogni età ha la sua attività preferita da fare all’aperto.
Quando ero piccola, e passavo le estati in campeggio, l’attività preferita che adoravo fare quando c’era il vento era correre con il mio aquilone su e giù per la spiaggia. Alzare quel filo per farlo volare più in alto, tenderlo e sentire le ali che friggevano contro le correnti d’aria.
Ancora lo ricordo, azzurro con le ali gialle, uno di quelli da nulla comprati in edicola a pochi soldi, ma era un fedele compagno di giochi.
L’aquilone l’ho sempre associato all’estate, perché era quello il momento in cui l’ho sempre vissuto.
Almeno fino a 6 anni fa.
È uno di quei momenti di gioia che ti fanno uno switch dentro, ti fanno scattare quell’interruttore e proprio come nel film “inside out” si crea una nuova memoria dentro al cuore e si associa quella gioia a quel simbolo.
Ero andata al parco a studiare. Seduta sul mio asciugamano con il libro in mano, all’ombra di un albero, mi godevo lo studio nel migliore dei modi, immersa nella natura e cullata da essa.
Studiare al parco è tutto un insieme di gridolini felici di bambini che giocano in lontananza, il tepore del sole e i suoni della natura come colonna sonora.
Quel giorno i gridolini erano più accesi e felici, a tal punto che mi fecero alzare il naso dal libro. Erano dei bambini con in mano i loro aquiloni che correvano felici, loro e quei 3 metri di spago che li separavano dalla gioia di volare.
La cosa stupenda di quella giornata fu quell’incontro.
Il dispensatore di gioia era sotto l’albero, con i suoi utensili su una panca, le canne di bambù da intagliare, i fogli di carta già tagliati, e tutto il necessario per fare degli aquiloni al volo.
Lui stava lì a lavorare, con gli occhi che fissavano le sue mani, solo i lavori artigianali riescono ad attirare così l’attenzione dei più piccoli. Tutti quei piccoli nasi puntavano a quei magnifici giocattoli fatti a posta per loro. Una gioia nella gioia.
Una fila che non finiva più, le mie pagine scorrevano e i bambini, uno dopo l’altro, se ne andavano ridendo e giocando trainando in aria quegli aquiloni.
Sembrava che i bambini del quartiere fossero tutti lì, un passaparola telepatico, proprio in quel momento.
Finiti i bambini inizia a raccogliere le sue cose, e allora mi avvicino. Oltre alla passione per gli aquiloni in quel momento ero curiosa della sua storia.
Un architetto in pensione che prova gioia a fare quel che fa: creare aquiloni ai bambini per farli giocare. In pensione si ha più tempo, se non lo si impiega per far del bene è un tempo sprecato, ricordo mi disse, e a lui piaceva donare quella gioia, anche solo per un giorno. Girava di parco in parco e faceva aquiloni per tutti quelli che gliene chiedeva uno.
Quegli aquiloni erano fatti con carta velina e stecche di bambù, facili a rompersi con quei materiali leggeri, eppure con così poco creava così tanto.
Quei sorrisi, quelle urla di gioia, quel ricordo indelebile nei bambini e quelle corse per far volare gli aquiloni.
Un dono.
Quelle corse gioiose per far volare l’anima verso il cielo.
Solo te e tre metri di spago che ti separano dal sogno di volare.
Fu così che l’aquilone per me diventò un ricordo di primavera e non più un ricordo estivo.
Alessandra Collodel