Parlare di Giano è sempre molto difficile, un po’ per la scarsità delle fonti, un po’ perché la distanza nel tempo rende complicato essere sicuri di aver ben compreso i miti e ciò che narrano. Proveremo tuttavia a fornire alcune suggestioni a partire dal significato del nome e della funzione.
Giano Bifronte, Ianus Bifrons, è una divinità esclusivamente romano-italica, la più antica venerata fin dagli albori della città di Roma. Giano e Quirino sono stati fra quegli dei romani a non avere corrispondenti nel mondo greco. Ianus racchiude, nella sua densa fisionomia religiosa, i poteri e le prerogative di un antico grande numen (nella religione romana si riferisce alla potenza divina; il significato iniziale di cenno divino, e quindi di volontà divina).
Giano (latino: Ianus) è il dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e più rilevanti della religione romana, latina e italica. Solitamente è raffigurato con due volti contrapposti (Bifronte), poiché il dio può guardare il futuro e il passato. Nel caso del Giano Quadrifronte, le quattro facce sono rivolte ai quattro punti cardinali.
Giano è quindi collocato nel tempo che gli spetta e cioè all’inizio e fuori dal tempo.
Eraclito (uno dei maggiori pensatori della filosofia greca che precede Socrate), ci racconta che “questo cosmo non lo fece nessuno degli dei né degli uomini, ma sempre era, ed è, e sarà, Fuoco sempre vivente, che con misura divampa e con misura si spegne”.
Sarebbe quindi l’antico dio italico di questo “fuoco sempre vivente” che ha, nella sua controparte fisica, evidenza nel Sole, il corrispondente maschile di Diana che ha come simbolo la Luna. Le sue prerogative si estendono notevolmente in spessore e potenza fino a comprendere ogni inizio e ogni divenire, l’origine e l’essenza delle cose. Presiede al principio e alla fine degli esseri, animati o inanimati, e delle azioni. In questo modo a Giano vengono intitolati gli inizi e i passaggi: nello spazio, nel tempo, nell’essere. Soffermiamoci su questi aspetti che costituiscono la tipicità del dio.
DIO DELLO SPAZIO
Giano è dio dei passaggi, padrone e patrono degli jani (archi di passaggio posti sulle pubbliche vie) e dio della porta, la janua, la porta della città. Presiede al passaggio visto come entrata e uscita, apertura e chiusura delle porte e da qui il nome di Patulcius (da “patere” aprire) e Clusius (da “claudere” chiudere): lo janitor o guardiano della porta. Anche Portunus (Portuno), dio dei porti, posto in relazione alla pervietà, quindi entrare, uscire e viaggiare, come atto in cui si cambia sempre di stato, era originariamente uno degli attributi di Giano. In momenti successivi si giungerà a una differenziazione fra i due attribuendo a Portunus le prerogative sui porti fluviali e marittimi.
DIO DEL TEMPO
Come dio dell’inizio e della fine, delle transizioni sarà Numa Pompilio, il secondo re di Roma, con la riforma del calendario, ad attribuire a Giano il mese che seguiva il solstizio d’Inverno. In questo mese, infatti, il sole inizia un nuovo cammino che vede la luce trionfare lentamente sulle tenebre. Il nome gennaio, januarius in latino, deriva da Ianus, ovvero Giano. Prima di Numa, il calendario era costituito da 10 mesi e iniziava a marzo.
Giano è anche il signore a cui sono dedicate le calende: il primo giorno di ogni mese, i Romani si scambiavano auguri di buon auspicio e offrivano al dio miele, datteri e fichi secchi, affinché i doni rendessero “dolci” e quindi lieti i giorni a venire. Ogni attività, soprattutto pubblica, si apriva con un sacrificio e una preghiera a Giano.
DIO DELL’ESSERE
È colui che legando ogni inizio a ogni fine, dà un senso di eternità ai cicli del tempo. Ogni passaggio presuppone due luoghi, due stati: quello che si abbandona e quello in cui si entra. Qualunque passaggio di stato fisico, psichico, spirituale è retto dal dio. Per questo nelle processioni e nei riti, Janus precedeva tutti gli altri dei, veniva letteralmente prima, al fine di rendere possibile l’incedere degli altri.
A Giano, in definitiva, viene riconosciuta la signoria sulla pervietà, sui passaggi, sugli inizi, sugli attraversamenti perché lui, il divum deo è il varcatore, colui che per primo attraversa e rende possibile il passaggio agli altri. Che sia una porta di casa, un ponte o il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Come dio degli inizi, veniva invocato ogniqualvolta si voleva intraprendere una nuova attività, una cerimonia, una qualsiasi impresa. Era anche considerato, come Janus Consivius, colui che seminava o dava il via alla semenza o alla semina, da cui principia la crescita delle cose. In quanto consivio è anche visto come il creatore del genere umano, legato all’idea di seme o semina umana.
