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“Io sono l’abisso” di Donato Carrisi

Trama

Sono le cinque meno dieci esatte. Il lago s’intravede all’orizzonte: è una lunga linea di grafite, nera e argento. L’uomo che pulisce sta per iniziare una giornata scandita dalla raccolta della spazzatura. Non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi: sa che è necessario. E sa che è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti. E lui sa interpretarli. E sa come usarli. Perché anche lui nasconde un segreto. L’uomo che pulisce vive seguendo abitudini e ritmi ormai consolidati, con l’eccezione di rare ma memorabili serate speciali. Quello che non sa è che entro poche ore la sua vita ordinata sarà stravolta dall’incontro con la ragazzina col ciuffo viola. Lui che ha scelto di essere invisibile, un’ombra appena percepita ai margini del mondo, si troverà coinvolto nella realtà inconfessabile della ragazzina. Il rischio non è solo quello che qualcuno scopra chi è o cosa fa realmente. Il vero rischio è, ed è sempre stato, sin da quando era bambino, quello di contrariare l’uomo che si nasconde dietro la porta verde. Ma c’è un’altra cosa che l’uomo che pulisce non può sapere: là fuori c’è già qualcuno che lo cerca. La cacciatrice di mosche si è data una missione: fermare la violenza, salvare il maggior numero possibile di donne. Niente può impedirglielo: né la sua pessima forma fisica, né l’oscura fama che la accompagna. E quando il fondo del lago restituisce una traccia, la cacciatrice sa che è un messaggio che solo lei può capire. C’è soltanto una cosa che può, anzi, deve fare: stanare l’ombra invisibile che si trova al centro dell’abisso.

Recensione

Una giovane madre, il suo bambino, una gita promessa da tempo, una giornata solo per loro. La felicità del bambino, il suo sguardo adorante rivolto alla mamma così bella, così desiderabile, tanto da essere circondata da quei fastidiosi “mosconi” che non smettono di ronzarle intorno e da cui lei si lascia distrarre troppo spesso, dimenticandosi di suo figlio.

Ma quel giorno è diverso, quel giorno la sua mamma è lì, solo per lui.

Quel giorno è diverso, è vero; la sua mamma è lì solo per lui, è vero; ma non per dedicarsi al suo bambino, quanto con l’intento di sbarazzarsene per sempre.

Inizia così Io sono l’abisso, con il più odioso dei tradimenti: quello della persona di cui per antonomasia non puoi non fidarti, la mamma.

Carrisi trascina il lettore all’interno di questo rapporto malato senza adoperare filtri, senza fornire appigli, lasciandolo cadere nel vuoto del senso di abbandono, di inadeguatezza, di rifiuto che caratterizzerà la vita del protagonista e ne determinerà il corso, fino al tragico epilogo.

Non ha un nome, questo protagonista, perché non è importante che ce l’abbia, quello che lo descrive è ciò che gli permette l’inserimento nel tessuto sociale:

“Per anni, l’uomo che puliva si era chiesto perché fosse venuto al mondo.

[…]

Era nato per sbaglio ed era stato gettato via come spazzatura.

[…]

Ma poi aveva capito che ogni cosa al mondo ha uno scopo. Perfino i rifiuti avevano un valore. Servivano affinché uno come lui avesse un lavoro, […].”

Non è un lavoro come un altro: l’uomo che puliva, il bambino che la madre non ha mai amato, dà valore a ciò che gli altri rifiutano così da trovare uno scopo a sé stesso.

La sua vita si intreccia con quella di altri due personaggi, anche questi privi di nome proprio ma individuati da caratteristiche ritenute rilevanti da l’uomo che puliva”:

la ragazza col ciuffo viola, che sarà insieme responsabile della sua fine ma anche della sua redenzione, e la cacciatrice di mosche, la cui identità verrà svelata solo in chiusura del romanzo con un colpo di scena inaspettato.

Tre destini segnati dalla solitudine, tre drammi che rendono la vita un fardello impossibile da sopportare se non attraverso reazioni altrettanto estreme che li porteranno a incrociarsi, determinando un effetto domino impossibile da arrestare.

L’ambientazione è ben definita: le vicende si svolgono sullo scenario del lago di Como, dove l’elemento acqua non è un complemento paesaggistico ma diventa protagonista attivo sin dalla scena d’apertura.

La narrazione è serrata, il lettore passa senza avere respiro dal punto di vista de l’uomo che puliva a quello de la cacciatrice di mosche a quello de la ragazza col ciuffo viola a quello infine del bambino rifiutato, avendo così la possibilità di visualizzare la scena secondo prospettive diverse; sfruttando la narrazione in terza con focalizzazione multipla, la sensazione è che la trama si dipani come fosse la tela di un ragno da cui il lettore viene catturato e da cui non riesce a liberarsi finché non avrà trovato tutte le risposte.

E quando alla fine le avrà ottenute ugualmente, non si sentirà in pace, perché Carrisi entra nel territorio sconvolgente della malattia psichiatrica, in cui il limite tra giusto e sbagliato, tra vero e falso, è labile, in cui tutto appare distorto, senza la possibilità di individuare punti di riferimento certi che riescano a mantenere chi legge sul piano della realtà oggettiva; così l’unica certezza che avrà sarà racchiusa nell’affermazione della poliziotta: «Il male è un cerchio», quando sarà già arrivato all’ultimo capitolo.

E, poiché concorderà con lei, non riuscirà a condannare nessuno.

In Io sono l’abisso tutte le scelte, tutte le azioni, anche le più aberranti, trovano una spiegazione e non ci sarà condanna né riscatto per nessuno.

Claudia Cocuzza