Ciao Edoardo, ben ritrovato! Innanzitutto complimenti per il tuo nuovo romanzo e grazie per aver accettato l’intervista.
- Partiamo dal tuo investigatore: nientemeno che il figlio di Archie Goodwin, l’aiutante di Nero Wolfe. Una parentela importante, senza dubbio, e un legame con il personaggio di Rex Stout che arriva fino al titolo del tuo romanzo: le orchidee infatti erano la grande passione di Nero Wolfe. Come mai hai deciso di omaggiare così profondamente Rex Stout?
Ciao Denise, e mille grazie a te per le belle domande! Allora, per me Rex Stout, oltre a essere uno dei più grandi maestri del genere, è pure una fonte di memoria di gioventù e familiare: mi è venuto spontaneo di dedicare il romanzo ai miei genitori, Isa e Bruno, pensando che fu mio padre a regalarmi il primo Omnibus Mondadori contenente cinque romanzi di Rex Stout quando stavo compiendo i quattordici anni. Poi da allora, oltre a divorare il resto delle raccolte di copertine gialle dei classici Mondadori dello stesso autore, ho proseguito con tanti altri, da Conan Doyle a S.S. Van Dine, a Simenon. Ma poi verso i trentacinque mi è presa una passione particolare nei confronti di Stout: mi sono messo a cercare in rete la lista completa delle sue opere, romanzi e racconti con o senza Nero Wolfe, e a incrociarla con quelli che avevo già, per poi cercare in tutti i possibili siti di completare la raccolta: e così ho fatto, oltretutto acquistando pure qualche giallo d’epoca degli anni ’60 come prima edizione. Insomma, la prima idea, la prima piccola lucina che mi ha illuminato la mente quando ho iniziato a pensare questa storia, è stata proprio l’idea di ritrovare con un gioco metaletterario il mondo di Nero Wolfe e Archie Goodwin grazie a un flirt temporaneo tra lui e la madre del mio protagonista, Lucrezia Sanvitale.
- Verso quali altri autori di gialli senti un debito di riconoscenza, come lettore e come scrittore?
Direi, dopo Stout, sicuramente Dashiell Hammett: il fondatore della hard boiled school per me è un pilastro fondamentale, creatore di una visione del genere mistery che lo stesso Stout ha acquisito e fuso brillantemente con lo stile precedente, cosiddetto “whodunit”. E poi il grandissimo Andrea Camilleri, che è stato forse colui che più mi ha portato a credere di potere, come autore italiano, affrontare questo genere inserendoci note più “personali”.
- Nel tuo romanzo si parla di traffico di opere d’arte. Come ti sei documentato su questo tema così complesso?
In generale, io sulle cose di attualità mi informo quotidianamente grazie al mio abbonamento a La Stampa: anche questo lo devo a mio padre, che era abbonato fin dagli anni ’60 quando era “venuto su” a Torino da Napoli, e io il giornale lo leggevo già da ragazzino, tornato da scuola mentre lui doveva ancora rientrare dall’ufficio; quando lui non c’è più stato, io ho ereditato anche il suo codice abbonato, che conservoi gelosamente, ancora con sole cinque cifre. E il tema dei traffici di opere d’arte mi interessa anche in funzione di quanto seguo molto ciò che accade ormai da parecchio in tutto il Medio Oriente, tra jihad e infiltrazioni di varie potenze estere.
- So che hai un legame particolarmente forte con Napoli. Pensi di continuare ad ambientare le tue prossime storie in questa città, o tornerai agli scenari che hai presentato nel tuo precedente romanzo che ho letto, Il lago verde?
In realtà, come accennavo prima, aver scelto questa ambientazione mi ha aiutato a riimmergermi nel mio “vero” mondo, quello della città che i miei furono obbligati a lasciare nel ’59 per trasferirsi a Torino, dove mio padre, medico, aveva vinto un concorso pubblico e mia madre, insegnante, aveva ottenuto facilmente il trasferimento per stare con lui e sposarlo. Solo che poi tutte le estati tornavamo “giù” dai nonni, e al rientro io percepivo la sofferenza dei miei, per farla anche mia. Così ambientare i miei protagonisti tra Posillipo e il Vomero per me è stato come un viaggio nella memoria, e con grande piacere ho intenzione di continuare a condurre questa “squadra” di protagonisti, sia pure con un piede su New York ove resta la mitica casa della 35 esima Strada, tanto che pure Elizabeth sta per ambientarsi parecchio pure lei nel Golfo.
- Stai lavorando a un nuovo romanzo? Se sì, puoi anticiparci qualcosa?
Ebbene sì, sto lavorando da parecchio alla seconda puntata che coinvolgerà la stessa “squadra” di detectives per caso, da Antonio e Liz a Lucrezia e zia Elisa; solo che vicende di lavoro particolarmente complesse mi hanno obbligato a orientare la mente su altro negli ultimi mesi, e conto di riprendere tra poco a sviluppare questa storia, che anche qui si orienterà su un tema di grande attualità: il cambiamento climatico, e i negoziati dell’ONU per cercare di limitarlo.Mi piace anche l’idea di continuare a far evolvere questi personaggi, che hanno anche qualche problema nel campo della vita sentimentale, in particolare Antonio che avendo vissuto praticamente senza padre e con una madre “evanescente” a causa della sua carriera di attrice, ha un po’ di difficoltà a pensare a una storia “stabile”.
Denise Antonietti