DIO BIFRONTE
La rappresentazione classica di Ianus è un busto con due (o quattro) volti speculari, da cui i nomi Geminus (duplice) e Bifrons (Bifronte). Con questo duplice volto, Giano domina e concilia incessantemente gli opposti: entrate e uscite, destra e sinistra, interno ed esterno, alto e basso, avanti e indietro, passato e il futuro.
Viene anche rappresentato, in epoca più recente, come una persona con un bastone in una mano e una chiave nell’altra. Il bastone lungo, baculum (baktron), appartiene al nomade e al pastore ed è anche lo scettro del comando e l’asse del mondo intorno al quale tutto ruota e che permette di salire e scendere dalla volta celeste a piacimento. La chiave rende evidente il potere di aprire e chiudere le porte.
Qual è il senso che gli antichi celavano dietro l’immagine apparentemente incongrua dei due volti opposti? Egli vede davanti e dietro nello stesso momento, quindi conosce ciò che avviene davanti e dietro di lui. Occorre precisare che gli antichi usavano come metafora della vita il camminare all’indietro.
Nell’incedere a ritroso, infatti, quello che si vede davanti a sé è il passato, mentre alle proprie spalle giace, inesplorato, il futuro. Questa metafora rende evidente perché la preoccupazione per il futuro occupi la mente degli uomini.
Il camminare all’indietro pone il problema dell’inciampo e della caduta poiché non si può vedere dove finirà il prossimo passo. In base a questa immagine diviene immediatamente chiaro che avere due facce rende possibile conoscere, a colpo d’occhio, il passato e il futuro, vedere tutto, essere onniscienti.
Nascosto fra l’idea di passato e futuro si cela il presente che è un futuro non ancora concretizzato, che gli uomini chiamano speranza. Il passato è un presente che è stato, da cogliere solo con il ricordo. Questo passato, futuro e presente, si suole chiamare eterno.
A Giano in quanto tutto presente, nulla può essere nascosto e per conseguenza tutte le cose che per l’uomo avvengono secondo un prima e un poi sono l’adesso, l’hic et nunc, il qui e ora.
GIANO PONTEFICE
Da Giano promana l’idea di pontefice, o colui che fa da ponte (pontifex significa questo) fra cielo e terra, quindi un alto e basso, prima e dopo o uno stato di prima e poi. In questo senso consente il passaggio ove non esiste passaggio.
Per gli antichi le terre erano separate dai fiumi per volere degli dei e quindi occorreva un dio che potesse unirle di nuovo permettendo di passare da una riva all’altra senza generare squilibri. Ove questo non fosse stato compiuto con il favore divino, sarebbe stato un atto di protervia e foriero di problemi perché legato allo squilibrio che ne sarebbe scaturito.
In questo senso la pax per i romani era l’aderenza al volere divino, inteso come equilibrio, pertanto la punizione non era legata alla collera di qualche dio capriccioso, ma al dissesto che si verificava quando l’ordine era turbato. Solo un dio che, in qualche modo, venisse prima degli altri dei, o fosse il divum deorum (dio degli dei), poteva riunire ciò che gli dei avevano separato.
TEMPIO DI GIANO
Giano, pur non avendo bisogno di templi per le celebrazioni perché a lui erano dedicate tutte le porte e i passaggi della città, ebbe dei templi in suo onore.
In una delle storie si narra che, nel periodo in cui Sabini e Romani si contendevano il Foro, una notte Giano abbia fermato un attacco dei Sabini, guidati da Tito Tazio, facendo zampillare e fuoriuscire, all’improvviso, l’acqua dal tempio vicino alla porta carmentale.
“Nell’ottavo libro dell’Eneide Virgilio racconta del re Evandro che, accompagnando Enea nei luoghi dove sarebbe sorta la città di Roma, gli mostra l’altare dedicato alla ninfa Carmenta, presso il quale sarà poi costruita la porta. La Porta Carmentalis si apriva nella valle tra le alture del Campidoglio e del Palatino, nei pressi di quello che ancora oggi si chiama Vico Jugario”.
