Il primo viaggio che ho fatto in aereo è stato con la British Airways, direzione Londra. Solo da adulto, riesci a immaginare cosa vuol dire accompagnare un gruppo di ragazzini dai 15 ai 17 anni, fuori dall’Italia, per la prima volta in un Paese straniero. All’aeroporto ci sono tre tipi di espressioni:
Quelle dei genitori – Nel panico più totale, si accompagnano a gruppetti, con risate nervose e ansiose delle mamme (alcune in tacchi alti alle sette di mattina, altre, uscite di corsa che a malapena sono riuscite a infilarsi le scarpe). Gli sguardi tranquillizzanti del papà, che parla di sicurezza (soldi, marsupio, stare all’occhio) e in realtà è più in ansia della mamma.
Quelle dei figli – Impazziti, che non vedono l’ora di andarsene, che discutono del cosa si è messo in valigia, che parlano del peso (sempre, come già detto, fatto a casa sulla bilancia) e del posto a sedere, vicino all’amico o amica del cuore. Ragazze che si abbracciano e saltano anche se si sono “messaggiate” fino a due minuti prima e ragazzi che, giustamente, fanno casino.
Quelle dei professori – Calmi, che sanno il fatto loro e sono sicuri. Questa è l’apparenza. Dentro, hanno già il problema che li stanno perdendo all’aeroporto, figuriamoci in una metropoli. Sanno di avere una responsabilità enorme e, normalmente, ci sono due tipi prof. Lui o lei, “giusti”, giovani, svegli, che sanno comunicare con i giovani e l’altro o l’altra, “meno moderni”, buoni ma chissà come faranno. È vero che ci sono anche i “prof” che già all’aeroporto urlano, chiamano nomi e sono in iperventilazione appena vedono uno zainetto e una testa muoversi. A questo proposito, posso dire che, forse, per il mio giovane aspetto e la mia statura non così alta, una prof mi ha preso lo zainetto da dietro, girato bruscamente ed energeticamente detto: “Tu, dove vai?” Io, occhi sbarrati. Lei: “Oh mi scusi, pensavo fosse uno dei miei studenti”. Non si preoccupi, sono Benjamin Button.
Il mio entusiasmo di girare il mondo e salire in aereo hanno avuto inizio lì, con una vacanza studio a Londra. Molti di noi Italiani hanno fatto quest’esperienza studio per il famoso: “impariamo l’inglese”. Un’esperienza più di vita che di studio, tanto che si tornava comunque un po’ più “disinvolti”. Io tornai con i buchi alle orecchie e la mia amica del tempo con i capelli rosa. Anche qui le facce dei genitori, furono preziosissime. L’urlo di Munch.
Eravamo sistemati con delle famiglie. Io ero a Crystal Palace, a sud di Londra, la strada era Church Road e la famiglia Green i miei ospitanti. Tutt’oggi li adoro. Lui faceva colazione con i porri ogni mattina ed era dolcissimo. Anche il suo alito. Lei era simpaticissima, “fuori con tutto” ed era adorabile. Il sabato si sedeva in giardino con la sua visiera, sdraio, il suo ombrellone e il suo “cocktail” e da lì, nessuno la spostava.
Crystal Palace, non è di certo il centro di Londra ma sorge su una collina dalla quale si può vedere tutta la città. Ha un parco bellissimo (tra cui il labirinto in Crystal Palace Park), case vittoriane e la “Church Road”, che ho riscontrato non essere l’unica, dopo che mi persi a causa dei lampioni con le “palle arancioni”. È una lunga storia.
Eravamo tutti sparsi in zone abbastanza diverse e a quell’età prendere il treno, il “tube” (la metro di Londra) o il “double decker” (i celebri bus rossi a due piani) era la gioia infinita.
Biondo, occhi chiari, mi trovavo molto spesso ad avere richieste di informazioni. Non ero ancora così fluente e non avevo ancora imparato lo splendido accento British. Quando aprivo bocca, mi chiedevano: “Di dove sei?. Io dicevo Italia e, chiaramente c’era il: “Non è possibile, sei Svizzero? Francese? Tedesco?”.
