Ho sempre ritenuto affascinante conoscere la natura del lievito, capire donde venisse questa sua capacità di creare volume e donare sapore al cibo da me preferito, il pane.
Il lievito che amo è il lievito arcaico, simile a quello che i nostri antenati scoprirono incidentalmente migliaia di anni fa, forse decine di migliaia di anni fa, e che impararono ad utilizzare traendone i vantaggi di cui abbiamo già accennato nel post precedente.
Ricordiamo che il lievito madre è una coltura di lieviti e batteri lattici, con la prevalenza di questi ultimi, che convivono in simbiosi.
In rete si trovano molti materiali che spiegano come arrivare a creare una determinata coltura di lieviti e batteri, capace di fermentare e far lievitare il pane; in realtà la strada è solo apparentemente difficile, basta avere a disposizione una farina non raffinata e non sterilizzata.
Infatti i batteri che ci interessano sono già lì, nella farina, devono solo essere selezionati ed attivati per arrivare ad ottenere una buona coltura capace di produrre lievitati profumati e sani.
Sicurezza
Attenzione: esistono anche batteri pericolosi. Ricordiamoci che, essendo la farina un alimento crudo, derivato dalla semplice macinazione del grano in ambiente protetto, porta con sè una certa carica batterica.
Il grano è un vegetale come tutti gli altri, per essere sterile dovrebbe essere trattato. Ad esempio, tra i vari tipi di microorganismi contaminanti, talvolta è possibile trovare l’escherichia coli, un batterio che deriva da contatto accidentale con feci in quanto vive abitualmente nell’intestino di molti esseri viventi, ad esempio i topi.
In alcune situazioni particolari questo batterio provoca malattie gravi come l’enterocolite, rischio che però si presenta solo se si assaggia farina contaminata a crudo.
Le cose vanno un po’ peggio con le aflatossine, che resistono alla cottura e che sono pure cancerogene, ma questo è un problema di una cattiva conservazione e produzione del grano e della farina, problema che esiste a prescindere dal tipo di lievitazione che si utilizza.
E questi sono solo due dei possibili casi di microorganismi da evitare assolutamente nella produzione del nostro cibo.
Questi rischi sono reali? Sì, sono reali.
La natura è generosa ma può essere anche matrigna se non la si conosce. In realtà questi problemi si trovano in ogni tipo di cibo, non a caso esistono procedure come la sterilizzazione, la pastorizzazione, l’abbattimento a freddo, solo per dirne alcune, prescritte proprio per evitare contaminazioni batteriche.
Si tratta di procedure obbligatorie presenti nei vari protocolli definiti all’interno dell’HACCP per consentire all’industria alimentare di fornirci cibo sano e ridurre al minimo il rischio per la nostra salute.
Ridurre al minimo il rischio – non azzerare.
Le contaminazioni chimiche e batteriche infatti sono all’ordine del giorno, basta vedere i prodotti industriali che quasi ogni settimana vengono ritirati dal mercato perché contaminati da questo o quel batterio o agente chimico.
Neppure l’industria alimentare può garantire l’assoluta sicurezza dei cibi che acquistiamo.
Tutto questo per dire che i rischi ci sono sempre e comunque in qualunque cosa che facciamo o mangiamo: per tale motivo infatti non smetteremo di mangiare funghi o di andare in automobile o in bicicletta pur sapendo di correre dei rischi, la vita stessa è un rischio continuo!
Allo stesso modo, se è vero che manipolando la farina creiamo una coltura di microorganismi vivi, è anche vero che, con un minimo di attenzione, possiamo rendere il rischio di intossicarci paragonabile, per non dire inferiore, a quello che corriamo nutrendoci di pane acquistato al supermercato.
Perché?
Perché fare il pane in casa ci insegna a selezionare gli ingredienti, a conoscere le farine di qualità e a procurarcele da fonti prossime (kilometro zero o quasi) e con molitura recente. Il pane commerciale difficilmente garantisce la tracciabilità delle farine con cui è fatto: quante volte sono stati ritirati panificati contaminati con aflatossine? Per non parlare del glifosato ed altri contaminanti chimici: tutti elementi individuati più volte in farine economiche, non biologiche, utilizzate comunemente per produrre cibo industriale di scarsa qualità, qualità che di solito il consumatore non è in grado di valutare.
Facciamo il lievito
Creare il lievito madre correttamente implica saper fare la selezione dei microorganismi proprio per ridurre al minimo il rischio batteriologico.
La prima selezione si fa con l’acquisto di prodotti BIOLOGICI di sicura qualità.
