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Intervista con gli autori: Scilla Bonfiglioli e Mina Alfieri

Mina Alfieri: per la prima volta nella storia della letteratura, quattordici autori e sette libri da scrivere: I sette re di Roma. Come hai vissuto questa esperienza?

Il progetto de I sette re di Roma è un progetto ambizioso, un po’ come lo sono stati gli stessi re. Ambizioso per due motivi: il primo, siamo riusciti a raccontare in forma romanzata un pezzo di storia lacunoso, che si fonde con la mitologia; secondo, siamo riusciti a farlo coordinando lo sforzo di più autori, con un arricchimento personale davvero interessante per ognuno. È stata un’esperienza entusiasmante.

Hai scritto Tullo Ostilio a sei mani: con Franco Forte, che ha anche coordinato tutta la serie, e con Scilla Bonfiglioli. Come vi siete organizzati durante la stesura? C’è un aneddoto relativo a una scena che vi ha fatto tribolare?

Con la giusta alchimia, la scrittura a sei mani diventa una sfida piacevole. Ogni gruppo di autori ha deciso autonomamente come impostare il lavoro, perché non esiste un solo metodo ma solo quello più congeniale. Nel nostro caso, c’è stata una divisione per capitoli con due stesure finali per uniformare lo stile. Uno dei capitoli che ci ha fatto lavorare maggiormente è stato quello in cui abbiamo capito, su indicazioni di Franco, che mancava un intrigo a rendere la narrazione più interessante e piena di suspence. È nato in questo modo un gioco di bugie e di tradimenti nella trama, che non spoilereremo, ma che ci ha reso molto soddisfatti.

Regole, disciplina, istinto, creatività: in scrittura sei più architetto o esploratrice?

Architetto ed esploratrice insieme. Programmo, ma lascio sempre il giusto spazio alla libertà creativa del momento.

Scilla Bonfiglioli: qual è stato l’approccio con le fonti storiche e chi è il vostro Tullo?

Dietro i Sette Re di Roma c’è uno studio cominciato in gruppo, insieme a tutti gli autori coinvolti nella serie. Il nostro intento in questo senso era creare un background storico di base che fosse comune, che crescesse dall’inizio alla fine poco a poco e accompagnasse il lettore dal momento in cui Roma ancora non esisteva fino al momento in cui è diventata l’Urbe più conosciuta, quella pronta ad accogliere la Repubblica. Abbiamo tentato di lavorare insieme a questo impianto di base su cui i sette sovrani si alternavano, uno dopo l’altro. E lo stesso procedimento vale per i re in quanto personaggi. I romanzi sono legati, spesso un re compare nel romanzo che precede e in quello che segue, oppure lo fanno i suoi comprimari. Questo rende la serie concatenata e dà l’impressione che cresca poco a poco nelle mani del lettore. Almeno, speriamo che sia così. Per ottenere questo risultato, abbiamo dovuto lavorare molto sulle fonti insieme, ma non è stato sufficiente per arrivare alla costruzione del re di cui eravamo responsabili: una volta fatto il lavoro orizzontale, è stato necessario andare in verticale, dare a Tullo Ostilio profondità e altezza.

Nel caso specifico non è stato facile. Le notizie storiche sul terzo re di Roma sono molto scarse e la maggior parte hanno più il sapore della leggenda che dell’evento storico. Inoltre, l’evento che più viene ricordato sotto il suo regno, la spettacolare battaglia degli Orazi e dei Curiazi, non lo vede nemmeno protagonista. Per costruire il personaggio di Tullo abbiamo dovuto strapparlo alle fonti procedendo come per un gioco di chiaroscuri: sappiamo che appena salito al trono ha devoluto tutte le terre di appannaggio reale – cioè quelle appartenute fino a quel momento a Romolo e a Numa Pompilio – ai contadini senza averi. E sappiamo che questa sua scelta creò scandalo. Su queste conoscenze abbiamo delineato un personaggio astuto, capace di portare dalla sua parte la più grande fetta del popolo romano, ma allo stesso tempo Tullo ci si è anche presentato come un uomo generoso, un capo in grado di privarsi delle proprie ricchezze per dare una possibilità in più alla propria gente.

I resoconti storici ci dicono che non abbia mai vissuto nella reggia che era stata di Numa Pompilio e che ne ha avuta una per sé quando ormai era vicino agli anni della vecchiaia. Non si sa dove sia abitato per tutti gli anni precedenti. Per questo abbiamo immaginato un uomo solitario che ha accettato di venire circondato dal lusso e dalle comodità solo quando non è stato più in grado di occuparsi di se stesso da solo.

A differenza degli altri sovrani dell’Urbe, di Tullo non si sa nemmeno se sia mai stato sposato. Questo ci ha portato a creare per lui la figura di Clara, l’amata sposa uccisa a cui il terzo re rimane ostinatamente fedele in morte come in vita, e quella di Lunaria, una prostituta che diventa amica e compagna, ma mai regina.

