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La bastarda di Istanbul

Un mondo quasi del tutto al femminile raccontato in modo superbo da una donna. Due civiltà a confronto, quella americana, appena abbozzata, e quella turca con la sua memoria del genocidio armeno, che la storia ha dimenticato e prima ancora ha nascosto secondo la turpe logica del negazionismo, cui si è sommata la necessità di obliare ciò che non si può più cambiare.

La storia di una dolorosa diaspora diventa un affastellarsi di segreti di famiglia, impregnati del peso del passato e di un alone di morte, che con andamento circolare chiuderà la narrazione e svelerà che ogni verità, prima o poi, trova la sua rivelazione; perché non tutto si può tacere per sempre. E così quelle ferite e quei legami taciuti e sepolti nella memoria verranno a galla, costruiranno l’incipit di una nuova storia di famiglia e spezzeranno la catena del risentimento.

I personaggi son tutti ben descritti e resi intensi da una narrazione che non lesina certo l’uso dell’analessi. Tra i tanti fa capolino il poeta Hovhannes Stamboulian, secondo il quale per controbattere l’offensiva turca agli armeni non sarebbero servite armi “come certi rivoluzionari sostenevano, ma i libri, più libri”. Gli fa da controcanto la figlia Shushan Stamboulian, violentemente rinominata Shermin 626, poi Shermin Kazanci e, infine, Shushan Tchakhmakhchian, il vero deus ex machina di tutto il romanzo.

Un consiglio: leggete questo romanzo, ma non ora! Piuttosto conservatene il ricordo, perché se lo leggeste il desiderio di conoscere Istanbul sarebbe troppo grande, ma al momento non è possibile soddisfarlo. E non fatevi balenare l’idea di supplire a tale impedimento con la lettura delle foto di Ara Guler o di Alex Webb, perché il desiderio crescerebbe ancor più!

Rosamaria Brunno