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Riprodurre la fotosintesi naturale per combattere il cambiamento climatico

Un nuovo progetto europeo guidato dall’Università di Bologna si propone di realizzare un dispositivo che, sfruttando l’energia solare, sia in grado di produrre combustibili alternativi alle fonti fossili a partire da anidride carbonica, acqua e prodotti di scarto derivati dalle biomasse.

Riprodurre il meccanismo della fotosintesi naturale per creare combustibili a partire da anidride carbonica, acqua e prodotti di scarto derivati dalle biomasse: è una sfida molto ambiziosa quella che attende CONDOR, nuovo progetto europeo guidato dall’Università di Bologna. Al centro dell’attenzione degli studiosi ci saranno nanostrutture progettate con l’obiettivo di ottimizzare la raccolta di luce solare e il trasporto di carica elettrica, per aumentare l’efficienza della fotosintesi artificiale.

“Il nostro obiettivo è realizzare un dispositivo che offra una doppia azione per la mitigazione del cambiamento climatico“, spiega Paola Ceroni, professoressa al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna che guida il progetto. “Da un lato la riduzione dell’anidride carbonica, utilizzata come materiale di partenza per il processo attivato dalla luce solare, e dall’altro la riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili, perché il prodotto di questo processo sarà un combustibile alternativo come ad esempio il metanolo”.

Il dispositivo fotosintetico su cui si concentreranno i ricercatori di CONDOR sarà composto da due parti. Partendo da acqua e anidride carbonica, una cella fotoelettrochimica produrrà ossigeno e syngas, una miscela di idrogeno e monossido di carbonio. Dopodiché, un fotoreattore convertirà il syngas in metanolo e dimetiletere, due combustibili alternativi alle fonti fossili. L’approccio modulare del dispositivo potrebbe permettere diverse configurazioni a seconda del prodotto di destinazione che si vuole ottenere. Il processo per arrivare a questo risultato utilizzerà materiali ottenuti attraverso percorsi a bassa energia e a bassa temperatura, a partire da materie prime di cui c’è ampia disponibilità su scala globale come silicio e ossidi metallici.

Nano-fiocchi di ossido di tungsteno (WO3): saranno usati come strato assorbitore di luce nelle celle fotoelettrochimiche sviluppate dal progetto CONDOR. Photo credits UNIBO MAGAZINE

L’idea della fotosintesi artificiale parte da lontano. All’inizio del ‘900, Giacomo Ciamician, a cui non a caso è intitolato il Dipartimento di Chimica dell’Alma Mater, aveva previsto questa possibilità: “fissare l’energia solare con opportune reazioni fotochimiche e, mediante opportuni sensibilizzatori e catalizzatori, poter trasformare acqua e anidride carbonica in ossigeno e metano”. Già allora il sogno era sostituire “la civiltà del carbone, nera e nervosa” con “quella forse più tranquilla dell’energia solare”.

E da allora, l’impegno in questa direzione non si è mai fermato. Oggi, grazie anche alla ricerca d’avanguardia su questi temi portata avanti per decenni da Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Alma Mater, l’Italia gioca un ruolo di primo piano a livello mondiale nel settore della fotosintesi artificiale.

Il progetto CONDOR (COmbined suN-Driven Oxidation and CO2 Reduction for renewable energy storage) è finanziato con quasi quattro milioni di euro dalla Commissione europea nell’ambito del programma Horizon 2020. Capofila è l’Università di Bologna con il Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” e con il gruppo guidato dal professor Luca Pasquini del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”.

Sono coinvolti inoltre l’Università di Ferrara, l’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del CRN (CNR-ISOF-Bologna), ICIQ – Institut Català d’Investigació Química (Spagna), la Utrecht University (Paesi Bassi), Laborelec (Belgio), la University of North Carolina (USA) e tre aziende europee (ENGIE, HyGear e Amires), che si occupano dello sviluppo tecnologico del dispositivo oltre che della disseminazione dei risultati.