C’era una volta una giovane ninfa di nome Eco che era dotata di una notevole parlantina e un giorno il re degli dei, Giove, le chiese di sfruttare il suo dono per intrattenere la regina degli dei, la moglie Giunone, mentre lui si preoccupava del benessere delle proprie amanti.
Ma Giunone scoprì presto l’inganno architettato dal marito fedifrago, e maledì la ninfa per averlo aiutato privandola dell’eloquenza e costringendola a ripetere solo e unicamente le ultime parole pronunciate dagli altri.
Vagando disperata, Eco si imbatté in un giovane di straordinaria bellezza, il cui nome era Narciso, e se ne innamorò perdutamente, al punto da avvicinarsi nel tentativo di instaurare un dialogo, ma lui, pronunciata una frase di circostanza, si sentì preso in giro dalla ninfa quando ella ripeté le sue stesse parole e allora si allontanò.
Eco quindi continuò a struggersi per la propria sfortuna e l’amore non corrisposto nei confronti di Narciso, fino a dissolversi diventando solo una voce cantilenante, e gli dei, mossi a compassione, vollero punire quel giovane che era stato tanto insensibile nei suoi confronti.
Quando era nato Narciso, la madre Liriope, preoccupata per il destino del figlio, aveva chiesto consiglio all’indovino Tiresia, il quale aveva affermato che il bambino sarebbe arrivato alla vecchiaia solo se non avesse conosciuto se stesso, ma nessuno aveva messo in conto l’intervento degli dei, che concretizzarono i timori di Liriope mettendo sul cammino del giovane uno specchio d’acqua.
Narciso, che prima di allora non aveva mai conosciuto la propria bellezza pur essendone consapevole, restò folgorato dal proprio riflesso e cercò di sfiorarne il volto senza riuscirci. Preso dallo sconforto provò allora ad avvicinarsi alla propria immagine, cadendo nella pozza e affogando.
A quel punto vendetta era fatta, ma per non infierire ulteriormente su Eco, che soffriva ancora, gli dei trasformarono Narciso in un fiore dai petali dorati, che nella florigrafia assume il significato di “egoismo”, perché Narciso non si è preoccupato di altri che di se stesso, ma significa anche “narcisista”, chi è dedito al culto di sé, in accordo con le derivazioni del nome mitologico.
Tuttavia vi è un’altra varietà di narcisi, detta “narciso dei poeti”, che assomiglia molto alla sorella giunchiglia – terzo tipo di narcisi – e quest’ultima spesso ne prende il posto creando molte aspettative in chi le coltiva pensando che si tratti del narciso dei poeti, fino a quando si rende conto di essere stato vittima di un’errata illusione.
Il narciso dei poeti significa perciò “disillusione”, mentre la giunchiglia “desiderio”, per il motivo opposto, perché chi ha cresciuto quest’ultima desiderava che fosse altro.
Silvia Costanza Maglio