Infinite Jest è l’opera magna dello scrittore moderno David Foster Wallace (1962 – 2008), morto suicida. Il suo scritto è stato valutato come il capolavoro americano della nostra epoca. Da questi presupposti come poter non avventarsi nella lettura di questo librone?
Ebbene, ho preso il coraggio a due mani (la mia indole tendente al masochismo) e aperto la prima pagina del libro, che pesava sul mio petto, rendendomi in parte difficile la respirazione (nell’ultima versione Einaudi conta più di 1250 pagine).
50 pagine al giorno, così sarebbe stato.
Dopo meno di 20 giorni, finisco il libro.
Durante la lettura mi ripetevo di dover scrivere un articolo per questo giornale, non potevo rendere la lettura vana! Allora pensavo mentre leggevo.
Pensavo, pensavo, pensavo. E solo alla fine sono arrivato a una conclusione: non posso recensire questo libro. E infatti è quello che farò, non lo recensirò. Vi sarete accorti che vi sto parlando a tu per tu; nel campo giornalistico l’autore dovrebbe cercare di rimanere il più nascosto possibile. Ma per questo giro è impossibile rimanere solo il tizio che spinge dei tasti sul computer, quello che tenta di creare frasi sensate. Per parlare di Infinite Jest devo fare una recensione di me stesso. Di quello che ho provato. Del mio rapporto con le parole di Wallace, parole così vivide.
È un libro che lascia spazio al lettore, a lui soltanto, e lo rende partecipe di… beh, ho sempre trovato difficile cercare di estrapolare una trama. Posso avanzare l’ipotesi che questo libro parli di vita. Di quale vita? Della vita particolare di Hal, futuro tennista, di Don Gately, ex tossicodipendente, di David Foster Wallace, autore dell’opera, di me, lettore.
Iniziando dalla mole del libro… è bello grosso, eh! Inevitabilmente qualcosa mi resterà, il ricordo del sul peso e la difficoltà di aprirlo e tenerlo aperto. Infinite Jest è esattamente uno “scherzo infinito”: io leggo, capisco quello che fanno i personaggi, ma mi sembra tutto finto, come se sotto ci fosse altro, altro che Wallace non mi vuole dire.
Oddio, no! Altre sette pagine di descrizione di una cosa della quale non mi frega assolutamente nulla! Quest’uomo sproloquia troppo, mi ammorba con le parole, ma allo stesso tempo mi coccola, confondendomi. Mi fa perdere il senso della frase, oramai l’inizio del periodo è lontano almeno tredici righe.
Affogo.
Lo odio. Già è difficile così! In più le ultime cento pagine sono di note. Ogni volta che c’è un medicinale o una droga nel testo mi rimanda a una nota a fine libro, dove l’autore mi descrive la formula chimica, nome scientifico e giusto utilizzo della sostanza. Ma che mi frega! Mi fa male al braccio fare questo avanti e indietro di mille pagine ogni volta.
Però tra le note ogni tanto ci sono importanti descrizioni e digressioni sul mondo di Infinite Jest (alcune note occupano più di dieci pagine), quindi ogni volta che vedo un numerino su una parola sono combattuto se farmi il lungo viaggio tra le pagine o avere il dubbio di essermi perso una grande spiegazione. O una stupida formula chimica.
Tennis, tennis, tennis, tennis… ho capito che ti piace il tennis!
Ho paura del libro.
Voglio andare avanti, giusto qualche pagina.
È un meta-libro. Parla di se stesso!
Infinite Jest esiste e Wallace l’aveva previsto. Wallace aveva previsto Netflix, dategli i diritti!
Droga, droga, droga, droga, tennis… droga.
Questo libro dovrebbero leggerlo tutti, soprattutto i cineasti. Si trovano all’interno mille idee per il cinema (specialmente per quello sperimentale). Wallace è stato un grande visionario. Neanche Kubrick o Lynch, che tra l’altro adora, sarebbero riusciti ad avere le sue idee!
Sono estasiato. Sono annoiato. Sono estasiato. Sono annoiato.
Infinite Jest è: io che mi preparo a dormire e mi leggo le mie 50 pagine.
Infinite Jest è: io che leggo altri autori e che ritrovo in loro Wallace.
Infinite Jest è: tutti i pensieri che avevo mentre spostavo i miei occhi sulla carta.
Infinite Jest è: io che salto le pagine.
Infinite Jest è: io che leggo altri libri in contemporanea, ma lui rimane tappa fissa ogni sera. Quasi che fosse il mio centro di gravità permanente.
Infinite Jest è: non riuscire a vedere la realtà come dolce e soffice, ma piena zeppa di contraddizioni e pericoli.
Infinite Jest è: io che voglio provare a giocare a tennis.
Infinite Jest è: un compendio di storie che ho amato. Dal ragazzo che gioca a tennis puntandosi una pistola alla testa per vincere, a quella del gruppo di gente sulle sedie a rotelle in cerca di io so cosa.
Infinite Jest è: io che ne parlo agli altri e nessuno che mi ascolta. Tranne la mia fidanzata, poverina.
Infinite Jest è: io che cerco di andare dall’altra parte di Roma per comprare da un tizio a tre euro un altro libro di Wallace.
Infinite Jest è: io che lo riempio di post-it.
Infinite Jest è: il suo autore. Ogni parola trasuda l’anima di una persona che non riesco a comprende, e che probabilmente non comprendeva se stessa.
Infinite Jest è: una delle esperienze più strane della mia vita.
Matteo Abbozzi