Erano i miei primi incontri con gli stereotipi. Ho sempre fatto un po’ di fatica a spiegare che anche in Sicilia ci sono molte persone con capelli chiari e occhi azzurri (i Normanni un ricordino l’hanno lasciato). Questo look mi ha permesso però di mimetizzarmi e sentirmi un “local” in molti posti. Non in Nord Europa (per restare nei dintorni), perché biondo e basso non si trova. O sei biondo e alto o (se Italiano) moro, basso e peloso.
Piccadilly Circus. La prima volta che ci arrivi è come arrivare a Times Square a NY. Ti senti al centro di tutto. Figuriamoci a 16 anni. Notai subito dei ragazzi Punk e quella moda che influenzò poi la grandissima Vivienne Westwood, rimarrà sempre un “cult”.
Io (con l’approvazione di un amico Punk) presi solo la cresta e gli anfibi, ah sì, e l’orecchino. Era una cultura, è una cultura.
Io avevo “studiato” un po’ ma non ero pronto a una full immersion e ascoltavo musica Pop. Loro erano di sicuro molto più “avanti”.
Nel weekend andavo a ballare all’Hippodrome, in Leicester Square. Pieno centro e vita notturna londinese con Soho e Covent Garden. Mi ricordo che una sera, girando per il locale, vidi George Michael che camminava tranquillo. Dissi a un mio amico che era George Michael ma non gli andammo dietro. Dovevamo essere “cool” (fighi), quindi lo seguimmo con lo sguardo. Poco dopo, realizzai e partii a razzo per salutarlo, fregandomene del “cool”. Il buttafuori, a cui arrivavo alla cintura, non se ne fregò e, gentilmente, mi bloccò con il mignolo.
Esci dalla metro, ti giri e lo vedi: “Il Big Ben”, “Great Bell”, che si rifaceva solo alla campana ma il suo “nick name” (appunto Big Ben) è stato esteso negli anni a tutta la torre dell’orologio (Clock Tower). Quale orologio più famoso. È connesso al Parlamento inglese a Westminster, vicino alle rive del Tamigi ed è veramente uno spettacolo, tanto che l’ho disegnato sull’armadio di mia nipote.
La mia ragazza inglese rideva sempre quando dicevo “Tamigi”, “Thames”, in italiano, il suono, come anglosassone, la faceva ridere da matti. Io, ridevo quando doveva pronunciare: ”Verdi” (usciva un suono tipo Voerdi) e adorai quando mi disse: ”Io amo tu”.
Mi chiamano tra la folla: ”Andrea, guarda, esce la Regina”. Ora, non è che tutti i giorni ti esce la Regina davanti. C’eravamo noi e altre tremila persone, credo, ma riuscii a vedere un cappellino dentro la macchina: di sicuro non lo portava il Principe Filippo.
Mi fermai poi a vedere Buckingham Palace, i suoi cancelli e il cambio della Guardia. La guardia e l’alta uniforme hanno ben 520 anni. Il rituale viene ancora fatto, per ricordare il legame tra le guardie e il loro comandante in capo, la Regina. Suppongo che, ormai, sia la tecnologia a curare la sicurezza del Palazzo. Tuttavia, al cambio della Vecchia e Nuova Guardia, resta il rituale, dove i due capitani si scambiano le chiavi del Palazzo.
Osservando le guardie, ti chiedi se siano felici, soprattutto d’estate, visto il cappello in pelliccia d’orso. Nel 2005, i movimenti animalisti tra cui Peta, si sono nuovamente attivati (e continuano a lottare) per cambiare questa “tradizione”.
Anche la stilista Stella McCartney si è offerta di disegnare i nuovi cappelli in pelliccia sintetica ma è stato riferito che sebbene siano state analizzate alcune varianti in passato, nessuna ha soddisfatto quanto la pelliccia vera e le sue qualità (il sintetico, con l’umido, si affloscerebbe).
La pelliccia dei cappelli proviene dalla “Black Bear Cull” ( la “Selezione” degli Orsi neri) in Canada, dove ogni anno migliaia di orsi neri nord americani vengono uccisi. Il portavoce delle Forze Armate inglesi ha dichiarato che la Gran Bretagna non ha nulla a che fare con l’uccisione degli orsi e che di queste pelli ne prendono solo 100 l’anno. Speriamo che la Royal Family, con l’attivismo dei nuovi eredi, prenda coscienza e arrivi a cambiare anche questa “tradizione”: #iostocongliorsi.
to be continued…