Le fonti sostengono che avesse un rapporto difficile con le divinità, in particolare con Giove. Scavando a fondo nelle sue ragioni – incredibilmente moderne per un uomo del suo tempo – abbiamo imbastito i tratti della sua psicologia. Questa feroce relazione con il padre degli dei ci portato a immaginare quale doloroso rapporto Tullo potesse avere con il proprio padre effettivo. E che cosa cercasse disperatamente, poi, nella figura paterna acquisita che gli rimane accanto nei momenti più decisivi della sua vita.

Abbiamo proceduto in questo modo per strappare Tullo alla leggenda che lo ammanta e che lo rende così misterioso. E alla fine abbiamo avuto tra le mani un comandante feroce e tormentato, uno stratega astuto, un uomo generoso protettore dei più deboli, un pensatore moderno capace di mettere il divino dopo l’umano. Ci è piaciuto.

Dai tanti piccoli frammenti della sua storia, abbiamo tratteggiato le caratteristiche di un uomo che potesse abitarla.

Oltre che una scrittrice sei anche un’attrice e una regista. Brecht e Stanislavskij: due metodi opposti. Ti è mai capitato di applicarli alla scrittura?

Sì, nel modo più assoluto. Spesso mi rendo conto di quanto l’amore per il teatro e l’esperienza scenica sia importante per me anche nell’ambito della scrittura letteraria. Il modo di scrivere per il teatro è diverso da quello che si usa per scrivere un romanzo, parte da presupposti che il foglio di carta non ha, presuppongono dei corpi in movimento e dello spazio, un’idea di tridimensionalità data da una fisicità che la pagina e basta non può avere. Soprattutto dopo le rivoluzioni teatrali del Novecento, un testo drammaturgico viene scritto a posteriori rispetto alla costruzione della scena e questo ribalta totalmente i punti di vista su come e perché venga scritto un testo. Per me scoprirlo e sperimentarlo è stato travolgente e, per quanto sia passato, ancora oggi faccio fatica a parlarne senza emozionarmi. Spero di avere fatto tesoro di queste esperienze e di riuscire a portare fisicità, carnalità e immagine in quello che scrivo.

In quanto ai due mostri sacri che citi, è vero che hanno creato due metodi opposti, ma entrambi per arrivare a un unico  fine: quello di strappare a forza l’emozione dallo spettatore. Stanislavskij impone la creazione dell’emozione autentica nello spirito dell’attore che, provando quell’emozione, è in grado di trasmetterla a chi lo sta guardando. Brecht fa sì che l’attore crei una partitura fisica e vocale di quell’emozione a posteriori, sapendo che la gestualità sarà in grado di ricreare quell’emozione nell’intimo dello spettatore. Sono due scuole fatte apposta per chi ha un corpo e dello spazio in cui muoverlo, non si può prescindere da questo, ma sarebbe una menzogna dire che gli insegnamenti di questi due maestri non possano essere applicabili alla scrittura. Un personaggio può essere creato, vissuto e interpretato anche sulla pagina scritta, adattando dove è necessario. Lo scopo è sempre quello: emozionare il lettore, fargli vivere sulla pelle una vita che forse non avrebbe neanche potuto immaginare. Se in un punto della drammaturgia Brecht o Stanislavskij (ma vale anche per Artaud, Vachtangov, Barba) decidono che il pubblico ride, immancabilmente ride. Se decidono che in quel momento lo spettatore piange, ecco che poi quando arriva il momento piange. Possono farti sentire freddo, caldo, voglia di ballare. E non è quello che può fare uno scrittore? Si tratta di tecnica e capacità nella propria arte, qualunque essa sia. Se ci piace vederla in un modo più romantico, è un patto con Dioniso.

Emilio Salgari ti invita a cena. Puoi fargli una domanda: qual è?

Sei andata a prendere proprio uno degli autori cardine della mia infanzia. La sola idea di cenare con lui mi mette in soggezione, ma mi sono sempre fatta ispitare dal coraggio dei tigrotti di Mompracem, quindi non indietreggerò. Di sicuro non gli chiederei di pagare il conto, Emilio è sempre stato perfino più spiantato di me. Quello che potrei domandargli tutt’ora è qualcosa di sciocco e infantile, ma su cui non riuscirei mai a trattenermi. “Molliamo tutto e andiamo a fare i pirati?”.

Maria Elisa Aloisi

Note biografiche. Scilla Bonfiglioli (Bologna 1983), coautrice insieme a Franco Forte del romanzo La bambina e il nazista, ha vinto il premio Altieri Segretissimo e il Gran Giallo Città di Cattolica. Mina Alfieri, nata e cresciuta a Bologna, è laureata in Lettere e Filosofia e lavora come correttrice di bozze e ghostwriter. Con Tullo Ostilio. Il lupo di Roma è al suo esordio come autrice.