È settembre, ma non è normale

Settembre è quello strano mese in cui nell’aria si inizia ad avvertire il cambiamento tra estate e autunno, mentre le foglie degli alberi restano ancora di un verde intenso e ben ancorate ai rami, ma il grano viene mietuto poco prima di assumere quella tonalità dorata, che è dorata a causa del caldo sfrigolante che l’ha privata della vitalità.

Settembre è uno strano mese.

Nella vecchia e conosciutissima filastrocca, il mese pazzo è marzo, ma quest’anno anche settembre non scherza, tra le piogge torrenziali che già si son viste nonostante sia solo la prima settimana, e neanche tutta, e i campi secchi di un caldo asfissiante che pure è stato mitigato.

Eh sì, il mese pazzo era marzo, ora è settembre e assieme a lui lo sono anche gli altri dieci mancanti, perché uno all’anno sono sempre stati tutti un po’ strani. 

Una decina di anni fa, quando ancora non si parlava con la stessa frequenza di “riscaldamento globale” come se ne parla ora, in Lombardia erano stati superati i 43 gradi, lo ricordo bene: ci si scioglieva da fermi. 

La cosa strana era che si trattava di giugno, quell’anno, e a giugno si sa che è una primavera ancora non troppo convinta di voler scaldarsi un po’.

L’anno dopo la volta di dicembre, con gli scarponi e la neve che nonostante questo arrivava al ginocchio e s’infilava nei calzini.

Eppure sì, ogni anno è l’anno più strano, l’anno che “non si vedeva da almeno cinquant’anni”, se non cento o anche qualche milione.

Poi a febbraio con le mezze maniche e le temperature che in un giugno normale sarebbero state accettabili, ma non nel mese successivo a gennaio coi Giorni della Merla, quelli più freddi, che però più si son visti.

Adesso tutto ciò che riguarda gli eventi naturali si può imputare al problema dell’inquinamento, dell’insistenza dell’uomo a voler giocare a sovvertire le leggi naturali, ma queste sono questioni cui sta pensando chi di dovere e alle quali chi non sa altrettanto bene può solo compartecipare e partecipare nel proprio piccolo.

Fatto sta che c’è un qual certo abuso della parola “normale”, non solo quando si vede uno strano fenomeno, che poi strano non è se si ripete e pertanto già è ammesso, possibile e persino frequente. 

Come frequente è sentir dire “No, ma io non sono normale” o “Io sono un po’ strano”. Quasi tutti ce lo siamo detti almeno una volta, magari sentendoci anche un po’ speciali, perché quella cosa che stavamo facendo, o avevamo fatto, era veramente bizzarra, talmente tanto che nessun altro avrebbe potuto bere da un bicchiere di acqua se non fossimo stati noi. 

Perché bere è qualcosa di speciale che solo un “non normale” sa fare.

È prerogativa umana volersi distinguere anche solo un po’ dalla massa, ma la cosa paradossale sarebbe che adesso per distinguersi basterebbe dire “Io? Sono assolutamente normale, non ho niente di strano”, perché “normalità” e “omologazione” sono concetti ben distinti. 

Anormale è il famoso “asino volante”, non uno che mangia gli Oreo con il burro di arachidi, quello è solo un gusto diverso che troverà sicuramente un riscontro con qualche altra persona, dal momento che sul pianeta siamo miliardi.

Distinguersi non significa “cercare quella cosa per cui sono anormale”, ma raggruppare quell’insieme di cose assolutamente normali che in quella data combinazione caratterizzano solo e univocamente una determinata persona.

Silvia Costanza Maglio