In una notte d’estate del 1988, a Torino il ponte Vittorio Emanuele I viene completamente invaso da colonie di ragni, alcuni dei quali grossi come un pugno. A notarli per primo è un ragazzino che li immortale in una foto.
Erano di svariate dimensioni, qualcuno persino più grande del suo pugno, mentre i più piccoli assomigliavano a sassolini sospesi nel vuoto.
In quella stessa notte, dalle parti del Pian del Lot, avviene il terzo delitto di una serie attribuita alla stessa mano di un genere di criminale che in Italia si definiva negli anni Ottanta, un “mostro”. Il caso, ritenuto in un primo momento, facile, viene assegnato al magistrato Francesco Scalviati, che l’autrice descrive così:
La ritualità dei suoi gesti, come il modo con cui annota gli indizi sulla sua agenda, e il suo tono assertivo ma mai autoritario, sono stati la guida per avvicinarmi a lui, quasi con cautela, finché non è emerso in tutta la sua umanità, persino nella sua fallibilità. Francesco Scalviati non è un eroe senza macchia, ma una persona che si trova investita di un incarico cruciale e pericoloso nel momento più sbagliato: quando è sul punto di diventare padre.
Sì, La stagione dei ragni è un thriller spin-off della saga di Aurora Scalviati. La sua ultima pagina infatti ci parla della nascita di Aurora destinata a diventare, come profiler, la protagonista di Aurora nel buio, Osservatore Oscuro, L’ultima Notte di Aurora, thriller decisamente noti a chi ne segue le vicissitudini già dal 1217 a partire dal suo primo esordio, appunto, con Aurora nel buio, per finire al recentissimo Cambiare le ossa.
La chiameremo Aurora – mormorò – Perché non debba mai camminare nel buio.
Greta, con gli occhi colmi di emozione, sfiorò il viso della piccola. – Benvenuta al mondo, Aurora.-
Affianca il magistrato, con alterne vicende nella dinamica dei rapporti, la giornalista Leda De Almeida, la cui descrizione affidiamo ancora una volta alle parole di Barbara Baraldi.
Giornalista investigativa alla vecchia maniera, ex corrispondente di guerra, ispirata a figure come Graziella De Palo e Ilaria Alpi, che hanno pagato con la vita la loro caparbia ricerca della verità
Sorte, per fortuna che non è riservata al nostro personaggio che alla fine procedendo, con cautela ma con determinazione, otterrà la sua parte di successo per quanto riguarda l’aspetto collaborativo nelle indagini.
De Almeida era stata di parola. Non aveva ancora sfoderato l’artiglieria pesante, ma per quello c’era ancora tempo. Bisognava procedere per gradi in modo da mantenere alta la pressione.
Ma soprattutto gli eventi assumeranno una piega inaspettata per l’arrivo sulla scena dell’agente americano Isaak Stoner, giovane e arrogante analista dell’FBI. L’americano affaccia per primo l’ipotesi della presenza sulle scene del crimine di un serial-killer, figura criminale ancora negli anni Ottanta sconosciuta in Italia. Stoner si mostra subito molto preparato in materia. A Scalviati, che dopo avere a lungo esitato, alla fine decide di fidarsi di lui, offre una serie di dati comportamentali del “ mostro”, un essere molto pericoloso e astuto che, come un ragno, ha tessuto attorno a sé una pericolosa organizzazione criminale.
Non si trattava di un comune delinquente, ma di un ragno che stava tessendo la sua tela,
allargandola in più direzioni, visibili e invisibili agli occhi.
Il caso non è dei più semplici. La polizia italiana non è ancora preparata ad affrontare un criminale che si avvale di tecniche molto avanzate.
Un’organizzazione criminale che comunica attraverso il computer” commentò Costanza. “A me sembra fantascienza”
Il giovane magistrato trova ostacoli persino tra i suoi superiori e, malgrado ciò non demorde
Ormai isolato dal resto della procura, gli restava soltanto un pugno di fedelissimi pronti a seguirlo. Un’improbabile squadra composta da elementi eterogenei ma accomunati da un senso di giustizia che supera il rispetto della legge. Ognuno con una buona ragione per mollare. Ognuno con l’intenzione di andare fino in fondo.
Il finale, date le premesse, non può che portare alla risoluzione della vicenda.
La stagione dei ragni ha un’impostazione corale, anzi, molto più corale del previsto. Accanto ai personaggi principali, c’è una schiera di comprimari, assai nutrita a partire dalla moglie, Greta, una giovane attrice, in continua crisi di identità, per continuare con il rude commissario Costanza, l’ingenuo sovrintendente Loiacono, il giovane artistoide Ludovico Vignali detto Ludwing. Si tratta di personaggi costruiti con cura e attenzione a tal punto da costringere, si fa per dire, la loro creatrice a riempire un intero quaderno di appunti per mantenere saldo il filo di tutte le sottotrame.
In quanto al contenuto narrativo, Barbara Baraldi conferma in questo suo lavoro la sua professionalità e indiscussa esperienza di scrittrice di thriller e sceneggiatrice. Numerosi scene di azione, momenti di suspense, colpi di scena si susseguono quasi frenetici nelle 564 pagine che compongono il romanzo. A bella posta non ci siamo voluti dilungare sulla trama consegnandola al lettore quasi nella sua integrità. Ma ci sembra doveroso ancora un accenno a quella che potremmo definire la colonna sonora del trhiller, che si snoda sulle note dei Simple Minds, dei Duran Duran e dei primi Litfiba, i gruppi più gettonati del periodo, interpreti della personale “ educazione musicale” della scrittrice, adolescente introversa che sceglieva di vestirsi di nero quasi fosse una corazza per difendersi dal resto del mondo. In quanto allascenografia, Barbara Baraldi ci trasporta nella città più misteriosa ed esoterica d’Italia, vale a dire Torino, l’unica metropoli che condivide con Praga e Lione il triangolo della magia bianca, con Londra e San Francisco il triangolo della magia nera. E il serial killer de La stagione dei ragni queste cose le sa bene, non per niente nei suoi messaggi di sfida alle forze dell’ordine si firma Zenit, come simbolo che lo rappresenta ha scelto un astrolabio stilizzato e una delle sue basi è il cinema Statuto.
Un indirizzo a cui era associato quello dell’inferno.