La radio di oggi non è democratica e, scusate per il basso tono, fa schifo.
Persino la radio che si proclama “del popolo” finisce sempre col proporre canzoni aberranti e discorsi tra i presentatori senza un punto di partenza e uno di fine; per non citare gli sciocchi e insensati ragionamenti proposti via messaggio o telefonata del pubblico ascoltatore riguardo la tinta dei capelli o la pena di morte.
Quella di oggi è una radio stupida. Schiava di sé stessa. In estate lancia una determinata sonorità, in inverno un’altra. Gli ascoltatori di questa radio che si arrende alla burrasca soffrono di schizofrenia: godono della musica estiva, ma d’inverno la rinnegano. Anzi, anche nel contesto sociale, gli ascoltatori rinnegano i loro ascolti nella stagione stessa a favore della propria immagine. Quindi loro sanno di ascoltare “merda”, ma accettano di annusarla per bene. Le uniche radio decenti sono quelle coreane: hanno musicalità neo melodiche alla Gigi d’Alessio e i performer sono bravi. Sussurrano parole dolci, anche se il significato non lo riconosciamo.
E c’è pure chi, dopo essere stato sconfitto dalle bombe nucleari delle mode radiofoniche, si annichilisce ancor di più ascoltando le stesse canzoni di plastica via Internet. Oltre il danno, una beffa volontaria e voluta.
Ma veniamo a noi. Il nostro obiettivo è quello di fondare una radio per chi è stufo della radio, per chi vuole rinnegare tutto e accettare ciò che è vero. La chiameremo Radio Depre, diminutivo di Radio Depressa. Il nostro servizio sarà disponibile a tutti, ma si affezionerà a noi solo chi vive in una condizione di tristezza e vuole incrementarla ancor di più. Un regalo per chi vuole entrare nel mondo della depressione perché è già depresso di suo e quindi trovare qualcuno che ti dica: “Sì, tu sei depresso. Accettalo”.
Offrire un servizio che ti accolga e non ti sbatta nelle orecchie cazzate per non farti guardare intorno e dentro. Potremmo chiamarla Radio Consapevolezza, se più vi aggrada. Faremo passare tra le vostre orecchie italiche qualche esempio: Luigi Tenco, Marco Ferradini, Marco Masini nei suoi momenti bui, accompagnato da Mia Martini; Fabrizio de André che parla di morte in modo favolistico, Gino Paoli e Guccini, maestri di un comunismo fallito; alcune pilloline di tristezza tra Tozzi, Leali ed Endrigo e qualcosina di Cocciante e il suo pesante pianoforte; Morgan che si armonizza alle storte melodie dell’essenza intima. Anche Lucio Dalla può essere una buona opzione, quando si impegna a essere triste; il vecchio Branduardi dalle parole mirate, Battiato e le sue idee “stupide e bizzarre”. Aggiungiamoci anche il Lucio Battisti degli ultimi tempi.
Ma possiamo anche offrire il piacere della musica estera, per esempio: tutta la discografia in tonalità minore, e diminuita, dei Pink Floyd, de The Doors con lunghi assoli calanti di organi finti, la voce rotonda ma rotta di Johnny Cash dei suoi ultimi album; Radiohead a tutto spiano, senza neanche passare dal via; qualcosina dei Linkin Park (quello si è pure suicidato per depressione). Neil Young e Bob Dylan che denunciano lo sporco della candida nostra società; le dolci canzoni malinconiche (anche se cover) di Buckley. Il tutto condito da quel blues, anch’esso malinconico, senza titolo, del quale nessuno sa nulla. Quella musica che suona e basta, senza dover essere riconosciuta da un qualche genitore, o da qualche fonte di guadagno. E verso le tre anche alcune note di uno stralcio di una melodia jazz, di quelle che si sentono nei locali, nel lontano sottofondo, che spingono i bevitori a bere, bere, bere.
I nostri speaker devono essere iper informati, e super acculturati, poiché solo così potranno capire appieno il mood dei nostri ascoltatori. Dovremmo parlare solo di avvenimenti tristi e conditi di paturnie. Si dovranno offrire vari programmi, per esempio: ascoltare i problemi dei radio ascoltatori, così da riuscire a creare un effetto di schadenfreude (termine tedesco che indica una particolare forma di piacere provata quando si gode delle disgrazie altrui) per tutti gli appassionati di Radio Depre; oppure proporre la narrazione di alcuni romanzi o racconti, ovviamente che si abbinano al nostro brand.