Questo evento improvviso disorientò e mise in fuga i Sabini. L’episodio si riferisce all’attacco dei Sabini ai Romani in seguito al “ratto delle donne sabine” perpetrato da Romolo e dai suoi uomini. Come memoria e auspicio i Romani stabilirono che in tempo di guerra le porte del tempio di Giano dovessero rimanere aperte, al fine di permettere al dio di giungere in loro aiuto in qualunque momento.
Con la pace, le porte del tempio di Giano venivano chiuse affinché alla guerra non fosse permesso entrare inavvertita.
Secondo un’altra tradizione Giano, in tempo di pace, racchiudeva nel suo tempio i demoni della guerra rimanendo pronto a scagliarli contro i nemici in tempo di guerra, con l’apertura della porta. In questa forma era identificato come Giano Quirinus (Quirino) e appoggiava i soldati romani che, all’inizio di ogni guerra, gli offrivano sacrifici propiziatori.
DIO DELLE ACQUE SORGIVE
L’episodio dello zampillio improvviso dell’acqua nella contesa tra Sabini e Romani, vede Giano come dio delle acque sorgive, delle correnti e dei fiumi. L’idea è strettamente collegata al concetto di pervietà, in quanto amante della Ninfa Giuturna (sorella di Turno), dea delle sorgenti dalla quale sarebbe nato Fons (Fonte), dio di ogni fonte, venerato ai piedi del Gianicolo.
Un’ulteriore conferma di questo appellativo viene da un’altra leggenda collegata a Enea. Pare, infatti, che Giano facesse sgorgare all’improvviso due fresche e limpide fonti in soccorso di Enea e dei suoi compagni disperatamente assetati. In segno di gratitudine, Enea fece erigere due altari sacri nel luogo del prodigio.
Al dio vengono attribuite molte mogli oltre a Giuturna, quasi tutte ninfe, e molti figli. Sua sposa era Camesene, una ninfa dei boschi da cui ebbe numerosi figli tra cui Tiber (Tiberino) dio eponimo del fiume Tevere.
L’ACCOGLIENZA DI SATURNO
Nel mito romano, è stato il primo dio e re del Lazio. Un dio benefico e magnanimo che donò agli aborigeni (ab origines, quelli di prima) e agli autoctoni la “civiltà”. Governò con saggezza ed equità, la sua fu un’epoca d’oro anche grazie alla fedeltà e onestà dei suoi sudditi e all’abbondanza e ricchezza della terra.
Durante il suo felice governo, Giano accolse nel Lazio Saturno, il dio antico che cercava un posto dove trascorrere in pace la “pensione” diremmo oggi. La tradizione narra che Saturno approdò, con la sua nave, sulle rive del Tevere e fu accolto da Giano che gli donò il posto che divenne Mons saturnius in suo onore e che successivamente venne chiamato Campidoglio (colle Capitolino) e dedicato a Giove, quando Saturno sparì nella terra senza lasciare traccia. Saturno rimase signore del sottomonte e risiede tuttora nel tempio (o nei resti che rimangono) a lui dedicato.
In ricordo di questo mito l’antica moneta di Roma portava incisa su un lato l’immagine di Giano bifronte e sull’altro la prua di una nave.
Saturno volle manifestare la sua gratitudine a Giano per la calorosa ospitalità fornendo aiuto e ricchezza, sotto forma di conoscenza e abbondanza. Giano gli tributò grandi onori, chiamò la terra italica Saturnia Tellus, edificò un’ara che consacrò con riti chiamati Saturnali, con i quali si riattualizzava l’età dell’oro (che oggi chiamiamo Natale).
Giano e Saturno regnarono insieme, come cielo e terra, e caratterizzarono l’età dell’oro del Lazio antico recando fecondità e ricchezza. In quel tempo gli uomini vivevano in equilibrio con la natura senza guerre né contese. A loro si riconosce l’aver fatto germogliare la civiltà, i valori morali e i buoni costumi nei primi abitanti del Lazio plasmandone il carattere e rendendoli un ricco e giusto popolo.
Giano insegnò la giusta legge (Fas), e Saturno la conformità alla natura che restituisce, in cambio, ricchezza e gioia. L’ultimo dono di Giano a Saturno consisteva nel nasconderlo e proteggerne l’occultamento e il Lazio (in latino Latium, nascosto), secondo una tradizione, prese il nome dalla sua scomparsa o meglio latitanza.
Con questo scritto si è cercato di provocare un brivido di riconoscimento della verità in qualche frammento del proprio essere. Si ricorda che quando si tenta di interpretare in chiave storica un mito altamente simbolico, ignorando il suo valore trascendente e archetipale, si perde il valore stesso del mito e non è quindi lo scopo di questo scritto.
Paolo Maglio e Paola Romano