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Il lago scomparso

La storia del Lago Scomparso comincia in epoca glaciale. Un lago italiano, in terra d’Abruzzo, la cui superficie si stima raggiungesse i 155 Km quadrati, con una profondità massima di 22 metri. Era il terzo lago in Italia per estensione, dopo il Lago di Garda e il Lago Maggiore, e il primo dell’Italia peninsulare. Era il lago più alto, poiché risiedeva a circa 600 metri di quota.

Siamo in provincia dell’Aquila, si chiama Lago del Fùcino. La parola “Fucino” presenta varie origini. Secondo il poeta Licofrone deriva da “Forco” che significa Lucente. All’epoca, tra i Volsci e i Romani si tenne una battaglia sulle sue rive e da allora gli fu attribuita la denominazione aggiuntiva di Lago dei Volsci.

Un lago senza immissari nè emissari, alimentato da nove torrenti e da flussi d’acqua provenienti da infiltrazioni. Presentava un bacino complessivo pari a 889 Km quadrati, un regime spesso variabile a causa della sua natura pluviale.

In 18 secoli il lago si alzò di circa 8 metri, proprio perchè i torrenti in piena portavano una grande quantità di materiali, causando frequenti inondazioni. Le acque poi, ritirandosi, lasciavano permanenti acquitrini paludosi e malsani.

Il primo progetto di prosciugamento e bonifica del lago, per trasformare il suo fondo in un terreno coltivabile,  cominciò con Giulio Cesare che non riuscì a portare a termine l’idea. Bisognerà dunque aspettare l’imperatore Claudio, per dare inizio ai lavori per la costruzione di un canale emissario sotterraneo, che dal Monte Salviano era capace di confluire le acque del lago nel fiume Liri.

L’inaugurazione del canale avvenne in modo un po’ particolare, con una storica battaglia sulle acque del Lago Fucense, dove morirono circa 19mila galeotti, macchiando di rosso la terra bagnata dalle acque.

L’opera di Claudio fu un grande successo e, seppure la galleria romana dopo poco tempo non resse più e l’emissario cominciò ad ostruirsi, il mega-cunicolo preveniva le naturali alterazioni, consentiva il ricambio costante dell’acqua e scongiurava le inondazioni, anzi: la zona intorno al lago divenne altamente fertile e coltivabile.

Purtroppo  questo benessere non durò a lungo, poiché queste opere, si sa, necessitano di manutenzione: i barbari che invasero queste terre non mostrarono interesse né all’agricoltura né alla salute, cosicché il degrado fu inevitabile.

Nel Medioevo l’emissario costruito da Claudio si chiuse definitivamente e il Fucino tornò ad essere un lago chiuso e insalubre. Federico II di Svevia, Alfonso d’Aragona, Federico IV di Borbone, Papa Sisto nel corso degli anni provarono a rimediare, ma senza successo.

Bisognerà attendere il 1836 per avere un nuovo progetto, questa volta a cura di Carlo Afan de Rivera, commissionato da Re Ferdinando II di Borbone, ma approvato solamente nel 1838. Bisognerà aspettare il 1852 affinché Thomas D’Agiout (figura politica di rilievo del Risorgimento italiano, imprenditore, intermediario, padrone del quotidiano “Il Tempo” nel XIX secolo) facesse domanda per ottenere la concessione dei lavori. La ottenne ad una condizione:

Il Re non avrebbe sborsato un soldo.

E qui subentrò il Principe Alessandro Torlonia, ricchissimo banchiere nel Regno delle Due Sicilie: cogliendo l’occasione, si promosse quale maggiore azionista della Reggia Napoletana, che poteva essere considerata come la società che ottenne la concessione in cambio del possesso delle terre emerse.

Insieme all’ingegnere Alessandro Barisse, il Torlonia riuscì a sfruttare gli studi eseguiti in precedenza, ripristinando e ristrutturando l’antico canale romano e costruendo un altro emissario di maggiori dimensioni, con presa più bassa rispetto a quella di Claudio in maniera tale da prosciugare l’intero lago.

L’opera comportò non poche difficoltà e costi notevoli sostenuti dal testardo ed eroico principe imprenditore, che pronunciò la storica frase:

“Prosciugherò il lago o il lago prosciugherà me”

Principe Alessandro Raffaele Torlonia

Per quanto il drenaggio viaggiasse alla velocità di svariati milioni di litri l’ora, per prosciugarsi completamente impiegò ben 25 anni . Nel 1870, anno che sancì il Regno d’Italia, cominciò la sistemazione idraulica del bacino attraverso la realizzazione di un grande canale collettore e di una fitta rete di canali minori. 100 Km circa di canali primari e 680 di canali secondari.

Un’opera a dir poco eccelsa quella che riuscì a realizzare il Torlonia, al quale fu attribuita la carica di “Principe del Fucino” da Vittorio Emanuele II, Re d’Italia.

16.507 ettari di terreno vennero alla luce. Successivamente furono costruite delle strade capaci di traversare o costeggiare il bacino. Dei 16.507 ettari, 2500 vennero concessi agli abitanti del luogo, mentre la restante parte andò al Torlonia.

Nel 1886, però, iniziarono le lotte dei contadini contro Torlonia per il possesso delle terre. Dopo numerose battaglie e tanti morti, nel 1951 vennero espropriate le terre a Torlonia. Nel 1953 il governo emanò una riforma agraria. Successivamente alla seconda guerra mondiale fu costituito l’ente Maremma e Fucino, dal quale nel 1954 il Fucino si separò e divenne un ente a sé. Più tardi, nel 1923,  Giovanni Torlonia (1873-1938), terzo principe del Fucino, fondò la Banca del Fucino, per finanziare le attività economiche nei territori abruzzesi interessati dal prosciugamento e dalla bonifica del lago del Fucino, che è tuttora di proprietà della famiglia Torlonia.

Si dice che il lago, una volta, fosse colmo di pescatori e persone che lo visitavano per osservare la luce del tramonto risplendere sulle acque.

Oggi, proprio lì dove risiedevano le acque, ci vive un grande popolo: il popolo d’Abruzzo.

La colossale opera idrica, frutto dell’ingegno e delle risorse congiunte di antichi Romani, di Napoletani, Abruzzesi e Marchigiani, è la terza in scala mondiale dopo il canale di Suez e il canale di Panama .

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico

Fonti :
Trasmissione “Oltre il Confine” di Roberto Giacobbo
Blog Magazine “Neve Appennino”
Dizionario Biografico Treccani