Alcuni esempi: un estratto, ma non troppo corto, del romanzo “L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere”, o “Il Dolore” di Gadda, scandito dalle lente pause di Hemingway e di Perec, lasciando perdere l’ascoltatore in infinite digressioni senza punto; Dostoevskij e Tolstoj che si danno la mano e parlano di epilessia notturna e del desiderio di morire sotto un treno; si potrebbero proporre anche trattati di scienza, sull’universo e della sua grandezza immane, per far rendere conto della inutile piccolezza umana.
Per i più sentimentali si può leggere la parte finale de “Le Pagine della Nostra Vita”, banale ma strappa lacrime, intervallate da alcune poesie estratte a casaccio dalle opere di Pessoa o Baudelaire. Raccontare la perdita del carico di lupini, le stupide disavventure di Don Chisciotte, apice della stoltezza umana, o la scandita morte a ogni pagina nei Miserabili di Hugo. Del disagio di Wallace sulla sua crociera e del fallimento umano del Frankenstein. Per i più piccini si racconteranno le varie favole dei Grimm, che lasciano un sapore amaro, Steinbeck per i più grandicelli, o ancora meglio Orwell, per i più ribelli.
L’obiettivo nostro è quello di far deprimere l’ascoltatore, e quindi, a rigor di logica, dovremmo andare alla ricerca del perché di questa depressione, e, come un martello, battere il chiodo sempre più in profondità. I nostri ascoltatori sono depressi, e scelgono la nostra radio per deprimersi ancora di più. Fatto sta che chi vuole mettere termine alla propria vita avrà da noi la giusta colonna sonora.
Oppure, e ammetto che questa sia una grande innovazione, offriamo il servizio del silenzio: ogni tanto la radio deciderà di fermarsi e far suonare la musica degli ascoltatori. Questo svolge varie funzioni. A esempio: in molti vorranno sentire una determinata canzone nello stesso momento e noi non possiamo farlo, perché mandare in onda più canzoni nello stesso momento creerebbe troppa confusione. La soluzione migliore è quella di lasciare quei tre minuti di canzone che tutti richiedono nel più totale silenzio, così che ognuno ascolti quello che più gli pare e piace. I minuti di silenzio sono importanti, servono a creare quel momento di pausa per riflettere e capire chi siamo, dove, quando, e a volte, se ci riusciamo, anche perché.
Quella pausa che le altre radio non riescono a darti, perché sanno che lasciarti da solo con te stesso sarebbe altamente dannoso per i loro ascolti. Se nelle altre radio lasciassero un buco di silenzio dopo l’assordante pop, ti domanderesti qualcosa, e questo la radio normale non può permetterselo.
Noi invece offriamo il silenzio. Offriamo il qui e ora perso nel tempo.
Ma… c’è un grande ma che sorge proprio adesso. Andando alla ricerca dei motivi più reconditi delle depressione troviamo una contraddizione per la quale la nostra stazione radio sarà inutile ai fini dai noi preposti. La depressione radiofonica nasce, appunto, dall’ascoltare le stazioni radio che fanno dei potenti il proprio verbo, cioè tutte quelle che suonano cosa gli viene di detto di suonare, senza se e senza ma. La nostra radio avrebbe il compito di accompagnare la depressione degli ascoltatori in modo amichevole e sincero con la nostra non-musica, anch’essa depressa. Ma la vera musica che deprime è quella delle altre stazioni radio, quindi, uno che vorrebbe affogare nel proprio disagio avrebbe da sintonizzarsi su un qualsiasi canale della radio, e non per forza venire da noi, anzi, c’è la possibilità che le nostre proposte potrebbero curare da questa malattia.
È la musica proposta da tutti gli altri, a parte la stazione coreana, a creare la depressione stessa.
In sostanza, Radio Depre non servirà per suicidarsi, ma per sentirsi meglio. Magari alla fine gli ascoltatori porranno lo stesso fine alla loro esistenza, ma con un senso di appagamento, non di frustrazione.
Questo è il nostro servizio.
Matteo Abozzi