In questo ultimo decennio stiamo assistendo al ritorno di grandi classici, dal piccolo al grande schermo. Vengono riproposte le grandi storie che ci hanno fatto sognare o che non ci hanno fatto chiudere occhio. Questa operazione di marketing viene proposta sia per cercare di dargli una “nuova mano di vernice”, l’equivalente di restaurare un quadro, sia per far sì di rendere accessibili vecchi capolavori a un pubblico nuovo.
Tantissimi gli autori che vengono “riesumati”. Primo su tutti Shakespeare, lo scrittore che vanta il maggior numero di riproposizioni televisive e teatrali, seguito da Stephen King, il re dell’horror.
Ulteriore autore che da sempre è stato protagonista delle notti insonni di tutti è Howard Philliph Lovecraft, padre del temibile Cthulhu e del maledetto Necronomicon, il libro sulla magia nera, capace di evocare demoni e anche di peggio. I racconti di Lovecraft sono una miniera d’oro per qualsiasi svago: per esempio si può passare dal leggere la nuova ristampa de “La casa stregata”, al tirare i dadi in un gioco da tavola a tema “I Miti di Cthulhu”. Per non parlare del cinema! Tra le ultime uscite possiamo annotare: “Color Out of Space”, film con Nicholas Cage basato sull’omonimo racconto; oppure sarà a breve disponibile una nuova Serie Tv che, già dal titolo, richiama la sua fonte di ispirazione: “Lovecraft Country”.
Di grande successo è stato il film “The Lighthouse”, rigorosamente girato in bianco e nero, che sprizza da tutti i pori influenze Lovecraftiane. La potenza di Lovecraft non consiste infatti nell’aver scritto grandi opere (da molti viene anche visto come un autore mediocre), ma di aver inventato un nuovo universo: il Cosmic Horror.
Il nucleo del Cosmic Horror è l’incomprensibilità ed è questo quello che accomuna tutti i lavori dello scrittore di Providence con le migliori produzioni horror. Il Cosmic Horror si basa su un secolare esperimento mentale: “Esiste un mondo, il nostro. Ma il nostro mondo è limitato? E se fosse limitato ci sarebbe quindi un altro mondo illimitato? E se ci fosse questo mondo illimitato, noi lo potremmo capire?” Difficile da comprendere? Beh, era l’effetto sperato dall’autore.
Lovecraft poneva i suoi protagonisti davanti ad un evento inspiegabile, ad esempio un colore non classificabile tra quelli conosciuti, che pian piano li avrebbe portati sull’orlo della pazzia e della disperazione. I personaggi si ritrovano a dare un’occhiata su un mondo infinito, è questo che crea la paura nel lettore. La paura più grande dell’uomo è quella di trovarsi di fronte alla sua nullità e Lovecraft gioca esattamente su questo. Se qualcuno volesse sapere “cosa c’è oltre”, rimarrebbe solamente intrappolato in un vortice senza senso e senza via d’uscita. Lovecraft infatti non descrive mai l’evento in sé, ma le reazioni e le emozioni di colui che sta contemplando l’evento stesso. Questo è quello che rende l’Horror di Lovecraft così potente. Ma è veramente tutta farina del suo sacco? La storia del pensiero occidentale esordirebbe con un sonoro “No!”.
La sensazione di “essere finito” accompagna l’essere umano da sempre. Socrate nella Grecia Antica parlava riguardo l’inaccessibilità a un sapere vero e puro da parte di esseri finiti, noi umani. In sostanza: la nostra anima, rimasta intrappolata nel mondo mortale, non riesce, almeno fino al momento della morte del corpo, a conoscere la vera essenza delle cose.
Inoltre, ripescando il mito della caverna di Platone (colui che dà voce a Socrate attraverso i dialoghi platonici), si riesce a contemplare l’essenza delle cose per quelle che sono, anche se in modo irrisorio, ma la maggior parte degli individui ha paura di quello che vede (qui ritorna l’aspetto “horror”) e decide di rientrare dentro la caverna dell’ignoranza. Questa linea di pensiero verrà ricalcata dal Cristianesimo e da tutta la storia a venire, sia elogiandola che criticandola. Noi Europei siamo il frutto del sapere e della tradizione occidentale. Di conseguenza, anche l’uomo moderno porta dentro di sé questa inquietudine, che oramai fa parte della propria essenza. Un particolare e inaspettato autore italiano mostra degli aspetti “horror” nelle sue produzioni: Giacomo Leopardi.
Tutti abbiamo imparato a memoria l’Infinito, ma l’abbiamo veramente capito? Questa lirica racchiude in sé l’etica Lovecraftiana, di come l’uomo davanti a quegli’ “interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi” si spaventi e si senta fuori luogo, incapace di comprendere appieno.
Secondo Lovecraft, Leopardi non è impazzito perché ha avuto la buona volontà di non andare a curiosare oltre quella siepe, tanto è che già ascoltando e basta, senza andare a sbirciare, l’autore italiano viene sommerso dall’eterno e altro non può fare che naufragare, ovvero farsi portare dalle onde del mare senza avere nessun controllo.
Ancora più calzante è un’altra opera dello stesso autore: “Dialogo della Natura e di un Islandese” Un uomo sta scappando dalla Natura maligna, che sfortunatamente incontrerà in Africa e tra i due inizierà un dialogo. Sempre con gli occhi di Lovecraft, in questo caso la Natura incarna il ruolo dell’Universo Horror (il Cosmic Horror per l’appunto). Riferendosi alla Natura, essa viene descritta da Leopardi come bellissima ma terribile, insensibile alle sofferenze umane; inoltre si parla del non interesse da parte della Natura di un’ipotetica scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra. A un Universo Infinito nulla importerà della minuscola briciola umana, anzi, è proprio questa infinità che rende infelici gli uomini sulla Terra. Alla fine l’Islandese verrà sopraffatto dalla sua acerrima nemica. Risultato prevedibile, almeno per Lovecraft. Il personaggio di Leopardi altro non può fare che cercare di scappare dall’orrore che lo insegue, ma come i migliori finali horror non troverà mai via d’uscita.
Se volessimo descrivere il Cosmic Horror di Lovecraft, potremmo usare il classico mito greco di Icaro. Volare troppo vicino al Sole ci farebbe squagliare le ali, così da incontrare una morte violenta, così come cercare troppo in profondità in un buco alieno ci porterà a un’incurabile pazzia.
Bisogna trarre una morale da tutto questo: gli autori non decidono di scrivere solo per buttare giù il morale del lettore, ma anzi, per aiutarlo. Gli insegnamenti di questi due colossi della letteratura ci dicono che esistono due modi di affrontare la situazione umana: il primo è quello di arrendersi e diventare schiavi dell’impossibilità di conoscenza, servendola senza sapere il perché, oppure prendere atto del fatto che potrebbe esserci un qualcosa di potenzialmente infinito e non pensarci più. Buttarsi tutto alle spalle. La seconda opzione è quella più augurabile, poiché ci permette di essere proiettati nel presente e vivere le azioni che svolgiamo come nostre, cioè dando importanza a ogni nostro gesto. Così facendo potremmo creare un mondo fondato sull’interconnessione umana, che alla fin fine, è eterno anche esso.
Matteo Abozzi