Una storia di sostenibilità per le risorse del cuore blu del Pianeta e per l’ambiente.
Ci sono i mari, i fiumi, i laghi e ci sono loro, gli oceani, una delle fonti più preziose della Terra, una vasta distesa acquea in cui risiede circa l’80% delle specie viventi, quelle specie che non solo regolano il clima ma che forniscono altresì almeno il 50% dell’ossigeno che respiriamo.
Ma come stanno oggi queste fantastiche e indispensabili risorse? Grazie alla noncuranza degli esseri umani sembra proprio che non se la passino proprio bene.
Per questo, come ogni anno, dal 1992, a ricordarci questa meraviglia fondamentale per la nostra vita, l’8 giugno viene celebrata la Giornata Mondiale degli Oceani, organizzata da The Ocean Project e da World Ocean Network e riconosciuta dall’ONU dal 2008.
Una giornata importante, in cui tutti siamo invitati a una sana e severa riflessione su un ecosistema che si rivela sempre più in sofferenza, sia per l’inquinamento dovuto alle sostanze chimiche, sia all’immenso accumulo della plastica, sia per il problema delle risorse ittiche e del loro indiscriminato sfruttamento.
Sì, perché se l’inquinamento è soprattutto causato dall’incuria, dalla cattiva educazione e dal mancato rispetto per l’ambiente oltre che da un malcelato “menefreghismo” verso le generazioni future, il problema del pescato è l’inequivocabile segno di un latitante senso di responsabilità.
In Alaska, la pesca è la più importante fonte di sostentamento per i suoi abitanti e lo Stato, attraverso leggi e regolamenti rigorosi, fa il massimo perché questa attività fornisca sempre le risorse necessarie per un buon andamento dell’economia e per il rispetto per l’ambiente. Come? Facendo sì che vengano evitati gli sprechi dovuti al pescato eccessivo e garantendo, in questo modo, la continuità e la sopravvivenza delle varie specie.
A controllare che nella stagione della pesca – che in Alaska va da maggio a ottobre – tutto proceda secondo le regole, sono non solo gli scienziati e le forze dell’ordine ma anche gli stessi pescatori che, per tradizione, svolgono il loro lavoro con estrema professionalità.
Ogni anno, applicando le informazioni scientifiche, viene infatti calcolata la cattura biologicamente accettabile in riferimento alla biomassa, cioè la quantità totale nell’oceano di una particolare specie di pesce stabilendo il totale ammissibile per mantenere in salute anche l’ecosistema.
È facile intuire che il pesce proveniente dall’Alaska, proprio grazie a queste regole, è quanto di meglio si possa mettere nel piatto, in quanto selvaggio, naturale e sostenibile. Un vero alleato della nostra salute ma anche di quella dell’oceano e dell’ambiente.
L’Alaska è un esempio per tutto il mondo, quindi diamo tutti una mano a dare una svolta verso un futuro di benessere. Siamo ancora in tempo per mutare la rotta.