L’obiettivo di questo libro è avvicinare il lettore alle storie quotidiane che ancora popolano l’Afghanistan, un paese dove la guerra e il terrorismo sembrano non finire mai. Dove si distruggono le scuole perché l’istruzione è il peggior nemico del fanatismo e del fondamentalismo. Coloro che cercano la verità o che hanno trovato la verità sono i peggiori nemici dei terroristi. Storie di lavaggio del cervello, di bambini kamikaze, ma anche di speranza, come quella dell’associazione Free Afghan Women Now a cui sono devoluti i guadagni di questo libro.
Ho rifiutato il Paradiso per non uccidere – Autore: Walimohammad Atai
Recensione
Non so bene come è capitato che io e l’autore di questo libro ci siamo incrociati sui social media. So solo che a un certo punto, nel mezzo di un feed caotico di recensioni, post polemici, post pubblicitari e provocazioni, ho cominciato a vedere pubblicate delle foto meravigliose, accompagnate da didascalie come “Nuristan” o “Nangarhar”.
Che non sono proprio nomi noti, per la maggioranza delle persone: sono province afghane.
I miei primi contatti con l’Afghanistan risalgono già a una decina di anni fa, quando mi iscrissi all’università e inserii nel piano di studi l’esame di archeologia musulmana. In quel momento nomi come Ghazni, o Jam, hanno cominciato ad avere un suono familiare.
Flash forward di una decina d’anni, sono tornata a documentarmi su questo Paese: in seguito al ritiro delle truppe americane, quando mi sono resa conto di non sapere davvero nulla oltre alle poche notizie riportate dai telegiornali, ho deciso che volevo saperne di più.
Ho letto molto, ma sempre racconti di altri: occidentali che scrivevano reportage, ho sentito le storie dei soldati che raccontavano la “loro” guerra.
Il libro di Walimohammad Atai mostra con lucidità l’altro lato della storia: quella di un ragazzo che non ha visto l’Afghanistan dall’esterno, ma che ci è nato e cresciuto.
Una prospettiva indispensabile a chi vuole conoscere non dal punto di vista di estraneo, ma dall’interno, quali dinamiche si nascondono dietro a parole ormai diventate stereotipi da sottopancia dei notiziari: jihad, talebani, kamikaze.
Il risultato è un quadro complesso, in cui le semplificazioni risultano necessariamente strette e fuori luogo.
Un libro utile a capire. E, soprattutto, a non dimenticare.
Denise Antonietti