Il macro di roma si apre ai giovani artisti
Luca Lo Pinto

Il 24 aprile 2020 avrebbe dovuto avere inizio il nuovo programma artistico del Macro, il museo di arte contemporanea di Roma, ma l’attuale situazione di emergenza ha rinviato all’estate, se non oltre, l’avvio delle mostre. In quella data non sarebbe iniziato il progetto vero e proprio ma una prima mostra introduttiva, un editoriale, per usare una metafora giornalistica scelta dallo stesso direttore artistico del Macro, Luca Lo Pinto, che ha assunto questa carica nel gennaio di quest’anno. Un editoriale, perché il progetto Museo per l’Immaginazione Preventiva è stato pensato come un’ideale rivista tridimensionale, divisa in rubriche (sale tematiche), e come in una rivista, i temi trattati cercano di spaziare e di non concentrarsi su un solo percorso.

Alla conferenza di presentazione, avvenuta nei bei tempi in cui il Covid-19 era conosciuto solo dai virologi, il nuovo direttore artistico ha illustrato la sua idea di museo, che non deve – e non può più, seguendo le nuove richieste del pubblico – essere un contenitore di mostre, ma diventare esso stesso una mostra, un luogo in cui il pubblico vive un’esperienza e non una visita. L’idea centrale di Lo Pinto insiste sulla trasformazione delle classiche mostre in mostre dinamiche ma la differenza, a dire il vero, non è chiarissima. La cosa è stata fatta notare con una certa insistenza alla conferenza stampa e non è stato, peraltro, l’unico punto di attrito: l’altra grande critica al progetto del nuovo direttore ha riguardato l’impostazione di una delle sale (denominata Retrofuturo), che vuole unire le opere già presenti nel museo alle nuove installazioni di artisti emergenti. Le opere già in possesso del Macro sono nei suoi archivi, posizionati sotto la struttura museale ma non agibili: l’idea di Lo Pinto, allora, è quella di presentarle al pubblico sottoforma di fotografie, affiancandole alle nuove opere concrete di giovani artisti, sui quali si vuole puntare con decisione. La scelta delle fotografie, oltre alla motivazione logistica (parliamo di oltre mille opere) è dettata dalla volontà di insistere non tanto sulla fruizione visiva dell’opera originale, quanto sul ragionamento che il visitatore, messo davanti alle opere di diversi artisti e periodi e opportunamente indirizzato, dovrebbe sviluppare autonomamente.

Il coinvolgimento attivo del pubblico è un punto cardine della nuova politica del Macro e se da una parte stride con la tradizione, dall’altra vuole seguire le nuove richieste del pubblico, rivisitando lo stesso concetto di museo. Non è questa una teoria personale di Lo Pinto ma un’argomentazione già presente nel mondo culturale in senso più ampio, in una realtà in cui, effettivamente, la semplice fruizione visiva di una collezione inizia a sembrare anacronistica, in cui l’uomo moderno non è più abituato a vedere senza interagire. Non è un mutamento semplice e in una società in cui tutti si esprimono – anche e soprattutto se non hanno gli strumenti per farlo – è difficile seguire i reali bisogni del grande pubblico. È stata già indicativa a riguardo la conferenza stampa: all’esposizione di un progetto che punta all’innovazione, non a caso proposto da un direttore artistico molto giovane (Lo Pinto non ha ancora quaranta anni), le principali critiche sembravano mosse proprio da una forte tendenza alla cautela, una sorta di diffidenza per gli esperimenti che escono dai binari consueti.

La discussione non si è certo risolta in una giornata, quantomeno si dovrà aspettare la fine di questo progetto triennale per capire se la direzione intrapresa è quella giusta – e comunque sarà un’informazione utile solo per questo ambito. Ma la buona notizia è che il mondo dell’arte contemporanea e con esso, si spera, tutto il mondo della cultura sono in movimento, si interrogano per trovare nuove strade, per uscire dalla comfort zone. E il dinamismo è sempre sintomo di ottima salute, le novità portano sempre nuovi stimoli: serve solo qualcuno che ci creda davvero.

Giangiacomo Bonaldi