Quando sono veramente me stessa e non solo le cose che ho imparato? Quanto c’è della mia vera essenza in ciò che dico, nelle cose che faccio, in quello che mangio, che penso, che sento? Mi viene in mente di quando ero bambina e rifiutavo di fare le cose che mi si imponevano, ostinatamente mi impuntavo a fare il contrario. I miei genitori pensavano che fossi strana, gli insegnanti mi tenevano “sotto osservazione”.
Gli psicologi insegnano che ognuno di noi crede di essere se stesso, di avere le sue abitudini, di fare le cose sane e belle. Crediamo di poter decide sempre da soli, di essere protagonisti della nostra vita… però quando un uomo comincia a conoscere se stesso vede che in verità non possiede nulla, tutto quello che considera come suo: idee, pensieri, convinzioni, tendenze, abitudini, le sue stesse colpe e i suoi vizi, niente di tutto ciò gli appartiene: tutto quanto si forma per imitazione, oppure viene copiato da qualche parte. Io però non avevo copiato da nessuno, i miei comportamenti strani non me li aveva insegnati nessuno, seguivo solo un istinto che mi faceva fare cose che gli altri definivano strane.
Ricordo un’estate di tanti anni fa. Sono sulla mia amata spiaggia di Torre Lapillo, la mia mente vaga, spazia in fantasie e immagini. Sento il vociare delle persone intorno a me. Ascolto con curiosità i discorsi dei ragazzi del vicino ombrellone. Penso che quasi sempre parliamo senza ascoltarci, senza essere veramente presenti a ciò che diciamo, diventando così l’intonazione dell’inutile, parliamo senza dire nulla. Diciamo troppe cose. Se ci limitassimo alle sole parole davvero indispensabili, soltanto questo potrebbe dirsi mantenere il silenzio. Così è per ogni cosa: quando ci nutriamo, quando facciamo l’amore, quando dormiamo; per ogni cosa c’è un limite a ciò che è necessario. Andando oltre, inizia il “peccato”. Se si cerca di afferrare il bene: Il “peccato” è tutto ciò che non è necessario.
Forse l’essenza di noi stessi ha proprio bisogno di pochissimo… per vivere rifiuta tutto il superfluo. Infatti le antiche culture insegnano che la via della purificazione passa per il digiuno, per l’assenza di pensieri, per il silenzio. Tanti artisti raccontano che quando creano un’opera d’arte è frutto di una specie di meditazione, un momento particolare con loro stessi, una specie di rito. Gli stessi riti che compivo io quando ero bambina. Essere creativi non vuol dire essere normali. Essere normali vuol dire essere banali, sempre uguali, omologati alla massa.
Da sempre ogni giorno passo qualche minuto ad assentarmi da me stessa. Mi ascolto stando nel silenzio, cerco di purificare la mia energia vitale e lascio che agisca liberamente, e generalmente questo mi rende tranquilla e dopo mi sento più creativa. Il nostro cervello ha bisogno di azioni adatte perché possa liberare sostanze capaci di portarci in dimensioni più sottili della coscienza, vicine al territorio di altre dimensioni. Tutto il contrario di ciò che viviamo giornalmente.
Maura Luperto