Possiamo fidarci? Abbastanza, ma almeno è un primo filtro.
Il passo successivo consiste nella pratica di ossigenare l’impasto di acqua e farina per favorire la fermentazione aerobica rispetto a quella anaerobica. L’ossigeno seleziona per noi i microorganismi che prevarranno nella coltura, microorganismi che creeranno un ambiente acido, utile allo sviluppo dei batteri acidofili e dei lieviti, poco favorevole invece ai batteri nocivi che, se presenti, rimarranno inattivati e quindi non contamineranno il nostro impasto.
L’attivazione della fermentazione produrrà infatti la componente acida della pasta madre, composta da acido acetico, acido lattico, acido butirrico e altri, più una componente alcolica: grazie a tali componenti mi potrò ritenere ragionevolmente sicuro di aver raggiunto un livello più che accettabile di salubrità del mio pane.
Ha senso usare uno starter? Pur non essendo strettamente necessario, uno starter acido, come ad esempio il Kefir, può aiutare ad accelerare il processo di selezione ed attivazione dei microorganismi favorevoli.
Ed ecco infine la mia ricetta per ottenere il licoli, ossia la pasta madre liquida.
Ingredienti: 50 ml di acqua declorata, 50 grammi di farina bio di tipo 1 non sterilizzata.
Per acqua declorata intendo acqua di bottiglia non gassata o di rubinetto che ho preventivamente messo a decantare in una brocca non chiusa ermeticamente per almeno un’ora, in modo da favorire l’evaporazione del cloro disciolto nell’acqua, sostanza nemica dei microorganismi che vogliamo coltivare.
Se la farina è sterile (molto probabile) il processo risulterà più difficile perché i microorganismi che entreranno in gioco proverranno principalmente dal nostro ambiente casalingo piuttosto che dalla farina.
Soprattutto in quest’ultimo caso è auspicabile l’uso di uno starter, dove tali organismi siano in qualche modo già presenti.
Se ho starter liquido come siero di kefir, kefir o yogurt ACIDO, non zuccherato, posso sostituire con esso tutta o parte dell’acqua dell’impasto.
Procedura
Messi assieme gli ingredienti in una ciotola, meglio se di vetro, è fondamentale durante l’impasto degli ingredienti l’ossigenazione che si produce con la frusta o con la forchetta.
Sbattere vigorosamente l’impasto semiliquido nel recipiente per alcuni minuti, poi lasciamolo riposare per 24 ore circa, proteggendolo con un piatto o un telo onde evitare che il pulviscolo della stanza depositi contaminanti indesiderati (es. muffe).
Passate le 24 ore aggiungeremo altri 50 grammi di farina e 50 millilitri di acqua declorata e ossigeneremo nuovamente l’impasto sbattendolo vigorosamente per alcuni minuti, quindi lo lasceremo a riposare per altre 24 ore.
Ripeteremo questo processo altre due o tre volte, finché non sarà evidente la formazione di bolle e la pasta non tenderà a gonfiarsi vistosamente. Sarà anche il profumo a segnalarci che avremo ottenuto finalmente la nostra pasta madre liquida.
Giunti a questo stadio preleveremo quattro cucchiai del nuovo licoli e li riporremo in un vasetto chiuso ermeticamente in frigorifero (a circa 4° centigradi), la parte restante la potremo già utilizzare aggiungendo olio, sale e farina per la nostra prima panificazione, che molto probabilmente non sarà un granché, ma sarà comunque commestibile.
Le panificazioni successive verranno fatte recuperando il lievito messo da parte in frigo, a cui aggiungeremo ogni volta circa 80 grammi di farina biologica e 80 grammi di acqua declorata, mescoleremo vigorosamente e lasceremo riposare per 4 o 8 ore, a seconda della stagione, finché non saranno evidenti i segni della fermentazione (rigonfiemento, bolle, profumo). Quattro cucchiai della pasta attivata saranno messi nel solito vasetto da richiudere e rimettere in frigo, mentre la rimanenza della pasta attivata sarà utilizzata per la panificazione.
Ogni volta che vorremo panificare ripeteremo sempre quest’ultimo processo. Il vasetto con il lievito può restare in frigo fino a due settimane senza soffrire eccessivamente.
Questa tecnica di fermentazione “liquida” è molto più pratica della tecnica classica con pasta madre, tecnica che richiede molta più cura per mantenere viva e in buona salute la coltura stessa.
Anche se non è affatto difficile, prossimamente descriverò come si utilizza il licoli per la panificazione, anche con la macchina del pane.
HGD